Dead Man Working
Oggi sono andato a fare un colloquio di lavoro per un piccolo quotidiano di Bologna.
Quando uno legge quelle guide stupide su come compilare i curricula e comportarsi durante le interviste, ci sono due consigli che vengono ripetuti sempre. Il primo è di ricordarsi bene con chi si ha il colloquio, e quindi avere bene in mente il suo nome e la sua posizione. Il secondo è quello di essere puntuali.
Arrivo alla sede del giornale con quindici minuti di ritardo e un panico mnemonico assoluto. Non solo non mi ricordo chi è la persona con la quale devo parlare, ma non ho la più pallida idea del suo nome. Evito di prendere fuori il giornale e consultarlo davanti alla segretaria come fosse un elenco: mi presento e dico che ho un appuntamento con il caporedattore. La ragazza fa una faccia perplessa, poi si dilegua.
“Lei ha un appuntamento con il direttore“, dice. Ed evita di fare commenti sul mio ritardo.
L’ufficio del direttore del piccolo quotidiano bolonnaise è spoglio da morire. Sopra di lui c’è soltanto una frase di Kierkegaard che dice: “Ormai la nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che egli trasmette dal megafono del comandante non è più la rotta da seguire ma la lista di ciò che mangeremo domani”. Del significato della frase colgo solo il senso culinario.
Sentendo parlare il direttore mi rendo conto del perché non mi ricordo che era stato lui a telefonarmi e che non avevo idea di quale fosse il suo nome: quando parla quest’uomo non si capisce nulla. Del discorso serratissimo e universalista che mi ha fatto ho solo colto due volte la parola “pugnetta”; una volta “Cofferati”; sei volte “soccia” e derivati; due volte “cazzo” (pronunciato, ovviamente, “casso”); una volta e mezza “merda” (la mezza volta è da intendersi come “meer”).
“Le ho portato un curriculum”, gli dico. Lo poggio sul tavolo, lui non lo guarda, ci mette la mano sopra e mi rendo conto che l’apprendimento per osmosi esiste, ma è imperfetto. Infatti mi fa le domande le cui risposte sono nel curriculum, e me le pone nell’ordine esatto in cui i dati sono elencati. Inizia con “Quanti anni hai?” e finisce con “Ma il computer lo sai usare?”.
Ancora, però, non mi ha detto che vuole da me, almeno credo. Glielo chiedo direttamente. Intuisco che hanno bisogno, fondamentalmente, di un tappabuchi nella cronaca bianca, nei mesi estivi. E io lo farei pure, il tappabuchi della bianca con i cinquanta gradi all’ombra della Bologna d’estate. Ma quanto mi darebbe, il direttore del piccolo quotidiano, e quanto dovrei lavorare?
La risposta che mi dà si traduce nel mio cervello in una cifra: tre euro l’ora. Netti, eh.
“Mi faccio sentire”, dico io.
Nota: non sono così preoccupato per la mia disoccupazione. Sapete, sono iscritto a tantissimi siti che offrono lavoro e mi mandano e-mail che iniziano con frasi come “Ottime notizie, Francesco: abbiamo le seguenti offerte per te”. L’ultima e-mail del genere mi offriva un posto come arredatore.
Altra nota: sì, sono un po’ negativo, oggi. Ma, d’altro canto, oggi pomeriggio ho visto questo.