romanzo

Ciò che basta per non dimenticarsene

Mi capita per lavoro di leggere una buona quantità di libri di autori italiani contemporanei, e una rapida occhiata alla sezione “Ho letto”, quassù, e soprattutto il suo tasso di cambiamento, lo confermano. Spesso si è trattato di libri interessanti, divertenti, curiosi. Ma altrettanto spesso, dopo aver finito di leggerli, ho avuto la sensazione che mancasse qualcosa alla scrittura che mi aveva intrattenuto – magari anche piacevolmente – fino a là. Sentivo che spesso le storie che leggevo erano forzatamente ironiche, o costrette in “spazi” minimali, timide, quasi, ridotte in qualche parte.

Quando ho terminato la lettura di Perduto per sempre, ho pensato: “Oh, finalmente un romanzo con le palle“, e ho esordito allo stesso modo, con picchi di finezza inaudita, quando ho chiamato al telefono Roberto Moroni, l’autore.
Il suo romanzo non ha paura di niente, neanche di sbagliare: e le piccolissime imperfezioni che lo punteggiano raramente sono del tutto coperte dallo spazio, appunto, che il romanzo occupa. Lo spazio temporale, visto che abbraccia un periodo di venti anni e più nella vita degli Steiner, focalizzandosi negli occhi di Luigi, seguendo la sua vita da bambino fino all’età adulta. Pur iniziando alla fine degli anni ’70, Perduto per sempre (altro pregio) non sguazza nella forma-revival che, più o meno in filigrana, affligge molti dei romanzi italiani recenti. Non vuole fare una storia della cultura popolare, del costume, della società del nostro paese in un passato recente. Quello che importa è il tempo e i personaggi, una relazione che è sufficiente per strutturare un romanzo. Ecco, nel libro di Moroni c’è quello che serve, senza però scomodare assiomi “minimalisti” (le virgolette sono obbligatorie). Ci sono personaggi forti, e li sentiamo mutare pagina dopo pagina; le parole che dicono sono quelle che ci aspetteremmo di sentire, senza alcuna fastidiosa tendenza al discorso alto, alla chiosa, all’eco di un monologo interiore che aggiunga, o sia costretto a spiegare.
D’altro canto la storia non è originale, non si serve di colpi di scena, ha poco sesso, poca violenza (esplicita, almeno), pochissimo rock’n’roll, zero droga. Eppure Perduto per sempre c’è, esiste e si impone al lettore e alla lettura. Un libro che non si dimentica è un libro che, comunque, è una tacca sopra quelli di cui ci siamo scordati quasi tutto.

Ne parlerò in diretta con Roberto Moroni giovedì a Sparring Partner.

Esperimenti riusciti

Succede raramente di finire un libro e, sull’onda dell’emozione che le ultime parole hanno6a7cdef98fd1ba9dd08d42ac1b5fbc11 lasciato, chiamare direttamente l’autore al telefono per ringraziarlo. L’ho potuto fare non appena ho chiuso Esperimenti di felicità provvisoria, di Matteo B. Bianchi (non che conosca molti scrittori, eh: ho avuto solo modo di presentare un paio di volte un libro di Matteo, e lui ha pubblicato un mio racconto su Linus. Detta così sembra uno scambio di favori. Oh, insomma).
In realtà non so dirvi se Esperimenti è un “bel” libro. Non l’ho letto con gli occhi del critico, visto che non lo sono, ma neanche con lo sguardo almeno un po’ “tecnico” di chi alla fine ha a che fare da anni con le parole scritte . O meglio: ho iniziato a leggere con questo spirito, e in principio ho anche avuto una certa difficoltà a seguire le varie vicende incrociate dei personaggi. Ma il giorno dop ho ripreso in mano il libro e non ho più smesso: un po’ come quando si esce con molte persone nuove e interessanti (caso raro, è vero). La prima volta si fa fatica a ricordare i nomi, la seconda pare che ci si conosca da una vita e si cerca di stare insieme tantissimo.
Matteo parla di amore, di amori, di passaggi. Parla di ragazzi eterosessuali che sperimentano l’omosessualità e viceversa. Ma una volta tanto l’esperimento non è cruento, estremo, da film porno. Si tratta di esperimenti che hanno più a che fare con l’emotività e le emozioni che con i corpi, e in questo perdono ogni tipo di qualsivoglia connotazione “di genere”, e acquistano in riconoscibilità. In fondo ogni amore (omo o etero) è nuovo e soprattutto diverso, lasciando pure tutta la forza che questo aggettivo ha. Non c’è spazio per un’omosessualità urlata: semmai ad essere urlato è il “tradimento” di cui viene accusato chi ha voluto “distinguersi” per avere avuto dei contatti con la cosiddetta altra sponda, qualunque essa sia.
I personaggi sono umani: fanno lavori normali (e finalmente una scrittrice viene rappresentata come una-che-scrive-di-mestiere, senza sforare nell’idealismo da maudit o nella vecchia crudezza di “un dollaro a pagina”), hanno case normali, sono normalmente sicuri, deboli, insicuri e forti al tempo stesso.  E gli esperimenti, soprattutto, sono provvisori: ma non perché avere provato qualcosa di diverso sia sbagliato o contronatura (qualsiasi sia la natura dalla quale “si parte”). Semplicemente talvolta accade che le storie finiscono, senza che succeda qualcosa di eclatante, che si chiudano così come si sono aperte, come un libro.

Parlerò di Esperimenti di felicità provvisoria stasera: infatti Matteo B. Bianchi sarà gradito ospite telefonico di Monolocane, in onda dalle 2230.

Vuoi sentire Monolocane? Bene! Se sei a Bologna, prendi la tua vecchia radio, accendila e sintonizzati sui 96.3 o 94.7 MHz. Se sei altrove o non hai un apparecchio radiofonico, usa il computer. È facile! Basta cliccare qua.

Ecco l’intervista!

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Sospensioni: una brutta storia di rumori molesti, soldi e ventiseienni che attendono

Regolarmente, accade di nuovo. Forse vivo in una strada di Bologna particolare, ma sembra che i palazzi qui intorno necessitino sempre di lavori. Alle otto e trenta precise, sento un rumore sordo e lontano. Poi sento vibrare leggermente il letto, e tento di non pensare al rumore e di farmi cullare dalla vibrazione.
A quel punto mi immagino un capo cantiere che, come un direttore d’orchestra, dà il via alla sezione degli scalpellini. Ogni colpo di martello mi penetra nel cranio. Nessuna piacevole vibrazione, in quel caso. A volte mi riaddormento, a volte no. Quando non mi riaddormento mi alzo e tento di focalizzare da dove provenga il rumore. Vado nell’altra stanza, mi affaccio in strada, niente. E quando sono completamente sveglio, il rumore cessa. Sono tentato di tornare a dormire. Ma rimango sospeso, sentendo ancora vibrazioni che non esistono più.

Il bancomat mi guarda. Io lo guardo. Poi infilo la tessera a tradimento.
Non è possibile effettuare prelievi.
Cazzo devo prelevare? Il saldo, per favore.
Oh, Cristo. Ma sei di coccio, eh? Già ne abbiamo parlato.
Il saldo, porca puttana.
No, non mi va. Prova qui a fianco.
Ptui. La tessera esce, il bancomat distoglie lo sguardo.
Lo sportello accanto è più simpatico nei modi. Ma mi conferma che ancora non mi hanno pagato.
Telefono a chi mi deve pagare. Mi dicono che hanno fatto il pagamento, ma c’è da aspettare qualche giorno.
I miei quattrocento euro sono sospesi, da qualche parte, tra la scuola in cui ho insegnato e il mio conto corrente. Sono immobili a mezz’aria, loro, non vibrano.

Iniziano ad arrivare i primi pareri sul romanzo, da parte dei selezionatissimi lettori. Sono buoni. L’Editore non si fa sentire, è troppo presto. Il punto è che deve piacere a lui. Non si pubblica un libro per consenso popolare, purtroppo. Aspetto.

Mercoledì inizio la formazione per un lavoro. Contratto di un anno. Part time, ovviamente. Passo le mie ultime giornate da non lavoratore ascoltando The Winding Sheet in continuazione. Mica sto male, no. Solo, aspetto, sospeso, che un altro tassello di quella che chiamano età adulta mi si appiccichi addosso. Bevo e fumo. Stasera sarò in vicolo Bolognetti. Mi riconoscerete. Sono quello che fluttua.

Comunicazioni di servizio. Stanotte non sono in onda. Ma dalla prossima settimana, si inizia alle ventidue e trenta. Scatti di carriera: il prime time si avvicina.

Prima stesura

Ci ho messo molto, moltissimo a leggere Underworld. Verso la fine ho sentito, più che con altri libri, il senso di dispiacere per l’approssimarsi della fine, del distacco.
Quando ci si separa allo stesso modo dalle proprie parole, invece, c’è un senso diverso. Non l’ho mai chiesto a mia madre, ma sono sicuro che stiamo provando cose simili: lei che mi vedeva andare a scuola per la prima volta, io che guardo il mucchio di fogli accanto a me, pronti per essere spediti all’Editore.
Nessuna tristezza, un misto di gioia per la procreazione e normale, genitoriale preoccupazione.

Di |2004-06-17T02:56:00+02:0017 Giugno 2004|Categorie: Paperback Writer|Tag: , , , , |13 Commenti

Era una notte buia e tempestosa…

Agosto 1999.
“Pronto, Edizioni?”
“Sì, sono Editore.”
“Ecco, io le avrei mandato dei racconti, qualche tempo fa. Non so se ricorda…”
“Sì”. Seguono trenta secondi di critica feroce.
“Va bene, grazie lo stesso.”
Click. Sigh.

Agosto 2003.
“Pronto, Editore?”
“Ciao Francesco.”
“Allora, hai ricevuto gli altri racconti?”
“Sì, non male, davvero, mi piacciono”
“Bene”
“A-ha”, dice lui. Visto che penso non si riferisca a loro, vado avanti, canticchiando mentalmente “Take On Me” per darmi coraggio.
“Che ne dici, magari potremmo pensare ad una raccolta, visto che un paio li hai pubblicati, qua e là.”
“No, dai. Ci vorrebbe qualcosa di più lungo.”
“Un romanzo.”
“Ecco, per esempio. Anche perché di poemi epici in versi noi non ne pubblichiamo.”

Febbraio 2004
Finite per il momento lezioni e seminari, inizio finalmente a scrivere questo romanzo. Appassionante, divertente, difficile, faticoso. Scriverlo, dico. Non “il romanzo”. Se no avrei già in mano un bestseller, soprattutto se eliminassi “difficile” e “faticoso”. Diciamo che appena avrò “un numero buono di pagine”, le manderò all’Editore, il quale vedrà cosa farne di me e del buon numero di pagine.

Nel frattempo amici, coinquilini e altri figuri che passano davanti alla mia stanza, mi vedono più o meno così.

Così come? Eh, chissà. I link muoiono…

P.S. Editore o Redazione, se per caso leggi queste righe: sto scrivendo, sì. Per il blog uso una ghost-writer. Si chiama Melissapì. Brava, solo che devo sempre tagliare parti di quello che scrive, mette il sesso ovunque. Lo so che fa vendere, ma in un blog… No, nel romanzo non ce n’è molto, di sesso. Ah, lo metto? Comincio da capo, allora, ma l’inizio lo lascio così com’è, mi piace: “Era una notte buia e tempestosa…”

Di |2004-02-16T01:23:00+01:0016 Febbraio 2004|Categorie: I'm A Loser, Paperback Writer|Tag: , , , , |7 Commenti
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