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La rivolta degli oggetti – parte quarta

Avrei dovuto capirlo che non era giornata, da quando stamattina il cellulare ha rifiutato di accendersi, senza alcun motivo. Ho fatto la solita cosa inutile di togliere la pila e rimetterla, che ha molto più dello sciamanico che del sensato. Niente. Poi, senza dirmi nulla, si è acceso, ed è comparso un messaggio sul visore: “Paura, eh?”. Devo tenere il mio cellulare lontano dal televisore.
Faccio le mie cose, mi metto al portatile a scrivere. Si blocca. Control Alt Canc non funziona, quindi a mali estremi, estremi rimedi. Siccome l’usuale martello non c’è, lo spengo dal pulsantino. Toc. Zzzzzz. Spento. Lo guardo. Riaccendo. VVVvvvvvvv. Schermata nera.

“Vuoi avviarmi in modalità provvisoria, bel maschione?”
“Ma, veramente mi accontenterei del solito, caro.”

Niente. Non si vuole avviare. Metto venti euro nel cassettino del cd rom. Niente. Non ne vuole sapere. Il panico inizia ad impadronirsi di me. Mi tocca chiamare… l’assistenza. Ora, questo per me equivale ad una sconfitta. Vincono sempre loro.
Mi risponde una voce lentissima e depressa, da impiegata cinquantenne triste che inizia ad avere i sentori della menopausa. E la voce è registrata, non vi dico altro: le scelgono bene. Inizio a seguire le istruzioni del caso, digitando i numeri richiesti. Dopo avere collezionato una ventina di cifre sul display del mio telefono, finalmente mi risponde una voce. Una umana, dico.
“Pronto, sono Carmelo, mi dà un cognome?”
Penso che abbia problemi di identità, Carmelo, e inizio ad inventare un cognome che gli possa stare bene. Ma Carmelo X richiama la mia attenzione.
“Insomma, come si chiama?”
Do il mio cognome e lui mi dice dove abito, che numero di telefono ho, che scarpe porto in quel momento e anche qual è il mio cane di razza preferito. Però Carmelo non sa quale sia il numero di serie del mio portatile. E non lo so neanche io.
“Sta sotto il portatile”, suggerisce Carmelo Esposito. Dico a Carmelo Ming di attendere. Guardo sotto il computer. C’è un’etichetta con almeno sei serie di numeri diverse. Provo con la più difficile e la trascrivo. Torno da Carmelo Blissett.
“Non so se sia questa. Le detto una serie di trenta numeri e lettere”
“Inizia con ventotto?” chiede Carmelo.
“Veramente no”
“Allora non è quello”
Alla fine ce la faccio, e Carmelo mi identifica e mi dà anche dei numeri da giocare al lotto, ma solo sulla ruota di Aversa verso la metà del 2005. Non sto lì a dire che la ruota in questione non esiste e finalmente giungiamo al problema.
“Le posso dare prima soluzione”, dice Carmelo, “ma di più non posso dirle. Siccome suo computer non è più in garanzia, per sapere altro deve pagare venti euro. Ha carta di credito?”
Mi verrebbe da dirgli: “Ma Carmelo, santiddio, lo sai benissimo che ho una carta di credito, sai anche il numero di serie, sai dov’è il cassetto dove la tengo e anche il cognome da nubile di mia madre”. Invece mi accontento della prima soluzione, quella gratis. Che ovviamente non dà alcun esito. Richiamo. Carmelo è visibilmente soddisfatto, e me lo immagino tutto blu, con gli occhiali e delle ridicole mutandine bianche. “Te l’avevo detto, io. Dai, caccia il numero di carta di credito. So’ ventieuri, alla fine quanto ti costa una pizza? Dai, caccialo”.
E io glielo do. Carmelo impazzisce di gioia, mi dà tre soluzioni diverse al problema, ventilando, però, che potrebbe essere qualcosa di grave.
“Ma no”, dico io, toccando le palle ad un cavallo ben ferrato, salato e ornato di cornetti rossi che tengo sempre vicino a me in occasioni del genere. Niente. Neanche stavolta le soluzioni servono. Richiamo, e ormai penso che le mie telefonate siano passate al vivavoce e che intorno a Carmelo ci sia un party con i fiocchi. Ogni tanto, in effetti, quando mi parla, sembra che abbia la bocca piena di fonzies. Quando sento rumore di leccata di dita non ho dubbi: mi stanno prendendo per il culo e si sono già sputtanati i miei venti euro in chinotto e pop corn. Bastardi.
Dagli altri dati che Carmelo ha, il “tecnico” giunge ad una conclusione atroce.
“Qui è problemo di riformattamento disco.”
“Come?”
“Come si dice in italiano?”
“In italiano?”

E allora capisco che Carmelo proviene da un altro paese. Cosa ci faccia al centro di assistenza Sony (ma sì, diciamolo) del capoluogo lombardo è un mistero. Forse è un calciatore brasiliano in esubero al Milan, che ne so. Comunque la diagnosi di Carmelo è atroce. Perdita completa dei dati, dovuta a danneggiamento del disco rigido.
“Ma quanto mi costa? Cioè, quanto mi costerebbe rimetterlo a posto?”
Ladies and gentlemen: il climax di Carmelo! “Tra virgolette, con un punto di domanda, insomma, per il trasporto sono venti euro, la riparazione sono almeno duecento, più il pezzo…” Esita, lo stronzo. “Diciamo che sono duecento cinquanta trecento trecento cinquanta… Insomma, sui quattrocento euro”
Lo fermo, prima che alzi la posta, e scoppio in lacrime.
Torno in camera dal portatile. Mi avvicino e lo accarezzo. Provo ad accenderlo, recitando dei salmi in aramaico (imparato grazie al film sulle torture a Gesù). Tutto funziona. Miracolo (come nel film sul ritorno del Cristo vivente).
E compare una scritta sullo schermo: “Paura, eh?”.
E sento in lontananza il mio cellulare che ridacchia piano, nell’ombra.

Una serata secondo i programmi

Lunedì, ore 1945.
Sono pronto, come neanche Fantozzi quando deve vedere Italia-Inghilterra.
Cena con amico alle ore 20 in punto, poi concerto di Bowie alla radio, in diretta, da Londra. Il mio amico dovrebbe portare qualcosa da bere o altro, chissà. Comunque mangeremo, ci sentiremo il concerto alla radio, chiacchierando e cantando pezzi di canzoni e scoprendone di nuove. E poi avrò il ricordo del concerto, lo registro.

E come?

Corro alla Virgin, che è aperto fino alle ore venti. Entro e, ovviamente, sono l’unico cliente. Di solito alla Virgin la musica è varia, ma comunque orecchiabile–>gradevole–>acquistabile. Invece c’era sparato a palla un gruppo metal urlatissimo. Compro due cassette da novanta ed esco, pensando “mitico, ce l’ho fatta”. Piove tantissimo, ma il mio amico ha trovato un passaggio in macchina. Arriverà.

Ore 2005. Mi chiama. “Ritardo una ventina di minuti, i viali sono completamente bloccati, piove tantissimo”. Guardo il sugo per la pasta e gli dico di aspettare. Un po’ borbotta, ma poi si quieta. Penso che mangeremo in ritardo, ma pazienza. La pioggia, intanto, aumenta.
Ore 2035. Il mio amico non si fa vedere. E io non ho una lira sul cellulare per chiedergli dove sia, come stia, e soprattutto quando pensa di arrivare.
Ore 2045. Mi sintonizzo su Radio Due, dove c’è qualcuno che fa dei discorsi assolutamente magniloquenti che elogiano una band nostrana. “Sentiamo”, mi dico, mentre sgranocchio degli animaletti di cristallo per alleviare la tensione: il mio programma sta andando completamente a puttane. La canzone è orrenda. Ovviamente.
Ore 2050. Arriva il mio amico, zuppo e trafelatissimo. Ovviamente, poverino, non è riuscito a portarmi alcun omaggio. “Non importa”, dico io, “sta per iniziare il concerto”. E mi sento un po’ come si dovevano sentire i miei nonni, vicini alla radio per non perdere niente, neanche una parola. Quasi mi commuovo.
Ore 2103. Il concerto non verrà trasmesso. La Sony ha revocato all’ultimo momento la licenza per la diffusione. Tento di fare come Muzio Scevola e sto per immergere la mano destra nel sugo bollente, ma il mio amico mi ferma all’ultimo momento.

La serata si è conclusa con una partita a Trivial, che perdo. Però ho imparato che i ragni hanno otto occhi. Di tutte le cazzate che scorrono in una partita di Trivial Pursuit, in genere se ne ricorda una soltanto, dopo. Il ricordo non permane per più di un paio di giorni. No, questo non l’ho scoperto giocando. Esperienza personale.

Andando a letto ho maledetto la Sony, spegnendo la luce. Poi mi sono alzato di colpo, sono andato vicino allo stereo e ho guardato le cassette comprate per registrare il concerto. Ho tirato un sospiro di sollievo. Almeno erano della TDK.

Un pomeriggio come altri

Tutto inizia con io che inciampo come un fesso sul cavo di rete che collega il mio portatile ad altri apparecchi che ora non vi sto a spiegare. Un rumore sordo. La porta esterna implode. E la storia continua così.
Telefonata al centro assistenza Sony di Milano
Come al solito, prima di arrivare ad una voce umana passo attraverso voci registrate, “selezioni uno”, musichette varie. Mi risponde una persona che mi chiede immediatamente il numero di serie “della macchina”. Che fa tanto Matrix. Gli chiedo dove posso trovarlo. Lui risponde “Sotto il computer”. E non aggiunge “imbecille” perché se no lo licenziano, solo per quello. Gli dico di aspettare un po’. Quando torno al telefono, la comunicazione è stata interrotta. Ricompongo il numero. Solita trafila. Spero che mi risponda quello di prima per dirgli “vabbè, sono stato un po’ lento, ma insomma…” invece è un altro. Ma stavolta ho il mio bel numero di serie a portata di mano. Dopodiché mi vengono chieste una serie di informazioni personali (Rodotà, aiuto!), che io fornisco. Che devo fare? Dopo cinque minuti buoni posso spiegare il problema. Ovviamente i “danni da idiozia dell’acquirente” non sono coperti dalla garanzia. Quindi? “Quindi le mandiamo il corriere che si viene a prendere la macchina e ce la porta”. Attendo un po’ e mi dice il costo solo per il trasporto: sessanta euro. “Se glielo porto io?” (al maschile: computer, e che cavolo). La risposta è agghiacciante: “Non può”. Ah. E ovviamente i costi di riparazione sono a parte. “Ci penso su”, dico io, nel panico. La conclusione è terrificante. “Le volevo dire che c’è un sito di informazioni della Sony” e mi dà l’indirizzo. “Ma a che mi serve, adesso?” chiedo. “No, è solo per informarla”. Ah.
Consulenze
Preso dal panico telefono a qualche negozio di computer a Bologna (città in cui ovviamente i negozi di solito chiudono il giovedì). Mi risponde una famosa catena di vendita di pc. “Guardi, noi abbiamo pessimi rapporti con la Sony, e non mettiamo le mani dentro ai portatili, quindi comunque lo manderemmo a Milano. E probabilmente loro non cambieranno il pezzo, ma le chiederanno di cambiare la scheda madre, visto che nei portatili tutto è saldato alla scheda madre”. Io mugolo qualcosa e poi chiedo: “E quanto mi verrebbe a costare, secondo lei?”. Un silenzio di tomba. Poi: “Le conviene comprare un computer nuovo”. Almeno questo non ha parlato di macchine. E mi dà un suggerimento: una scheda di rete esterna. A soli quaranta euro. “E dove si mette?”. “Nella porta pisiemsiaiei”. Ho un coccolone. Ma loro non hanno schede di rete esterne. Chiamo l’altro negozio della catena e loro mi dicono la stessa cosa. Ma: 1. ce l’hanno e 2. la voce della ragazza che mi risponde mi piace. Vado.
Adolescenza oggi
Arrivo al negozio e dico che ho chiamato prima alla ragazza alla cassa. È bellissima. Ma veramente bellissima. Ed è una delle poche ragazze bellissime che conosco che fa finta di non saperlo. Meraviglia. Inoltre scopro che è lei che si occuperà del mio computer e quindi, per una perversa e del tutto personale interpretazione del principio di transitività, di me. Piccola parentesi. Di solito non mi comporto come un idiota con le donne. Ecco. Con lei ho fatto qualsiasi cosa sbagliata. Per esempio:

  • tentare di parlare male della Sony, per avere un minimo di dialogo: niente, il silenzio;
  • mostrarmi interessato e dire delle cose assolutamente ovvie;
  • sbagliare i verbi;
  • rimanere cinque minuti davanti alla cassa cercando lo scontrino che la meravigliosa fanciulla mi ha appena dato (“mi sa che l’hai messo nella borsa” “ah già, eccolo, pensa te…”);
  • sbagliare l’uscita dal negozio.

Ho perso io interesse in me stesso. Non oso pensare a lei.

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