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Dagli archivi: Terminator 3 – Le macchine ribelli (Jonathan Mostow, 2003)

Terminator 3 – The Rise of the Machines

Di Jonathan Mostow
Con Arnold Schwarzenegger, Nick Stahl, Claire Danes, Kristianna Loken, David Andrews
Durata 109’
Distribuzione Medusa

La storia: Dieci anni dopo avere rischiato la pelle a causa del T-1000 inviato dal futuro per ucciderlo, John Connor deve fronteggiare la temibile Terminatrix, o TX, e anche il sistema Skynet, che ha creato un virus per bloccare l’intero sistema telematico mondiale. Ma, ancora una volta, dal futuro verrà inviato un Terminator per proteggere lui e quella che sarà la sua futura compagna nella vita e nella resistenza degli uomini contro le macchine, quando il giorno del giudizio è ormai imminente.

All’inizio di T3 John Connor ricorda le parole della madre Sarah: il futuro non è scritto, dipende da noi. E ammette di non esserne proprio convinto. Pur non essendo all’altezza del primo episodio, quest’ultimo film della serie Terminator condivide con esso un certo pessimismo di fondo, che fa sicuramente bene, e lo distanzia quindi (per alcuni versi) da Il giorno del giudizio.

John è uno sbandato, non ha una casa, non ha un lavoro fisso, non si sente assolutamente l’eletto, il futuro capo della resistenza. L’eletto. Cosa vi ricorda questa parola? Matrix, ovviamente. Niente di più lontano. Se, infatti, soprattutto nel secondo capitolo della trilogia dei Wachowski la filosofia spicciola, e soprattutto il tema del libero arbitrio, viene continuamente tirata fuori in un insostenibile (a mio avviso) e poco comprensibile eccesso didattico e didascalico, in questo film tutto rimane sullo sfondo, pur essendo presente, per fare spazio all’azione sfrenata. E per fortuna.

Il ritmo di T3 è magistrale, il film non lascia un attimo di tregua allo spettatore ed è divertente, pur non avendo eccessive pretese. I rari momenti di pausa sono stemperati da una buona dose di ironia, cosa a cui già T2 ci aveva abituato, ma senza esagerare, evitando di usarla come ultimo mezzo per mostrare di avere ancora qualcosa da dire. Spesso alcuni luoghi tipici riscontrabili nei due film precedenti sono rivisitati e capovolti.

Per esempio, Terminator appena arrivato nel presente è come sempre nudo e in cerca di vestirsi. Come nel secondo episodio, entra in un bar country&western, dove però, proprio quella sera, c’è una Ladies’ Night: a nessuna, quindi, fa paura l’enorme figura di Schwarzy, anzi, le avventrici guardano ammirate il suo corpaccione ignudo. Esattamente come il poliziotto che la ferma per eccesso di velocità guarda ammirato il seno della Terminatrix seduta in macchina, seno da lei rimodellato aggiungendo qualche taglia per l’occasione dopo avere visto una pubblicità di Victoria’s Secrets. A questo punto si potrebbe iniziare un bel discorso analitico sul corpo, corpo umano, corpo robotico… Ma no, non c’è tempo. E per fortuna.

Perché dopo dieci minuti di film è tutto un turbinio di inseguimenti, sparatorie e di esplosioni, cose a cui anche i due episodi precedenti ci avevano abituato. Cosa poteva rimanere da fare, allora, al valido Jonathan Mostow, per non sfigurare? Nel secondo Terminator l’inseguimento avviene con un camion? Qui c’è un’autogru, con braccio posto orizzontalmente, in modo da sfasciare più cose possibili ai due lati della strada. In una scena un elicottero entra a tutta velocità in una specie di hangar. Basta? No, perché, qualche secondo dopo, ecco irrompere un altro elicottero, secondo una logica dell’accumulo che risulta incredibilmente efficace.

I personaggi, poi, sono come devono essere: la TX è bellissima e spietata (e riconosce le persone leccando il loro sangue e acquisendo notizie sul loro codice genetico). Terminator ha ormai una sua ironia (involontaria per il personaggio, ma assai calcolata e modellata su quella che emerge dal secondo capitolo) e ha in dotazione un programma di lineamenti di psicologia integrato nella memoria (questo gli permette di dire battute che agghiacciano i due protagonisti, del tipo: “La vostra serenità è positiva, allontana l’ansia e la paura di morire”).

Forse è un po’ debole il personaggio interpretato da Clare Denis, Kate Brewster, ma in questo contesto funziona. E infine John Connor, che rimane lo stesso adorabile cazzone de Il giorno del giudizio, ma con in più, come dicevo, la consapevolezza che il suo ruolo è troppo grande per lui. Il confronto tra lui e Terminator, che potrebbe raggiungere pesantezze “filosofiche” inaudite, si limita a qualche momento efficace, in cui, appunto, emerge il tema del libero arbitrio e delle responsabilità del singolo rispetto alla collettività (ricordando vagamente, in qualche modo, alcuni punti di Spider Man).

Ma questo, lo ripeto, non è fondante. Viene accennato solamente, e tanto meglio per chi lo coglie (non ci vuole molto), ma chi non lo dovesse fare si può godere tutto comunque. John Connor rimane una persona spaesata, che guarda al futuro tra lui e Kate in maniera umana (della serie: ma pensa un po’, avrò dei figli con questa ragazza carina), e che rimane pieno di paure e di incertezze.

La scena finale del film è emblematica: i due rimangono al sicuro in una sorta di bunker e ricevono le prime chiamate via radio da parte dei sopravvissuti all’inevitabile giorno del giudizio: inizia la resistenza, di cui Connor, quindi, sarà il capo. Quando gli chiedono chi è che comanda laggiù, John esita molto, prima di dire il suo nome, e parla quasi mormorando. I due protagonisti si stringono la mano, per cercare un appoggio in un altro essere umano più che per altri motivi. John e Kate non si baciano mica, del resto è appena iniziata una guerra nucleare, a chi verrebbe in mente di farlo? Bravi.

Recensione originariamente apparsa su duellanti, ottobre 2003

Le elezioni in California e le proporzioni cinebiografiche: gioco stupidissimo ma inquietante

Di solito scrivo qua di notte, a tarda notte. E non è detto che non lo faccia anche oggi. Ma era un po’ che non scrivevo, e sembra che qualcuno se ne accorga. La mia compagna di chiacchiere pomeridiane (blogger anch’essa) mi ha detto: “Poi scrivi, eh?”. Un po’ come la mamma dice al bimbo: “Gioca, ma poi li fai i compiti, eh?”. Scrivo, come vedi, scrivo.

Guardo almeno un paio di telegiornali a pranzo e un paio a cena. Ma ho pranzato presto e cenato tardi, quindi mi sono visto le due edizioni principali del TG2. Non ci ho prestato molta attenzione, se no la cena mi sarebbe andata di traverso. Ma la copertina dell’edizione delle 21 era dedicata a Schwarzenegger. Un po’ guardavo, un po’ mangiavo, un po’ ascoltavo. Ho pensato alle proporzioni. Dunque.

Reagan. Attore. Governatore della California. Due mandati presidenziali. E’ vero che viene ricordato come un presidente che ha fatto molto per il disarmo mondiale, ma è pur sempre quello che ha messo in ginocchio l’economia americana con il progetto “Scudo Stellare”.
Che, detta così… Cioè, chiamare un progetto di difesa così, anzi, era meglio noto col nome di “Guerre Stellari”… Solo ad un attore di Hollywood poteva venire in mente. E nel mio cervello rimbalzano, ancora una volta, le parole di Doc in Ritorno al futuro, quando chiede a Marty, per provare che effettivamente viene dal futuro, di dirgli chi è presidente nel 1984. “Ronald Reagan”. “Ma chi, l’attore? E il vice chi è, Jerry Lewis?”.

Schwarzenegger. Attore. Governatore della California con maggioranza schiacciante dei voti. In molti scommettono su una sua candidatura alle prossime presidenziali. E probabilmente vincerebbe anche lì.

Proporzioni. Ronald Reagan, a volte noto come Elvis Reagan (dico sul serio) ha recitato in una sessantina di film. Penso che abbia fatto il cattivo solo un paio di volte. Personaggi scialbi. Film fiacchi.
Arnold Schwarzenegger ha avuto il suo primo ruolo in una puntata de L’ispettore Derrick, dove faceva un culturista che aveva violentato e assassinato una donna (e veniva prontamente assicurato alla giustizia dal teutonico poliziotto). Misteri della mente umana (la mia). Ricordo quella puntata benissimo. Lui la uccideva perché, davanti ad una sua esibizione muscolare, lei rideva dicendo che sembrava una scimmia.
Anche lei, dico, incosciente. Vai a dire “Scimmia” a Schwarzy?
Poi Schwarzenegger ha fatto altri film, raggiungendo la fama con il cattivissimo Terminator.

Un cowboy da quattro soldi, filmicamente parlando, ha comunque combinato dei casini allucinanti per quello che riguarda la politica estera e interna… Speriamo che Schwarzenegger diventi subito il Terminator buono. Hasta la vista, baby?
Sì, sono molto, molto preoccupato.

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