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Vent’anni di blog

Caro A Day in the Life,

ti ho inaugurato nel pomeriggio del giorno di Ferragosto del 2003: ero da solo a Bologna, nella casa dove avevo trascorso gli anni dell’università, faceva caldo, c’erano zanzare in quantità e io mi consolavo bevendo Bacardi Breezer e guardando a ripetizione (il termine binge watching era di là da venire) puntate di Blu Notte su RaiClick, la prototipica piattaforma di streaming creata da RAI e Fastweb. E le registravo su VHS, tanto per sottolineare l’epoca remotissima di cui parlo.

Allora aprire un blog era la cosa da fare, ma farlo a Ferragosto insomma: oggi aprire un blog a Ferragosto sarebbe un atto insensato, non tanto per la giornata, quanto per il mezzo di comunicazione scelto. Sole parole, da leggere poi, senza neanche la comodità di avere qualcuno che le legga per te? Niente video, reel, storie? Follia pura nel terzo decennio del Ventunesimo secolo. Eppure da quel giorno, prima su splinder.it, poi su splinder.com, quindi su WordPress e infine come parte integrante di questo sito personale, si sono succeduti un migliaio di post, dapprima cercando di rispettare il detto nulla die sine linea, ma poi accontentandosi di sporcare queste pagine quanto meno una volta al mese.

Mio bistrattato blog, quanto ti devo: mi hai permesso di esercitare la scrittura, di distrarmi, di passare il tempo accompagnandomi in anni talvolta complicati, ma per lo più divertenti e soddisfacenti, ma soprattutto mi hai fatto conoscere un sacco di persone, consentendomi di stringere legami importanti, alcuni dei quali sono sopravvissuti per anni e anni. Oggi ti festeggio con un post alla vecchia maniera, uno di quelli con le parole ben distese, senza preoccuparmi di sottostare a limiti dei caratteri, di scegliere la foto più accattivante per i gusti dell’algoritmo, di rispettare regole SEO o di puntare all’engagement degli utenti. Solo e semplicemente “amore per le parole”, come da sempre recita il tuo sottotitolo.

Ti sei mantenuto fedele a te stesso, pur accogliendo ultimamente quasi solo materiale d’archivio e adattandoti a cambiamenti tecnici indispensabili. Ma sei inevitabilmente fuori moda. Troppo lungo, troppo poco personale (chi l’avrebbe mai detto), troppo lento. Però non preoccuparti, questa non è una lettera d’addio: sarebbe quanto meno crudele chiuderti nel giorno del tuo compleanno e non ho alcuna intenzione di farlo, né oggi, né in futuro. Perché tuttora credo che per esprimersi sia necessario un certo spazio e una certa lentezza, tanto nella scrittura quanto nella lettura. Ma soprattutto perché rileggendoti ti sento ancora vicino, ti sento “mio”, proprio per tutto ciò che ho scritto sopra. E sebbene spesso mi risuoni nelle orecchie “I Just Wasn’t Made for These Times” dei Beach Boys, riesco ancora a percepire in lontananza il ritornello di “We Can Work It Out” dei Beatles, che ti hanno battezzato.

Grazie e a presto,
Francesco

Di |2023-08-15T13:03:27+02:0015 Agosto 2023|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , |0 Commenti

Assistenzialismo

Sono abituato malissimo, come voi credo, con le assistenze tecniche, gli help desk e tutto ciò in cui mi mette una situazione di bisogno perché non so fare una cosa. Spesso, quindi, ho raccontato piccole tragedie da camera (Kammertragödien, per i colti maccheronici) svolte in linea con operatori o messe in scena in negozi e simili. Ma molto più di frequente ve le ho risparmiate, un po’ per evitare di farvi pena, un po’ per evitare di farmi pena.

Talvolta, però, succede che tu hai un problema tecnico, non sai come fare, e sei costretto a mandare una mail a help@.
E loro ti rispondono.
E no, non è una risposta automatica di cinque parole le cui iniziali lette in verticale formano l’imperativo P.U.P.P.A. Ti rispondono davvero e provano a risolvere il problema, chiedendoti di mandare il file. Allora tu, sprezzante dell’imminente delusione, mandi il file e aspetti, sentendoti come il naufrago che vede il brillare della bottiglia con il messaggio dentro mentre si riempie d’acqua, a largo.
Ma loro ti scrivono di nuovo, dicendoti di provare questo e quest’altro. E tu lo fai, ma, ohibò, il problema non si risolve. Con il cuore in gola, lo comunichi, con una mail che trasuda timidezza e martirio. Sai che quello che stai vivendo non è reale, è inconcepibile. Ti è già successo una volta, e queste sono cose che la vita concede una tantum. Lo senti: arriveranno sventure bibliche per avere ottenuto quelle risposte. Ma, anche senza scomodare il caro vecchio Testamento (che tutti sanno si tratta in realtà di una novelization di un vecchio film in Technicolor redatta senza editor), semplicemente ti senti in colpa per avere ottenuto un servizio. Anzi, ti senti un parassita rompicoglioni. Come stai messo. Ma ormai è troppo tardi: la mail è partita.
Una nuova risposta, con in allegato il tuo file rimesso a posto da loro. E il problema è quasi risolto.

Ringraziate quindi, con me, il prode team di WordPress. E concentrate le vostre maledizioni su Groupalia, che mi ha fregato venticinque euro. Ho un altro help desk da contattare, un’altra missione da compiere. E si ricomincia.

Otto anni, tre mesi e una settimana fa

Ieri sera, mentre cercavo di mettere a punto alcune cose su questo nuovo sito, ricordavo ciò che scrissi quando aprii il blog su Splinder. Provavo funzioni di WordPress e mi dicevo: “In quel post hai descritto proprio operazioni simili a queste: vedere diverse anteprime del blog per scegliere lo sfondo, mettere a posto la testata, pensare alle categorie; e hai scritto anche delle sensazioni quasi entusiastiche nell’iniziare qualcosa di nuovo”. Le stesse leggere felicità che ho provato ieri.
Ma nel giorno di Ferragosto del 2003 scrivevo:

Dopo una giornata di tentativi, ce l’ho fatta e ho aperto anche io il mio blog personale. (…)
Sappiate che sono un fanatico della lingua italiana (l’unica lingua che sa di pizza e che suona il mandolino). Evitate abbreviazioni e “x” e “k”. Stendete le vostre parole lettera per lettera, come un bravo pizzaiolo fa di solito con la pasta. E non pensate di esagerare in quanto a sapore. Ma immagino che per qualche commento ci vorrà del tempo. Intanto vado a sproloquiare qua e là.

Buffo come pensassi di ricordarmi così bene di alcune parole quando invece avevo memoria di sensazioni.
Incredibile (e anche un po’ angosciante) come in tutto questo tempo queste parole siano appropriate per presentare anche la nuova versione di A Day in the Life.

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