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Fennesz – Bécs (Mego), 28 aprile 2014
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Un tempo erano gli ascoltatori a connettere gli episodi della discografia di un musicista: oggi sono direttamente le etichette a promuovere un album come “X parte seconda” e non senza rischi. È capitato con Morning Phase di Beck, succede con Bécs, che la Mego riconduce direttamente a quell’Endless Summer pubblicato dalla stessa etichetta nel 2001. Allora la dichiarata ispirazione erano i Beach Boys: in quest’ultimo album i riferimenti “pop” non sono così univoci.
L’inizio è affidato a “Static Kings”: la chitarra crea riff acustici ed elettrici, ma rimane lieve, lontana dai drones di Black Sea richiamati invece alla lontana nella successiva “The Liar”.
A questa segue l’unico vero “monumento” del disco, la splendida “Liminality”, che in dieci minuti mette in campo tutto quello che c’è e ci sarà: l’inizio come di orchestra che si accorda, la chitarra che entra decisa e solenne, la tempesta elettrica nel mezzo e un minuto o quasi di silenzio finale.
Dopo è tutto variazioni sul tema: “Sav” migliora “Pallas Athene”, “Bécs” usa un pianoforte distorto e straziante, la conclusiva “Paroles” ci sorprende con una chitarra acustica. Il risultato è interessante, le manipolazioni del pop che Fennesz ci propone sono sempre ad alti livelli, ma il paragone con l’estate infinita di tredici anni fa (l’hanno tirata fuori loro, del resto) non regge.
Recensione pubblicata originariamente sul numero di maggio 2014 de Il Mucchio Selvaggio