I Me Mine

L'indivia e il pene

Sono appena tornato dal concerto di Ani Difranco. Ma non è di questo che voglio parlare. Andiamo con ordine. Ha aperto il concerto un duo che si chiama Bitch and Animal. Sulle prime mi sono sembrate delle lesbiche incazzatissime, fin troppo. Non tanto nella musica, quanto nei testi. Poi, invece, quando si sono unite ad Ani nel bis, cantato in italiano (“Voglio mangiare una donna”) mi sono reso conto dell’ironia che ci sta sotto. Per fortuna.

Sapete, sono estremamente tollerante, anzi, di più. Come molte persone della mia generazione, non vedo differenza tra omosessualità, bisessualità ed eterosessualità. Ma è l’intolleranza che non tollero.

“Ma che stai dicendo? È un controsenso. Oh! Mi ascolti? Ehi! Bah…”

Avevo, qui a Bologna, due amiche lesbiche. Ne ho tuttora, e anche più di due, ma è di queste che voglio parlare. Io conoscevo una delle due, che, ad un certo punto, si è messa con una ragazza molto bella, molto affascinante, molto intelligente. A parte il fatto che odiava gli uomini. Questo, però, l’ho saputo dopo, perché dalle prime volte che sono andato a casa loro ho trovato questa ragazza aperta, disponibile e simpatica nei miei confronti. Certo, un bel po’ radicale, ma insomma. Una volta ho pranzato con loro. E, per dare loro una mano, mi sono messo a pulire l’insalata, dell’indivia (o lattuga), appunto. Passa da casa loro un mio amico, che conosceva come me la mia amica, ma non la sua ragazza. Rimane là per un po’, e mi accorgo che la ragazza lo tratta male, o meglio, non lo considera affatto. Non capisco e continuo a pulire l’indivia. Dopo un po’ entra in cucina la mia amica, e le chiedo il perché di quell’ostilità.

“Ce l’ha coi maschi, lo sai”. La guardo con aria interrogativa. “Ah, ma lei pensa che tu sia gay”. Guardo il cespo di insalata. Lei mi dice che avrebbe continuato lei. Prende il coltello e inizia a tagliarlo.

Sono immediatamente andato in bagno a ritoccarmi il mascara.

How old are you?

Oggi sembra domenica, e l’aria è tiepida. Andando a comprare del vino (in quella che forse diventerà la “notaenoteca”?) ho incrociato due bambini. Due ragazzini. Insomma, avranno avuto dodici-tredici anni. Risalivano la strada di casa mia verso i Giardini. E fumavano una sigaretta, a tiri brevi, cercando quasi di nasconderla.

Avevano gli occhi bassi, probabilmente stavano marinando la scuola, forse era la prima volta che lo facevano. Forse lui un po’ è innamorato di lei e dei suoi capelli lunghi lunghi. Forse lei viene presa in giro perché esce-con-un-maschio.
Avevano gli occhi bassi. Ma sorridevano e camminavano a gran passi, per rifugiarsi nel parco, lontani da occhi indiscreti. L’ho visto, quanto si sentivano grandi. Ho iniziato a pensare a me, a cosa sono e alla mia età e a che cos’ero quando avevo la loro età.

Mi ha svegliato il saluto dell’enotecaro (!) e il peso delle tre bottiglie di Pinot nero che ho comprato.

Di |2003-09-20T12:17:00+02:0020 Settembre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , |8 Commenti

Il dugongo sepolto

Qualche giorno fa, un’amica che vive a Londra da qualche anno mi diceva di quanto fosse buffo che certe parole che rimangono chiuse e sepolte per anni nella memoria, a volte, di colpo, tendano a rimergere.

Ieri sera io e qualcun altro abbiamo giocato a Trivial (lo so, ultimamente me ne sto in casa di sera, ma, a differenza di Marcel, non me ne vado a letto presto: quindi invitatemi ad uscire, anche tardi). Insomma, ad un certo punto capita una domanda: “Che animale dell’antichità era spesso scambiato per una sirena?”. Io e la mia squadra abbiamo risposto “il delfino”. Invece la risposta corretta era “il dugongo”. Non so se abbiate idea di che animale sia un dugongo. Lo vedete lassù. È un mammifero acquatico, anche piuttosto brutto, un incrocio tra un delfino e una foca. Come cacchio avrà fatto a ricordare una sirena agli antichi… A me Daryl Hannah ricorda una sirena… Ma il punto non è questo. Il punto è che quando ero piccolo avevo un amichetto piuttosto grosso e sua madre lo chiamava scherzosamente dugongo. Io non sapevo cosa fosse il dugongo, ma ero un grande appassionato di animali, quindi lo cercai in uno dei miei libri. Mi vedo in questa stanza, in quella che non so se chiamare casa mia o casa dei miei (no, non sono a Bologna, provengo da altri lidi e ogni tanto torno a salutare mamma e papà, eh insomma), una stanza che era sistemata diversamente, sulla poltrona intento a sfogliare un librone di animali e a guardare una foto o un disegno del dugongo. Che è rimasto sepolto nei miei pensieri fino a ieri.

P.S. La parola a cui si riferiva la mia amica, invece, era “blog”.

Di |2003-09-12T00:32:00+02:0012 Settembre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , |7 Commenti

Domenica

Chi mi conosce lo sa (per citare illustri concittadini): io odio le domeniche. Non so perché non le sopporto.
Bologna, di domenica, si trasforma ulteriormente. Famiglie che si tengono per mano (una a una: nessuna catena umana) e vanno a prendere il gelato in centro. Oppure si prende l’autobus e si va dalla periferia verso il centro. E allora si vedono coppie che vanno a pranzo dai genitori o, molto più spesso, signori anziani che vanno a pranzo dai figli. Con, ovviamente, il padre che ha in mano una bottiglia di vino e la moglie un vassoio di paste. Vestiti bene, si chiedono per quanto ancora andranno a trovare i figli. E magari pensano che la nuora, o il genero, proprio non gli è mai piaciuto. Ma non lo dicono, lo pensano.
Bologna, di domenica, è la città dei Giardini Margherita con gente che pattina, gioca a calcio, suona, fuma o va semplicemente a leggere il giornale. E nei prati si trovano le comunità di stranieri: i russi, per esempio. Si siedono per terra, o su qualche panchina e chiacchierano chiacchierano chiacchierano.
A Bologna, di domenica, è quasi tutto chiuso. Rimangono aperti soltanto i negozi dei pakistani, in centro. I clienti sono pochissimi. E finalmente i pakistani possono parlare tra di loro nella loro lingua, e magari smetterla di sorridere (sono sempre sempre gentili e sorridenti: cosa rara negli esercizi commerciali del centro, a parte rari casi) e condividere preoccupazioni, nostalgie, cose buffe successe nei giorni passati.
Fuori dalla stazione, nel piazzale centrale, le cose non cambiano quasi mai. Ma di domenica si ritrovano spesso immigrati dell’est. Stanno lì e chiacchierano. Mi sono sempre chiesto perché si ritrovino davanti alla stazione, con tutti i posti che ci sono a Bologna. A volte penso, in maniera ingenuo-romantica, che queste persone hanno lo spostamento nel sangue. E quindi non c’è luogo più familiare del non-luogo per eccellenza, la stazione.
Non mi piacciono le domeniche. Ma oggi sento che mi fanno tenerezza. Uscirò, forse, per guardarmi in giro. Oppure no, terrò queste mie parole e farò finta che siano quello che c’è fuori.  Buona domenica a tutti voi che mi leggete. Posso ringraziarvi, ancora una volta, per le cose carine che mi scrivete? Grazie.

Di |2003-09-07T14:58:04+02:007 Settembre 2003|Categorie: I Me Mine, There's A Place|Tag: , , , , , , , |1 Commento

Frammenti. In attesa di avere qualcosa da dire.

Un dialogo tra me ed una mia cara amica. “Sai, ultimamente sento solo persone che si sono innamorate e stanno vivendo storie d’amore bellissime”. “Ma guarda che non è così. Sei tu che le senti di più queste cose. Come quando hai un ritardo e vedi solo donne incinte”.
Un annuncio appeso qua e là a Bologna. “Diplomata ventitreenne cerca lavoro creativo”. Segue numero di telefono. Sono tentatissimo di chiamarla per sapere come va…
A dopo.

Di |2003-09-03T15:47:30+02:003 Settembre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , |0 Commenti

Leggende metropolitane, acciughe e altri strani fenomeni

Incredibile, insomma. Ieri ha piovuto e mi sono emozionato. E non sono stato il solo. Una giornata di inizi. Quindi ho spedito la solita ventina di e-mail per mantenere la rete di contatti (che dicono sia importantissima: staremo a vedere) e per propormi qua e là. Ho detto propormi, anche se si tratta di una sorta di casting in vista delle solite care vecchie prostituzioni (credo) in senso lato, ovviamente.

Ho anche fatto la spesa. Placido e tranquillo. Mi diverte sempre molto andare nei supermercati. Forse perché, alla fine, mi diverte guardare le persone, sono curioso. E vederle tutte lì, intente a fare la stessa cosa, è bellissimo. Inoltre, un paio di anni fa, girava una strana voce. Si diceva che un supermercato nel centro di Bologna, in un certo giorno della settimana, verso l’ora di chiusura, fosse un ritrovo per single. Che poi avevo letto in qualche stupido giornale che il supermercato è uno dei luoghi dove i single tendono ad incontrarsi di più. Da tempo ho in mente di scrivere qualcosa su questo. Ma andiamo avanti.

Ovviamente io e i miei coinquilini siamo andati più volte al posto giusto e nel momento giusto. E effettivamente abbiamo visto un gran numero di donne tiratissime. Ora, dico: ci sono le vie di mezzo. Puoi andare al supermercato vestito/a in maniera decente, ma senza essere tirato a lucido. E invece no. Tacchi alti, trucco perfetto, eccetera eccetera. Inutile dire che non ci siamo fidanzati. Il punto è: casualità o verità? Non credo ci sia una risposta. Basta che la voce abbia girato un po’, infatti, per fare sì che la leggenda si trasformasse in realtà.

“Ma Samantha, che stai facendo? È due ore che sei chiusa in bagno”
“Eh sì, mamma. Devo andare a fare la spesa… Anzi, mi stiri la gonna viola, ché sono in ritardo?”

Invece ieri sono andato in un supermercato meno à la page, ma più vicino a casa. Faccio la mia spesa e aspetto l’autobus per tornare a casa. L’autobus arriva, io salgo, quando una signora esce dal supermercato, mi vede, corre verso di me e mi dice: “Ti sei dimenticato le azzugheeee!” con spiccato accento bolognese. Io faccio spallucce, le porte si stanno chiudendo. Il pubblico dell’autobus mi guarda. Mi sento un po’ imbarazzato. Penso a chi si mangerà le mie acciughe.

Tornando verso casa, ad un incrocio, vedo una Smart. Dentro due ragazzini che secondo me non hanno più di diciott’anni e un paio d’ore. Ma hanno la Smart. Sono annoiatissimi e ascoltano della musica. Uno dei due è in ciabatte, con un piede mollemente appoggiato davanti al sedile. Passo e attraggo la loro attenzione. Uno dei due dice: “Bella maglietta, vecchio!” (per chi non fosse di Bologna, o non conoscesse il gergo, “vecchio” equivale a “tizio”, “amico” e cose così). Mi guardo la maglietta. È la cara, vecchia, banalissima Parole di Cotone con su scritto “Sono Wolf. Risolvo problemi”. Ho cercato la foto della maglietta sul sito, ma non la fanno più. Mi sono sentito irrimediabilmente vintage.
E in più senza acciughe.

Cambi di stagione

Mi sono svegliato, stamattina, ed era settembre. E non faceva caldo, e quasi stava per piovere. Ed è lunedì. Primo settembre. Il giorno perfetto per iniziare (una dieta, a smettere di fumare – carina la cosa dell'”iniziare a smettere”…). Già l’avevo sentito ieri sera che era settembre, sì. Ho quindi deciso di cambiare foto sullo sfondo, questa che vedete è di Friedlander, e di cambiare font per i miei post. Purtroppo, cari maniaci del font, con me non avrete soddisfazioni cromatiche. Preferisco essere leggibile, diciamo, a costo di essere banale in quello che viene chiamato layout.

Inizierò, quindi. Ho una lista di cose da fare. Anche perché il compito mica è facile: qui bisogna tentare di costruirsi (non ricostruirsi) una Vita Adulta. Ah, le maiuscole, che meraviglia. La pioggerellina non mi intristisce, anzi. E magari stasera esco e avrò quasi freddo. Quasi.

Voglio ringraziare tutti voi ancora una volta. Questo diario urbano è aperto da un paio di settimane e ha avuto settecento visitatori. Sono contento. Spero che le mie parole vi facciano quanto meno piacere (se no c’è del masochismo a continuare la lettura, no?).

Una notarella finale. Ieri pomeriggio vado a comprare un gelato in una “notagelateria” dietro casa mia (eh eh). Mi faccio fare lo scontrino e vedo che la ragazza al banco prende una vaschetta da mezzo chilo e inizia a riempirla. Le dico: “Mica è per me, quella?”. Lei si ferma e dice: “Ma sì, mi hai dato uno scontrino per mezzo chilo”. Io le dico che ho pagato per un gelato normale. Lei, quindi, rimette il gelato a posto e mi prepara un cono.

Il paradiso è pieno di persone oneste e snelle.

Di |2003-09-01T13:55:45+02:001 Settembre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , |0 Commenti

Felicità, dipendenze e piaceri

Forse devo prenderne atto. Ne sono dipendente. Anche stanotte, nonostante sia piuttosto tardi, mi sono guardato su Rai Click un’altra puntata di “Blu Notte”. Era il caso della Croara, questa volta. Un altro caso irrisolto, un delitto commesso da queste parti. Lucarelli un po’ gigioneggia come sempre, ma in fondo è bravo, molto bravo a raccontare le storie. Ecco, uno dei piaceri della vita, per me, subito dopo la triade (non in quest’ordine) “sesso-cibo-sonno” è quello di ascoltare e raccontare storie. Forse per questo scrivo. Forse per questo scrivo qua.
Lucarelli descrive Bologna, una città che conosce bene, in maniera diversa dal solito. Diversa da quella di cui parla Pazienza, diversa da quella delle cronache del ’77, diversa da quella di Brizzi. Vede il lato “paesano” di Bologna, e di conseguenza anche il lato oscuro, che, come ben sappiamo, ogni paese ha. Queste descrizioni mi fanno rabbrividire di piacere, perché ho la sensazione di non conoscerla del tutto questa città che mi ha adottato ormai sette anni fa, e che ho vissuto (per quello che ho fatto) pienamente e senza risparmiarmi.
Bologna ti coccola, me ne sono reso conto oggi, seduto in Piazza Maggiore. San Petronio mi sembrava enorme, eppure la sua facciata ormai così familiare, era affettuosa, e gli altri palazzi della piazza sembravano avvolgermi e abbracciarmi. Talvolta l’abbraccio si fa soffocante, ma talvolta, quando si ha freddo, è così bello coprirsi fino a sentire quasi che ti manca il respiro.
Non so quanto resterò in questa città. Non lo so. Ma so che mi resterà dentro. E non è detto che io non ci ritorni. Io, che raramente torno sui miei passi.
Torno brevemente al caso di “Blu Notte”. I genitori di Lea, la vittima, hanno fatto pubblicare il diario della figlia. In una pagina lei dice che la sua unica aspirazione è essere felice.
Ecco.

Ritorno al passato

Ultimo giorno a Roma, passato a vedere ieri notte la prima parte di Ritorno al futuro e questo pomeriggio la seconda. Stanotte presumo che toccherà alla terza, già che ci sono. Per questi film vi rimando qui, che è il posto dove entro vestito da critico cinematografico (cialtrone).

Eppure qui nella casa dove sono ospite a Roma, ci sono un sacco di film. Perché ho rivisto dei film, invece di arricchire la mia cultura cinematografica vedendo qualcosa che non avevo già visto? E sono messo anche peggio, visto che, appunto, stanotte quando tornerò inserirò nel dvd la terza parte. Devo dire a mia discolpa che è passato un sacco di tempo da quando ho visto questi film. Insomma, c’è una sorta di voglia di sicurezza, non so. Certo, non ho rivisto cose del tipo Italian Fast Food, insomma, mi sento in un certo senso riparato dalla qualità delle scelte-amarcord. Ma basta, questo?

Ho visto Ritorno al futuro per tornare al passato.
Scusate, ma adesso devo andare a dare una riguardata alla mia DeLorean…

Di |2003-08-22T17:49:00+02:0022 Agosto 2003|Categorie: Act Naturally, I Me Mine|Tag: , , , |2 Commenti

Coppie, storie, letture

Oggi sono andato a finire di leggere il libro della Gallagher (Io e Carver, Minimum Fax) in piazza Santo Stefano. Il libro è una letteratura di una relazione, ci sono saggi introduttivi della Gallagher ai libri del marito, riflessioni, parti di diario, lettere, eccetera. Una lettura frammentata che mi ha permesso più volte di alzare la testa e di guardarmi intorno. Ci sono stato due volte a leggere in piazza, la prima verso l’una, la seconda verso le sei. Entrambe le volte ho visto una famiglia di americani. Che strana coincidenza. Forse si erano persi, ma si sa che

nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino

ed escludo che la famigliola in questione fosse di Berlino.

Poi: una ragazza magrissimissima che si è messa a scrivere qualcosa con una grafia minutissima, tutta piegata in maniera strana. Mi ha ricordato un insetto stecco. Forse non è carino come paragone. Perdonatemi.
Ogni tanto vedevo delle donne. Sembravano sole, poi spuntavano i partner. Che cosa buffa. Sembravano destinate a ricongiungersi col partner. Mi ha fatto venire in mente il mercurio. Avete presente quando si rompe un termometro e ci sono in giro tutte queste palline argentate liquide divertentissime che stanno lontane le une dalle altre, ma poi quando si toccano si uniscono e formano una goccia più grande, che pare inscindibile…
E anche due ragazze, giovani e carine, che parlavano tra loro. Mi sembravano interessanti, fino a che una di loro ha deciso che doveva cambiare suoneria al cellulare. E le ha provate tutte, più volte. Il mio interesse è scemato.

Ho pensato a Ray e a Tess (Carver e Gallagher) e a quanto si volevano bene.
Ma non mi sono intristito, anzi. Vivo la mia singletudine. E basta. Senza orgoglio né rimpianti, ma con una caratteristica tipica del nostro popolo. No, non il fatto che cantiamo sempre. Parlavo del fatalismo.
Domani me ne vado a Roma. Ma il mio portatile viene con me.
Adesso mi guardo qualche altra puntata di “Blu notte” fumando sigarette e bevendo rum cooler. Giudicate voi.

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