I’ve Just Seen A Face

Moviegoers – prima parte

Dopo anni di frequenza di sale cinematografiche di qualsiasi tipo e a qualsiasi ora, sono pronto per mostrarvi la mia collezione di figurine di spettatori cinematografici, con tanto di riferimenti precisi, quando la memoria me lo consente.

Il mangiatore. Non stiamo parlando di gomme da masticare o rotelle di liquirizia, ma di persone che, in condizioni normali (non, per intenderci, in festival in cui non c’è neanche il tempo di andare in bagno), usano il cinema per banchettare. I cibi, di solito, sono contenuti in recipienti la cui foggia è irrilevante, ma che hanno come caratteristica comune l’essere rumorosi. Sacchetti di patatine che, accartocciati e scartocciati, sovrastano esplosioni in Dolby Surround, bottiglie che si aprono e sparano aria compressa, barattoli che da soli riempirebbero di ritmo un sambodromo. Il mangiatore si sente protetto dal buio della sala. Non appena si spengono le luci, apparecchia e inizia a mangiare. Quando l film finisce, apparentemente non rimane traccia del pasto, fino a che uno, sedutosi per assistere allo spettacolo successivo, si trova un osso di pollo conficcato nell’anca.
Bologna, cinema Odeon, poco fa, proiezione di Proprietà privata: un mangiatore ha tirato fuori una Schweppes Tonica, un tupperware e ha intervallato il tutto mangiando delle ignote pasticche da un blister. Ovviamente rumorosissimo.

Il dormitore. Di nuovo, non stiamo parlando di chi si abbiocca all’ennesimo capolavoro del cinema orientale, ma di chi pare vada al cinema per dormire. Di solito sono uomini anziani, che credo vogliano fuggire di casa. Non appena le luci si abbassano, il dormitore entra nella fase del primo sonno, appena il film inizia, parte il russìo, il climax narrativo concide con la fase REM. Niente sveglia il dormitore: è l’ambiente che gli concilia il sonno, una poltrona scomoda non fa differenza, e lui, beato, si addormenta nonostante quindici casse gli sparino nelle orecchie voci, musica, urla. Probabilmente in casa stanno peggio.
Praticamente ad ogni film della mia vita, con una maggiore incidenza nelle proiezioni stampa mattutine e serali della Mostra del Cinema. Ma nonostante questo, puntualmente l’Illustre Dormitore sfornava, il giorno dopo, il suo bel pezzo da Quotidiano.

Il didascalico. Avendo impellente bisogno di commentare qualsiasi cosa, ma con il terrore di sbagliare, il didascalico, appena vede i titoli di testa, inizia a recitarli, con intonazioni diverse. Ascendente se non conosce il nome sullo schermo, discendente se lo conosce. Considerate che di solito il didascalico non ne sa moltissimo di cinema. Questo tipo non si accontenta, però, di commentare i titoli: adotta questo atteggiamento per tutto il film. Quindi se l’attrice si alza, dirà “Si è alzata”, se l’antagonista muore ne decreterà il decesso con la precisione di un medico legale, eccetera eccetera.
Prima, come nel primo esempio, stesso posto, stesso film. Inizia il film, con la scritta “Una produzione Tarantula”. La didascalica – variante maestra in pensione – si affretta a comunicare all’uditorio che si scrive “tarantola”, con la “o”.

L’investigatore. Anche l’investigatore commenta, ma con attinenza specifica ad un particolare secondario del film. Se c’è un’esplosione noterà che un piccolo tiglio in basso a destra viene spazzato via, se due amoreggiano, capirà dalla sveglia sul comodino di lui se si tratta di un amplesso mattutino, pomeridiano, serale o notturno, e così via.
Giovedì 22 novembre 2006, anteprima de Il labirinto del fauno al cinema Capitol. La piccola protagonista del film sta per entrare in un pericoloso anfratto di un tronco. L’investigatore seduto accanto a me dice alla sua ragazza, riferendosi a qualcosa sulle radici dell’albero: “Soccia, mo guarda che fungo enorme c’è là! Mo cos’è, un porziino?”

continuail

Neighbours 9 – New Year's Edition

Nella nuova casa, nella quale abito da sei mesi, non mi sono mai preoccupato dei vicini. Nel senso che non ho mai avuto problemi di alcun tipo. Ho suonato spesso il piano, quasi ogni giorno, ad ore decenti, e anzi, ho ricevuto solo apprezzamenti. Un po’ di cortesia, ma insomma, si mettono sempre in saccoccia.
Per la mia intima festa del 31, quindi, non mi sono posto il dubbio di dare fastidio. “Non suonerò il piano, e poi è l’ultimo dell’anno”, ho pensato mentre preparavo con l’amico M. un bel cd di mp3 che avrebbe accompagnato le danze. E infatti a mezzanotte (più o meno, chiaro) le danze sono partite. E sono arrivate anche altre persone. Tutti a ballare il Disco Samba, capolavori come “Bette Davis Eyes” e robaccia del genere. All’una e trenta la modalità random ha scelto “Everybody Needs Somebody to Love” dei Blues Brothers, e la mia vicina ha deciso che non ne poteva più. Mi arriva una telefonata sul cellulare da un numero che non conosco.
“Francesco, buon anno, eh, auguri, sono la vicina di sotto. Insomma, tanti auguri, buon 2007, però la musica che arriva nel pozzo luce è insopportabile. Però auguri.” Riesco a capire che non si tratta della scelta della musica (se no le lamentele sarebbero arrivate su “I’ve had the time of my life”, quanto meno), ma del volume. Quindi mi sono trovato costretto a smorzare tutto.
“Mi è arrivata una telefonata dalla vicina del piano di sotto”, ho detto. “Mi dispiace, basta musica della discoteca, metto Vivaldi”.
La gente che c’era ha capito che non scherzavo quando ho chiuso le finestre e nella stanza si sono diffuse le note delle “Quattro stagioni”.
Dopo i lapalissiani commenti del tipo “E vabbè, però è l’una e mezzo, è Capodanno”, eccetera, abbiamo trovato una soluzione e abbiamo ballato con la musica bassa fino alle quattro del mattino, senza che nessuno si lamentasse. Uno a zero per i giovani.

Ma è l’epilogo quello che mi ha sorpreso. Alle undici e mezzo del mattino mi arriva un messaggio dalla vicina. “Ancora tanti auguri e buon anno. E scusa per ieri notte.”
Sono rimasto di sasso. Lei che chiede scusa a me? Mi è sembrato comunque un gesto carino. Quest’anno inizia nel segno dell’ammore. E del ballo silenzioso, ovviamente. Ancora buon 2007 a tutti.

Decontextualising is not a crime: parole sparse di un fine settimana natalizio a nordest

22.12.06
“Questo pelinkovec ha un gusto internazionale.”

23.12.06
“In fondo fare i dj adesso non è così difficile: non devi mica usare i dischi. È un po’ la stessa differenza che c’è tra la fotografia analogica e quella digitale.”

24.12.06
“Basta, il prossimo anno non festeggio più il Natale, non mangio, niente.”

25.12.06
“Io le ragazze slovene le brucerei. Entrano nel mio negozio e non salutano e parlano tra loro in sloveno.”

26.12.06
“D’un tratto, come si dice, tra il rusco e il brusco.

Di |2006-12-27T17:11:00+01:0027 Dicembre 2006|Categorie: I Me Mine, I've Just Seen A Face, There's A Place|Tag: , , |6 Commenti

Horny and horned

L’altra settimana io ed E. passeggiavamo per via Ugo Bassi, un po’ ubriachi, cercando dell’arietta.
Non l’abbiamo trovata, per la cronaca.

Ci hanno incrociato due ragazzi: lei, bionda, evidentemente americana, un po’ sciatta ma con qualcosa negli occhi che attraeva. Una che, mi hanno detto, si chiama slapper, in gergo. Dal rumore che fa quando sciabatta ubriaca con le infradito di gomma portate con disinvoltura sotto una gonna firmata. Lui, italiano, tipicamente italiano. Che quasi la rincorreva. E che, verso di lei, ha pronunciato la seguente frase, un po’ ansimando: “I don’t wanna be a cornuto”.

Io ed E. ci siamo guardati e abbiamo capito che sì, avevamo sentito proprio quella frase. Intanto la slapper e il suo scondinzolante amante, forse, avevano trovato dell’arietta.

Di |2006-07-25T17:03:00+02:0025 Luglio 2006|Categorie: I've Just Seen A Face|Tag: , , , , |0 Commenti

Neighbours 8 – Sneak Preview

Ancora non mi sono trasferito nella nuova casa, questione di giorni. Ma, come immaginerete, sono spesso lì per fare lavori, lavoretti, stucchi, affreschi, trompe l’oeil… Vabbè: sono lì per montare mobili Ikea, e basta. Cuore di truciolato.
Ho passato in questo modo anche il giorno del mio compleanno (venerdì: grazie, sì, ho espresso il desiderio, ma che carin*, non dovevi), giorno scelto dal fato per il recapito a casa mia di elettrodomestici e di un armadio di tre metri per due. Che è stato montato da due omini prezzolati. Omini prezzolati che, come da accordo, non solo hanno montato il bestione (frase che scritta così ha un sentore di zoofilia snuff), ma hanno anche eliminato i vari imballaggi, portandoli via con loro.
E si sono portati via anche un cartone che sembrava vuoto, ma in realtà conteneva istruzioni e viti di un pezzo che dovevo montare io. Ho realizzato la cosa troppo tardi, e ho pensato che avevo un’unica possibilità per non tornare in quel posto maledetto alle porte di Bologna, e mi sono precipitato giù dalle scale.
Sulle scale ho incontrato una graziosa vecchietta che, come tutte le graziose vecchiette, quando sentono un giovane che avanza alle loro spalle, anche se zoppo, in sedia a rotelle, sciancato o tutt’e tre le cose, si mettono di lato come se stessero passeggiando lungo l’Autosole nel pomeriggio del 14 agosto. “Vada, vada, che lei è giovane, e io sono lenta.” Trascuro lo scarto logico tra le due opposizioni, penso che alla fine qua, 9 giugno dopo 9 giugno, iniziamo a vedere la terza decina, e mi comporto da perfetto vicino. Forse troppo, nel senso che, dieci minuti dopo che mi sono presentato già mi dice che mi tratterà come suo nipote e mi carezza il viso (giuro). E poi iniziano i guai. Sempre fermi sulle scale, mi informa che:
– in quel palazzo ci sono continuamente dei furti;
– sono previste grosse spese per rifare questo e quello.
Inizio ad essere preso da un vago senso di ansia, e sono tentato di chiedere alcune delle pastiglie che sicuramente la signora tiene nella borsa. Glisso, e intanto arriviamo al portone. Lei mi carezza ancora, mi chiama per nome, mi dice “chebelgiovine” (che sa un po’ di gerontofilia snuff).
Ma io ho una missione da compiere.
“Mi scusi signora, devo fare una cosa”, dico, e con gesto atletico mi sporgo nel cassonetto sotto casa e inizio a ravanare nella monnezza, per cercare l’imballaggio perduto.

Epilogo. Alla fine l’ho trovato. E quindi la mia dose di culo per il 2006 l’ho usata tutta. In un cassonetto.
Il secondo tragico epilogo. Delle orrende spese di cui sopra si discuterà nella prossima riunione di condominio. La prima riunione di condominio della mia vita.
Stasera.
Alle 21.
In perfetta contemporanea con Italia – Ghana.

Neighbours 6 – Compagni che sbagliano

Ne è passato di tempo dall’ultima puntata, eh. E ne sono passate di case. Beh, prima di lasciare – tra poco – questa in cui vivo, non potevo non darvi ragguaglio del mio vicino di casa.
Ho intuito la presenza di un essere umano nell’appartamento accanto in maniera decisamente sottile: sono stato svegliato una mattina da “La Locomotiva” di Guccini sparata a palla. Il che è sempre meglio che essere svegliati da “Faccetta nera”, anche se il mio sogno sarebbe quello di essere svegliato da Tori Amos che mi canticchia nell’orecchio. Se proprio devo essere svegliato.
Insomma, il vicino non si accontentava, però, di farmi ascoltare un cd, no. Ci suonava e cantava sopra. Dopo ripetuti ascolti mi sono reso conto che era la versione dei Modena City Ramblers. E ho capito che si trattava di una situazione pericolosa: eh già, perché ci si può invasare (nel dumilasèi) dei Modena City Ramblers solo in tre casi:
1. quando si ha un’età compresa nella fascia teenageriale;
2. quando si è uno dei Modena City Ramblers;
3. quando si è il risultato di un esperimento di congelamento del corpo, iniziato intorno all’aprile del 1994, e finito, evidentemente dodici anni dopo.
Peraltro mi rendo conto che queste tre opzioni potrebbero essere combinate tra loro, ma evitiamo i cattivi pensieri.
Alla settantesima volta in un fine settimana che si sente “La Locomotiva”, girano le palle anche a tutti, probabilmente anche a Guccini. Che poi, cantare, con tanto di chitarra, canti rivoluzionari da soli è un triste segno dei tempi. Dopo l’incazzatura, quindi, avrei voluto organizzare per il compagno-vicino quanto meno una manifestazione di quartiere, di palazzo, di pianerottolo, qualsiasi cosa per farlo sfogare e per riavvicinarlo al suo habitat.
Ma lui mi ha preceduto: adesso non ascolta (suona-e-canta) solo “La Locomotiva”, ma tutto il primo disco dei Modena City Ramblers, Riportando tutto a casa, a.d. 1994, con particolare enfasi (ma che ve lo dico a ffà) su “Contessa”.
Anche il vicino, insomma, vuole il figlio dottore.

Referrers – Gente che cerca altro – 14

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
14. marito ubriaco radicchio mette incinta la ragazza che succede?

Entrò in casa guardandosi attorno in maniera circospetta, come se quella non fosse casa sua, come se qualcuno potesse sbucare all’improvviso e chiedergi la patente e il libretto. Si fermò. Alzò a fatica il ginocchio destro. Portò il pollice della mano sinistra al naso, poi allargò le dita della mano e si abbassò cercando di fare toccare il mignolo con il ginocchio alzato. Mentre lo faceva, lentamente, sussurrò: “Vede, signor agente, non sono ubriaco per niente”. Sorrise per la rima involontaria, e bastò quella piccola contrazione dei muscoli facciali per fargli perdere l’equilibrio e rovinare a terra, con un rumore sordo. Il pensiero corse a sua moglie, nella stanza da letto, che dormiva. Una corsa inutile, visto che, dopo qualche secondo, gli venne in mente che sua moglie non c’era per quel fine settimana. Ecco perché era andato a trovare la sua ragazza. “Amante non mi piace”, gli aveva detto. E allora lui la chiamava “la sua ragazza”. Ovviamente tra sè e sè, perché della storia che aveva con quella donna non sapeva nessuno, non doveva sapere nessuno.
Si diresse, senza capire perché, verso il computer. Urtò il tavolo e la macchina si destò dallo stato di morte apparente: lo schermo si illuminò e la stanza fu invasa da una tinta azzurrina. Solo allora si accorse che non aveva acceso la luce perché pensava che la moglie fosse a casa. Evidentemente un altro pensiero era corso prima, da qualche parte, e chissà se sarebbe mai tornato. Sua moglie, invece, sarebbe tornata, molto più rapidamente di una sinapsi. (Non riuscì neanche a pensare alla parola “sinapsi”: il “ps” per un ubriaco è molto meno facile da immaginare che per uno scrittore di missive distratto.)
La luce del monitor gli timbrò la retina e iniziò a vedere macchioline azzurre ovunque. Una di esse presto assunse una forma oblunga, che sulle prime non riconobbe, ma poi, ecco, iniziò a distinguere sempre più nettamente la forma di un cespo di radicchio. Trevigiano. La sua ragazza voleva preparargli il risotto col radicchio. Invece aprirono il vino (originariamente da usare per il risotto) e iniziarono a bere, e bere ancora, e poi a fare l’amore (“Non mi piace quando dici ‘scopare'”) in maniera sbilenca, fino a che lui prese il cespo di radicchio, e lo usò per soffocare i suoi “No, ma che fai”, ritmati da risatine e sospiri.
Ma aveva usato delle precauzioni, con lei? Cercò nella memoria un momento che lo rassicurasse in qualche modo: sarebbe bastata anche l’immagine di un preservativo che non si srotolava nel verso giusto, del punzecchiamento della confezione dello stesso, l’odore di gomma. Ma io suoi ricordi erano molli e sfocati, e lasciarono presto il posto ad una sensazione di panico, che l’ubriachezza non fece che aumentare.
Si sollevò lentamente, lentamente aprì una finestra del browser. E confessò i suoi peccati ad un motore di ricerca.

Lei lo trovò la mattina dopo addormentato sulla tastiera con, sullo schermo, la pagina di un blog. “Almeno stavolta non è un sito porno”, pensò sua moglie, e andò a disfare le valigie in camera da letto senza nemmeno toccarlo.

Take a Walk on the Wild Side

Ho scritto poche volte di quando torno nella mia città natia: basta leggere un resoconto per capire perché.
Ma questo fine settimana mi è successa una cosa molto particolare: ho conosciuto per la prima volta un ragazzo gay che abita in quel posto dimenticatodaddio. Amico di amica, ha chiacchierato piacevolmente con me. Al terzo locale in cui eravamo vedo che discute animatamente con la mia amica. Mi intrometto, e chiedo quale sia il motivo della disputa.
“Mi sta chiedendo”, dice lui un po’ brillo, “se uno là dietro è gay.”
A questa frase inizia una discussione sul tema: come un omosessuale capisce se un altro uomo è etero o no. Alla fine capisco che se un uomo “guarda e riguarda” un altro uomo, beh, è gay. A meno che l’uomo non sia vestito in maniera molto particolare: in tal caso fa il gay.
“E come fai a sapere se uno è gay ma tu non gli piaci?”
“Guarda e riguarda comunque”, dice lui. E aggiunge: “Ma sai quanti sono gay o bisessuali?”
“Eh, sì”, dico io.
“Sei bisessuale?” dice lui dissimulando entusiasmo.
“No”, rispondo, e quasi mi verrebbe da scusarmi.
“Ma sai qui quanti cosiddetti etero, anche padri di famiglia…”
“Eh”, continuo io, “guardano e riguardano?”
Lui mi fissa per un po’, poi dice, con una punta di tristezza: “Fanno. E rifanno.”
E poi, come al solito, finiamo per parlare di Bologna, di quanto è bella, libera, indipendente, giovane e divertente.

"Così si lavora male": di agenti immobiliari, appartamenti in esclusiva e serpenti a due teste

Me ne rendo conto: sto diventando noioso a parlare di case, ma del resto la mia vita, in questo momento, è in gran parte occupata dalla ricognizione del mercato immobiliare. Sentendo pareri in giro, mi rendo conto che l’agente immobiliare è percepito come un essere dalla moralità un gradino sotto quella di Erode. Mi raccomando, però: non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, soprattutto perché se Erode fosse vivo potrebbe prendersela.

Da ingenuo, pensavo che le agenzie immobiliari avessero l’esclusiva sugli appartamenti. Così non è. E non sto parlando di appartamenti incredibili che i prorpietari, magari, hanno voluto fare valutare a diverse agenzie. No, parlo di postacci strani e messi male. I loro proprietari, immagino, conoscono la legge dei grandi numeri e si basano su quella per tentare di disfarsene. In particolare mi è stato proposto uno stesso appartamento quattro volte. Un posto strano, esotico, affascinante e ributtante allo stesso tempo, perché dotato di due cucine. Come un serpente a due teste, insomma: sei morbosamente incuriosito dall’anomalia, ma non lo vorresti a casa (almeno, io no).
Dopo un po’ ho riconosciuto la casa-dalle-due-cucine nei vari annunci: l’appartamento, infatti, è descritto sempre in maniera diversa. Alcune mie telefonate, quindi, ultimamente hanno avuto questo andazzo.
“Potrei proporle un appartamento [descrizione]…”, dice l’agente.
“È quello [completa la descrizione]?”, dico io.
“Sì, l’ha già visto?”
“Già, è la x agenzia che me lo propone.”
A questo punto si sente distintamente una bestemmia trattenuta tra i denti, poi tutti dicono la stessa identica frase:
“Eh, che vuole: così si lavora male.”
(È un’espressione talmente frequente, ormai, che penso sia un codice segreto tra agenti immobiliari. Un giorno proverò a dire qualcosa come “Lo dice anche Johnny quando fa la torta”, vediamo che succede.)
A quel punto l’agente premuroso mi chiede che cosa non mi sia piaciuto. Evito di dire che viene proposto come ristrutturato quando farebbe la gioia di un qualunque carpentiere e muratore dilettante, e mi limito all’elemento più evidente: il fatto che abbia, appunto, due cucine. Quando lo dico, l’agente in questione non ammette mai l’evidenza. Prima dice “No, non è vero”, poi, quando gli ricordo che le ho viste, è costretto ad ammettere l’affascinante anomalia, suggerendo che, però, una delle due si può togliere. E io sono sempre tentato di chiedere: “E l’appartamento vive lo stesso?”

Daniela Santanchè: il dito medio del potere – terza e ultima parte

La Santanchè arriva alla Camera nel 2001, e inizia a circondarsi di amici.

Ora ho un ottimo rapporto con Italo Bocchino, Andrea Ronchi, Carmelo Briguglio, Nino Strano, e anche Maurizio Gasparri, con cui, all´inizio non c´era molto feeling.

Strano, lui che è così simpatico. Ma il vero mentore della Santantiè è sicuramente lui, La Russa.

Quanto a Ignazio La Russa dico solo che io esisto, perché se lui non avesse creduto in me non ci sarebbe mai stata una Daniela Santanchè story sul Foglio…

Ignazio, le tue responsabilità nei nostri confronti crescono a dismisura.

Ma non si circonda solo di politici, la Santanfriendly, e il suo biografo fa risaltare bene il fatto.

Tra le amicizie di Daniela Santanchè , in Parlamento e fuori, spicca Paola Ferrari, risultata in un recente sondaggio comparso sui quotidiani la giornalista tv più apprezzata dai camionisti.

Aspettiamo presto legami con Brigitta Bulgari e Lady Dominio, quindi.

Ma com’è, come non è, insomma, la Santanchair è in Parlamento. Per provarlo, ci dice esattamente dove si siede.

Ora a Montecitorio, sono vicina di banco di Roberto Alboni, Antonio Mazzocchi e Nicolò Cristalli, però Mazzocchi non c´è quasi mai perché sta al tavolo di presidenza, così io posso usare la sua sedia per poggiarci sopra borse, giornali e cappotto…

Che meraviglia. Puoi anche stendere le gambe, pensaci. Santanbag, una donna concreta, come una dei suoi idoli.

Quando ero ragazza impazzivano tutti per Claudio Baglioni, che andava per la maggiore, ma io no. Non ho mai avuto dei miti, che so i cantanti, gli attori, e infatti non avevo neppure i classici manifesti appesi in camera. Solo ora, con la politica, mi è venuta la passione per Margaret Thatcher: una donna che mi avvince, che ha cambiato la storia del suo paese.

Daniela, se ti va ti passo un bootleg degli Iron Lady, lo sai, il gruppo in cui suonava Maggie.

Ma i veri miti sono in casa (delle libertà).

Nel centrodestra Silvio Berlusconi è il genio, Gianfranco Fini la politica, Umberto Bossi il mattatore, Marco Follini l´equilibrista.

I fantastici quattro, insomma. Notare gli epiteti mascherati per Bossi e Follini. Ma è per il suo Presidente che Santanlacchè spende le parole migliori.

Gianfranco Fini, grande presidente di Alleanza nazionale, la cosa che più mi colpisce è la sua capacità oratoria eccezionale, se si decide di ascoltare qualcuno per capire la politica non ha pari. E poi le sue uscite sugli immigrati, oppure su Israele, appartengono a una destra moderna ed europea, popolare ma non populista, meritocratica ma non classista, elitista ma non elitaria. La destra dei grandi valori: l´appartenenza alla patria, la sacralità della vita, la centralità della famiglia. Questo vuol dire essere di destra.

Un po’ incerta la sintassi, Daniela, la prossima volta ti voglio più preparata, ma un sei più te lo do. Adesso va’ a posto, e scrivi il tema sul Natale.

Un lavoro bestiale fare gli alberi e tutto quanto. A Roma ho addobbato il camino con il pino verde, le lucine, le palline e i fiocchetti rossi; a Milano ho fatto, oltre al presepio, l´albero con i fili d´oro, le palle d´oro e bordeaux e le lucine tutte bordeaux; a Cortina poi, dove arriverò il venticinque, l´albero è tutto d´argento. Lì festeggeremo con Paola e Marco De Benedetti, i miei amici Trentin e Schemoz, e tutti i bambini. Ci sarà un Babbo Natale che entra dal giardino e lascia i regali nel camino, il Mercante in Fiera, per i piccoli le patatine fritte con la cotoletta alla milanese e il succo di uva nella finta bottiglia di champagne, per i grandi i cappelletti in brodo e bollito. Niente panettone, bensì pandoro con la panna montata e la frutta secca. Quanto ai regali vorrei ricevere le borsette Kelly di Hermes, che colleziono, e altri salami da Paolo Bonaiuti: io sono ghiotta da matti di salami. L´unico politico cui farò il regalo, invece, sarà Ignazio La Russa, che per me è come un familiare.

Daniela Santaclaus si misura con i suoi colleghi di partito, anche con i più spinosi.

Un ottimo rapporto ce l´ho anche con Mirko Tremaglia… se penso ai culattoni, io quella battuta non l´avrei detta, ho tanti amici tra gli omosessuali… comunque non commento le parole di un ministro della Repubblica… e poi, se ci ripenso, mi viene troppo da ridere.

Ti sarà sicuramente venuta in mente una bella barza sui froci, eh?

E adesso, varie ed eventuali (feat. The Club). Cucina (notate le virgole, messe come il prezzemolo)!

E´ bello, nel mondo, di internet, portare avanti le tradizioni, avere ancora delle cose antiche cui fare riferimento, stare tra i tegami. Quanto al mangiare invece ho una passione per la minestrina, quadrucci e stelline con il brodo di carne oppure di pollo ma senza parmigiano, per le mammole dei carciofi bolliti e, ancora di più, per i salami di ogni tipo, felini, piccanti, cacciatorini… solo la finocchiona mi piace un pò meno. E poi adoro la mortadella, il prosciutto crudo, il culatello, il lardo, la pancetta, la coppa….

Amore!

Non ho mai avuto, neanche da ragazzina, il prototipo dell´uomo ideale, del genere biondo, alto, con gli occhi azzurri. Mi sembra una stupidaggine. Diciamo in generale che, per quanto mi riguarda, l´uomo perfetto non deve essere perfetto, però deve volere solo me, deve farmi sentire che sono l´unica, che non c´è nessun altra al mondo, insomma devo essere la sua regina. Da un punto di vista fisico ho una sola preferenza: non deve essere alto, diciamo al di sotto dell´uno e ottanta…

Carriera!

Io, appena eletta nel 2001, trascorsi tutto il mese di agosto a prendere lezioni private con un professore universitario. E non è che ero del tutto a digiuno: mi sono laureata in scienze politiche, dove mi hanno fatto due palle così con Marx e co´ sto Capitale…

… per non parlare della Corazzata Potemkin, eh, Daniè? Andiamo avanti!

Sono nata fortunata, con un buon carattere, mi piace ascoltare gli altri, perché penso sempre di avere da imparare da tutti, so cucinare, ricamo bene… a punto croce e a mezzo punto… e ho solo vizi modesti: fumo, anzi fumavo visto che ho smesso da poco, mi mangio le unghie, sono pigra.

E per finire… lapsus!

Però non sono ingorda, non solo lussuriosa, non sono invidiosa. Sembro forse un tipo lussurioso?

No, Daniela. Abbiamo capito dal tuo gesto che sei troppo fine per essere lussuriosa.

fine

P.S. Un grazie a Succo di mela che, grazie ai commenti a questo post, mi ha fatto scoprire l’imprescindibile sito della Santanweb.

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