Parla come mangi
Ieri sera ero fuori a cena e ho ascoltato le ordinazioni dei tre uomini al tavolo accanto al mio. Come antipasto hanno ordinato una schiacciata. Uno di loro ha precisato “Con mezza porzione di prosciutto”, e quelle parole mi hanno quasi reso nostalgico. Non sentivo da molto l’espressione “mezza porzione”, ma il piacere di riascoltarla è stato spazzato dalla richiesta dei primi. “Una tagliatella al ragù”, ha detto uno dei tre alla cameriera. E il secondo ha rincarato la dose, chiedendo “uno spaghetto allo scoglio”. Di ciò che ha chiesto il terzo non ho avuto percezione, da tanto mi sono innervosito (eh, sono fatto così).
Perché la pasta, soprattutto la pasta, ora si nomina al singolare? Perché “uno spaghetto”, “una tagliatella”? Perché se no la zuppa (singolare) si sente assediata? Perché questa stupida moda sta prendendo piede, insieme alle altre perversioni che catalogo qua sotto “The Word”?
Sembra che adottare il singolare, anche in questo caso, “elevi lo status” del parlante esattamente come usare “piuttosto che” per stilare elenchi o simili. Ordinare “una tagliatella” è una variante colta dell’espressione “(delle) tagliatelle”, quindi. Ma non è tutto: in diversi ristoranti ho letto menù che riportavano voci come “La tagliatella al tartufo”, “Il maccheroncino alle noci” e cose del genere. Bizzarro il fatto che, in media, “La tagliatella” costi più delle “Tagliatelle”, a prescindere dal condimento…
Dovendo riassumere, quindi, si va dall’assai plebeo plurale indeterminato al nobilissimo singolare con articolo determinativo, in un’ipotetica scala della (finta) raffinatezza linguistica applicata alla gastronomia.
Ipotizzato, quindi, l’uso “distintivo” dell’aberrazione linguistica, avrà forse a che fare con la mania alla singolarizzazione (passatemelo) che invade ogni campo dove il gusto, qualsiasi cosa voglia dire, dovrebbe farla da padrone? “Il capello quest’anno si porta corto”, “L’occhiale in titanio non si vende più”: espressioni che ho notato numerose volte sulla bocca di tutti.
Rimango senza risposte, e spesso anche senza parole: ma penso sempre che queste, un giorno, si potrebbero vendicare. Attenzione, quindi: praticamente calvi, con un solo (corto: è la moda) pelucchio sul cranio come Charlie Brown, vi immagino aguzzare la vista oltre il monocolo in titanio per scorgere sul piatto la sottile linea rossa di ragù che orna la vostra tagliatella.



3. Facebook ha ridotto ulteriormente l’unità minima di comunicazione
Frasi singole, citazioni, spesso solo parole o segni grafici, addirittura. Che cosa significa tutto ciò? Che cosa si vuole comunicare nella stragrande maggioranza dei casi, se non se stessi, in maniera, peraltro, criptica a tutti gli altri (e non credo che tutti gli “amici” veri o virtuali di questi utenti abbiano le idee chiare su cosa volessero dire)? Non ci sarebbe niente di male, se questa modalità ormai adottata dalla stragrande maggioranza degli utenti di Facebook non portasse a due conseguenze.
Premesse
Un forum sulle falciatrici raccoglie appassionati di giardinaggio e agricoltori; Facebook, invece, è una campionatura (enorme) del mondo: esattamente come lo è il web, ma in un altro senso, dall’interno, per così dire. Infatti, anche la condivisione del materiale presente in pagine e profili sottointende la creazione di un account su quel social network. E le innovazioni, o meglio i cambiamenti, che Zuckerberg sta apportando (di continuo, per disorientare e fare arrendere l’utente all’accettarli senza approfondire) continuano ad andare in questo senso. Ora c’è la mail di Facebook, con tanto di @facebook nell’indirizzo, che convoglia in un unica casella sms, mail, messaggi privati. Ma, a quanto ne so, non è possibile, per dire, scaricare la mail con un software di gestione come Thunderbird o Outlook o Mail, o quanto meno
Proprio l’altro giorno mi è arrivata un’e-mail di invito per una festa a Milano. A un certo punto del testo c’è scritto: “