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Referrers – Gente che cerca altro – 14

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
14. marito ubriaco radicchio mette incinta la ragazza che succede?

Entrò in casa guardandosi attorno in maniera circospetta, come se quella non fosse casa sua, come se qualcuno potesse sbucare all’improvviso e chiedergi la patente e il libretto. Si fermò. Alzò a fatica il ginocchio destro. Portò il pollice della mano sinistra al naso, poi allargò le dita della mano e si abbassò cercando di fare toccare il mignolo con il ginocchio alzato. Mentre lo faceva, lentamente, sussurrò: “Vede, signor agente, non sono ubriaco per niente”. Sorrise per la rima involontaria, e bastò quella piccola contrazione dei muscoli facciali per fargli perdere l’equilibrio e rovinare a terra, con un rumore sordo. Il pensiero corse a sua moglie, nella stanza da letto, che dormiva. Una corsa inutile, visto che, dopo qualche secondo, gli venne in mente che sua moglie non c’era per quel fine settimana. Ecco perché era andato a trovare la sua ragazza. “Amante non mi piace”, gli aveva detto. E allora lui la chiamava “la sua ragazza”. Ovviamente tra sè e sè, perché della storia che aveva con quella donna non sapeva nessuno, non doveva sapere nessuno.
Si diresse, senza capire perché, verso il computer. Urtò il tavolo e la macchina si destò dallo stato di morte apparente: lo schermo si illuminò e la stanza fu invasa da una tinta azzurrina. Solo allora si accorse che non aveva acceso la luce perché pensava che la moglie fosse a casa. Evidentemente un altro pensiero era corso prima, da qualche parte, e chissà se sarebbe mai tornato. Sua moglie, invece, sarebbe tornata, molto più rapidamente di una sinapsi. (Non riuscì neanche a pensare alla parola “sinapsi”: il “ps” per un ubriaco è molto meno facile da immaginare che per uno scrittore di missive distratto.)
La luce del monitor gli timbrò la retina e iniziò a vedere macchioline azzurre ovunque. Una di esse presto assunse una forma oblunga, che sulle prime non riconobbe, ma poi, ecco, iniziò a distinguere sempre più nettamente la forma di un cespo di radicchio. Trevigiano. La sua ragazza voleva preparargli il risotto col radicchio. Invece aprirono il vino (originariamente da usare per il risotto) e iniziarono a bere, e bere ancora, e poi a fare l’amore (“Non mi piace quando dici ‘scopare'”) in maniera sbilenca, fino a che lui prese il cespo di radicchio, e lo usò per soffocare i suoi “No, ma che fai”, ritmati da risatine e sospiri.
Ma aveva usato delle precauzioni, con lei? Cercò nella memoria un momento che lo rassicurasse in qualche modo: sarebbe bastata anche l’immagine di un preservativo che non si srotolava nel verso giusto, del punzecchiamento della confezione dello stesso, l’odore di gomma. Ma io suoi ricordi erano molli e sfocati, e lasciarono presto il posto ad una sensazione di panico, che l’ubriachezza non fece che aumentare.
Si sollevò lentamente, lentamente aprì una finestra del browser. E confessò i suoi peccati ad un motore di ricerca.

Lei lo trovò la mattina dopo addormentato sulla tastiera con, sullo schermo, la pagina di un blog. “Almeno stavolta non è un sito porno”, pensò sua moglie, e andò a disfare le valigie in camera da letto senza nemmeno toccarlo.

Referrers – Gente che cerca altro -12

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
12. cosa fanno i bambini marocchini alle farfalle

Se ne stava seduto vicino alla finestra a guardare fuori, sperando di trovare le parole giuste, là fuori, l’inizio di qualcosa, o anche un motivo per farlo alzare dal computer e andare a farsi una passeggiata. L’aveva fatto altre volte, senza motivo.
Gli sarebbe piaciuto avere qualcuno che aspettava le sue parole, ma, per il momento, erano solo per lui stesso.
Gli sarebbe piaciuto dover staccare il telefono, perché assillato da un editore, da un committente, da un produttore. Ma il telefono era come se fosse staccato: tanto non suonava mai.
Ma sapeva che aveva una storia da raccontare. Questo se lo diceva quando pensava potesse vederlo qualcuno. Sì, perché prima di addormentarsi si diceva che il giorno dopo avrebbe scritto la storia, che le parole sarebbero arrivate, ci voleva solo tempo. Altre volte, invece, non si addormentava affatto, pensando alle parole che non venivano.
Continuava a guardare fuori i bambini del vicino che giocavano. Aveva iniziato tre o quattro volte quello che poteva essere veramente il nuovo romanzo, una storia normalmente multietnica. Avere dei vicini marocchini, magrebini, nordafricani, come avrebbe dovuto scriverlo?, poteva, anzi, doveva essere un vantaggio.
Ma quelli non facevano niente. I genitori andavano a lavorare, i bambini, ormai grandicelli, andavano a scuola e poi stavano a casa a giocare, tra di loro o con i loro amici. La mancanza di integrazione aiuta le storie, non c’è niente da fare.
Ributtò lo sguardo fuori: uno dei bambini, non sapeva neanche il suo nome, stava rincorrendo una farfalla. Pensò che forse era la prima farfalla della stagione, la primavera stava arrivando e forse la farfalla sarebbe sopravvissuta. Guardò lo schermo per un attimo: le stagioni cambiavano col desktop, e sul suo monitor campeggiava ancora un paesaggio innevato. Volse di nuovo la testa verso la finestra, e vide qualcosa di incredibile. Il bambino aveva preso la farfalla e la teneva sulla mano. Sembrava che le stesse parlando. Poi chiamò la sorella, e lei spuntò da dietro la casa con un’altra farfalla sulla mano. Poi, sempre tenendole così, i bambini si misero a correre, senza che le farfalle si muovessero, e li perse di vista.
Il suo stupore durò poco, il tempo di cercare una possibile spiegazione sulla grande rete di quello che aveva visto. Si mise a leggere parole d’altri e perse un’altra occasione per usare le sue.

Referrers – Gente che cerca altro – 11

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
11. mito dell’orgasmo

Di scrivere a Cioè non se ne parlava neanche. Non voleva mischiarsi alle ragazzine che chiedevano se limonando si potesse rimanere incinte, o che pensavano che la vera prova d’amore fosse il sesso anale. E poi lei non era una ragazzina. Aveva ormai vent’anni, e insomma… E poi non poteva leggerlo Cioè. Doveva ammetterlo: le dava fastidio dover ammettere a se stessa che ragazze più piccole di lei, se si doveva credere a quello che scrivevano, avevano avuto una vita sessuale di almeno una decina di volte più intensa della sua, anche se con una partenza simile: la prima volta d’estate, in campeggio (nel suo caso si trattava di un bungalow, ma sono sottigliezze): una tragedia. Solo che lei si era fermata lì. Non era andata da nessuna parte, poi, e non era manco venuta. Arrossì pensando alla stupida battuta che aveva fatto. Non sapeva proprio che cosa fosse l’Orgasmo. Sì, lo pensava anche con l’iniziale maiuscola. Perché è vero che non leggeva più Cioè, quanto meno non in modo partecipante, al massimo lo rubava alla sua cuginetta (lei aveva limonato-e-basta, almeno lei, per fortuna), ma era passata a Cosmopolitan. E si era definitivamente depressa. Orgasmi multipli, clitoridei, vaginali, mentali, tantrici. E lei? Mai niente. Un po’ di piacere, ogni tanto, da sola, ma niente di più. Con le amiche non ne parlava. Loro, a sentire quello che dicevano, gliela mettevano in saccoccia (arrossì di nuovo) alle star del porno. Quando si parlava di sesso, semplicemente, annuiva e rideva quando doveva farlo. Comunque anche le sue amiche non parlavano mai della grande O. O quando ne parlavano usavano lo stesso linguaggio di Cosmo, come lo chiamavano loro. E lei si era convinta che l’orgasmo, semplicemente, non esistesse, ma fosse qualcosa di impalpabile, etereo. Mitico.
Cliccò alcune parole su un motore di ricerca, per avere delle conferme.

Dopo un po’ di frequentazione del mondo dei blog, capì che, nonostante le tutte pippe che questi personaggi su internet si tiravano, non sarebbe riuscita a raggiungere neanche l’orgasmo mentale. Smise di leggere Cosmopolitan e si mise il cuore in pace. Dopo qualche giorno, per caso, venne l’amore.

Referrers – Gente che cerca altro -10

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
10. frasi collega pensione

Gli dispiaceva che il Biraghi se ne andasse in pensione. Se lo meritava, eh, dopo trentacinque anni in quel posto, se lo meritava. Ma sentiva che gli sarebbe mancato, dopo quasi venticinque anni passati vicini. “A te non ti mancherà”, gli aveva detto pragmatica sua moglie. “A te ti scoccia che questo vuol dire che anche tu, dopo il Biraghi, te ne andrai in pensione.” E con un perfetto sillogismo, aveva aggiunto: “Il Biraghi se ne va in pensione perché è vecchio, tu senti che questo vuol dire che anche tu tra un po’ andrai in pensione, quindi anche tu sei vecchio.” “Tra un po’”, aveva aggiunto lui, sottovoce. Ma la frase fu coperta da un forte colpo di tosse della moglie, che proiettò delle goccioline di saliva nella minestra che gli stava mettendo nel piatto. “Comunque, se io sono vecchio, anche tu…”, disse, ma non riuscì a finire. “Ci siamo sposati che io avevo ventidue anni, e tu ventisei, ricordi? Bene, fanno quattro anni di differenza. Io avrò sempre quattro anni meno di te. Ah!”, concluse sua moglie, sedendosi davanti a lui con un sorriso di vittoria.
Mangiò la sua minestra e pensò a che regalo fare al Biraghi. “Un pensierino, un biglietto, qualcosa.”
Chiese a suo figlio di mostrargli come funzionava internet. “Ci trovi tutto in rete”, gli aveva detto con una strana espressione. Lui sapeva a cosa suo figlio si riferiva, ma per quello aveva le pubblicità erotiche di notte, che a volte riuscivano anche a risvegliargli qualcosa là. “Usa gugl” aveva aggiunto suo figlio, e, osservando l’espressione del padre, gli aveva pietosamente mostrato il funzionamento del motore di ricerca.  “Quando hai fatto, dimmelo”, gli disse. Poi uscì dalla stanza. Rimasto solo si sentì vecchio. Suo figlio gli aveva rivolto una frase che era più adatta per un anziano genitore che non poteva più badare a se stesso. O per un bambino piccolo che aveva bisogno di aiuto per il post vasino. Guardò per qualche secondo il monitor, poi digitò qualcosa.

Alla festicciola organizzata per il Biraghi, le persone si dividevano in due gruppi: quelli che pensavano “uno in meno”, e quelli che si dicevano “tra un po’ tocca a me”, con un senso di triste sollievo. Quando venne il suo turno, gli si avvicinò con un biglietto in una busta. Biraghi ringraziò e lesse il biglietto: era scritto fitto, con tantissime istruzioni e parole come “template”, “link” e cose del genere.
“Oh”, disse il Biraghi. “Ma che è sta roba?”. “Leggi, leggi, c’è scritto tutto. Apri un blog – me l’ha spiegato mio figlio – e scrivi quello che fai, così non ti annoi, io ti leggo dall’ufficio, magari commento, ci teniamo in contatto, insomma…”
Silenzio.
“Grazie”, disse il Biraghi. Ma si vedeva che non ci aveva capito nulla.

Neighbours 6

Qualche notte fa sono stato svegliato da un rumore strano. Mezzo addormentato ho pensato: “Un pianto. Un forte pianto. Che succede?”. Mi sono tirato su sul letto, e ho capito che quello non era un pianto, ma un gemito proveniente dall’ultimo piano. Un po’ sorridendo, un po’ incazzato perché svegliato ancora una volta dagli amplessi dei miei vicini di casa, mi sono addormentato. Non prima di avere sentito distintamente i due orgasmi, separati. “Abbattiamo il mito dell’orgasmo simultaneo”, ho pensato, rifiutando di partecipare in alcun modo al loro piacere da lontano.
Il giorno dopo, verso l’ora di pranzo, ero nella mia stanza che controllavo la posta elettronica. Dall’ultimo piano provengono delle urla, ma di tipo diverso. Una voce femminile dice, lamentandosi: “Ma mi avevi promesso che avrei lavorato con te anche l’anno prossimo” (per evitare facili incomprensioni: il vicino dell’ultimo piano fa il barista, e anche che le sue partner occasionali: portarsi il lavoro a casa. Bah.). Silenzio. Ancora silenzio. Io tendo l’orecchio.
“E NON MI TOCCARE, CAZZO!”, urla lei.
Ancora silenzio, poi una risatina maschile. Una porta sbattuta. E poi della musica tamarra, sparata a palla.

La musica. Il vero problema del vicino dell’ultimo piano è la musica che ascolta. Stamattina mi ha svegliato verso le dieci. Il problema, ripeto, non è l’ora, ma la musica. Io non so dove prenda i dischi che ascolta, ma vi dico che Los Cuarenta, in confronto, potrebbe essere definita una raffinata collezione di musica da camera.
Stamattina il vicino dell’ultimo piano ha ascoltato una canzone sola, cantata in inglese da un uomo che non conosco. Intendiamoci: dopo averla ascoltata una volta ho pensato di regalargli tutti i dischi di Michael Bolton, meno dannoso. Solo che, ad un certo punto, completamente fuori ritmo, fuori dalla melodia, fuori da tutto, il vicino barista ha urlato uno straziante “Goodbye”. E basta. Ha spento lo stereo. Quest’uomo sta soffrendo. E, di riflesso, frantuma anche le mie, di palle. Aiutatelo, aiutatemi.

Di |2004-07-05T13:13:00+02:005 Luglio 2004|Categorie: I've Just Seen A Face|Tag: , , , , |9 Commenti

Neighbours 5

Quando sono venuto a vivere in questa casa, loro non si vedevano mai. Però si sentivano. Una volta sono tornato a casa e i miei coinquilini mi hanno detto che avevano litigato, tirandosi piatti e oggetti, come nei film. Dalla finestra della cucina, dall’altra parte del pozzo luce, in alto, potevamo vedere una parte del loro appartamento, decorato in maniera bizzarra. Ecco che la coppia del secondo piano, eliminata la dicitura “quelli che quando litigano urlano e si spaccano i piatti in testa”, è diventata “quelli con la casa dipinta” o, più brevemente, “i pittori”.
Poi, finalmente, li abbiamo visti, e sono diventati “i tossici”. Entrambi sulla trentina, alti e magri, emaciati, non parlano mai. Forse hanno bisogno di un servizio da dodici, per farlo. Non pare che sentano musica, né guardino la televisione. Si vede soprattutto lei, che ogni tanto prende la bicicletta ed esce. Oppure sono insieme nell’atrio del mio palazzo, completamente riempito di enormi pannelli di polistirolo o di compensato, e portano a casa questi oggetti. In effetti questo farebbe pensare più ad un’indole creativa che tossicomane, ma si sa che a volte le cose sono legate.

Ma il punto non è questo. Il vero mistero legato alla coppia del secondo piano è il saluto.
C’è sempre un problema, nel salutare le persone che vedi spesso, ma con le quali non hai scambiato mai mezza parola. Saluto da lontano? Ciao e sorriso? Cenno col capo? Con loro la questione non si pone in questi termini, ma seguendo la dicotomia “dentro/fuori”. Mi spiego. Se uno dei due, o entrambi, mi incontra all’interno del palazzo dove vivo, saluta. Se l’incontro avviene fuori, niente, neanche un cenno. Ma con “fuori” non intendo a Melbourne. Intendo anche un metro oltre il portone di casa.
Questa cosa continua a lasciare sconvolto me e i miei coinquilini. Perché fanno così? Non ci riconoscono se non nel nostro habitat? Non si fidano degli sconosciuti in quella tentacolare metropoli che è Bologna? Sono pazzi?

Ho deciso che li stuzzicherò, per amore della scienza. Passerò un pomeriggio seduto mezzo fuori e mezzo dentro il mio portone, e li aspetterò. Vediamo cosa faranno, se mi saluteranno. Ovviamente, se vedo che tirano fuori dei piatti, me la do a gambe levate.

Trailer

Vorrei scrivere un po’ di più su questo blog. Ma mi sto rilassando e sto facendo una solitaria battaglia personale contro la legge Fini sulle droghe. Faccio… una sorta di resistenza passiva continuata, diciamo. O qualcosa del genere. E su, che avete capito.
Quindi, ecco alcuni appuntini, disordinati, sparsi, sconnessi.

  • fra qualche ora si laurea F. e andrò a fargli le feste: ma prima mi comprerò il nuovo disco di Tori Amos. Anche la mia adorata è caduta nella trappola del greatesthits? Basteranno i due inediti e il dvd a giustificare l’uscita di un disco? E basteranno i soldi o quelli della banca verranno a casa mia per spezzarmi i pollici?
  • è uscito Let It Be… naked dei miei amati Beatles: ne ho parlato lunedì in radio, e ho fatto sentire dei pezzi, ma vorrei scriverne qui. Seguendo le orme fraterne… Discorso complesso, quello sul disco dei Beatles, liquidato un po’ troppo in fretta, anche nei blog che leggo;
  • devo assolutamente mettere a posto il template del blog: è una schifezza, me ne rendo conto. Se n’è accorto più di qualcuno, e ringrazio per suggerimenti, testate mandate (non nel senso che hanno mandato quelli della banca a prendermi a testate: poco elegante, non trovate?) e quant’altro. Rimane il fatto che a smanettare col template sono uno schifo;
  • sono riuscito a perdere Raiot, domenica (stanchezza, resistenza passiva di cui sopra), ma grazie a qualcuno sono riuscito a recuperare le puntate in rete, le ho scaricate e me le sono viste. Subito dopo ho mandato a raiot@rai.it una mail, in cui semplicemente esprimevo la mia solidarietà per la prevedibile e avvenuta cancellazione “provvisoria” del programma. Se fossi un buon blogger trovereste qua i link per scaricare anche voi le puntate. Se. Inoltre in molti hanno liquidato un po’ bruscamente la puntata. Dirò la mia. Forse;
  • le avventure di Neighbours vi hanno entusiasmato? Dagli stessi produttori, in associazione con ShinyStat, presto la nuova serie: The Referrers. Gente che cerca altro. Ma non preoccupatevi: se non dovesse piacere potrà essere sospesa “provvisoriamente”.

E così mi sono dato i compiti per casa.

La clessidra di Windows: un post inutile. Più degli altri. Concedetemelo.

Sono passati due mesi esatti da quando ho iniziato a scrivere questo diario urbano. Era Ferragosto, ed ero da solo a casa, da solo nel palazzo, probabilmente anche da solo nella via. Una macchia di umidità in cucina ne minacciava la solidità del soffitto, un frigo con molti Bacardi Breezer minacciava la mia sanità mentale, un caldo atroce minacciava punto e basta. Sono passate di qua cinquemila persone. Mi viene da ringraziarle una per una. Come se l’avessi fatto, immagino capirete. Anche perché dovrei ringraziare me stesso un sacco di volte. Poco elegante.

Mi diverto a scrivere qui. Anche se è riduttivo. Perché per me scrivere è divertente, ma è anche qualcosa di più. Molto di più. Ma non mi va, approfondendo l’argomento, di appesantire un post che già andrebbe letto coi piedi di piombo…

“Hai capito? Appesantire, piedi di piombo… Simpaticissimo. Da morire”

D’altro canto stavo riflettendo sui miei post. Ultimamente, me ne rendo conto, sono poco divertenti. Qualche blogger che ho incontrato mi parla dei “Neighbours” come se fossero personaggi di una sitcom. Qualche altro mi vede bere un Martini cocktail e mi fa notare che sia buffo vedermi fare una cosa di cui ho parlato. Sono cose carine da sentire. Mi ha sempre emozionato tantissimo quando le mie parole, per così dire, “hanno preso vita” (espressione da prendere con le pinze – o con il forcipe…).

“Proprio schiavo del calembour. Più che un dono, una malattia: aiutatelo”

Cos’è cambiato, nella mia vita, in questi ultimi due mesi? Direi poco o niente. A parte che ho deciso di prendere decisamente il volo. A parte il fatto che ho scelto una vita che non mi dà certezze, che mi fa stare ore al telefono (niente a che fare con “gay per te ora dal vivo senti e godi”) a inseguire persone più o meno importanti. Spesso con scarsi risultati (niente a che fare con organizzazione eventi o paparazzamenti vari). Non ho certezze di nessun tipo, per quello che mi riguarda. Però ho dei genitori e degli amici meravigliosi. Scusate se è poco.

Ma il punto è che con tutti i tremori, le incertezze, il conto in rosso, la solitudine momentanea, i dolori interiori, il carovita, il fatto che questa città sia sempre più cara e sempre più piccola, l’aumento istat, il padrone di casa stronzo, le delusioni, i telefoni sempre occupati, l’attendere (mi sento spesso come quando si guarda la clessidra di Windows e si pensa: ma sto aspettando e succederà qualcosa o devo tentare l’abracadabra moderno, cioè la combinazione alt+ctrl+canc?) snervante e continuo…

… vado a letto e penso che sono quello che avrei voluto essere in quel giorno di ormai dodici anni fa, quando scrissi il mio primo racconto. O che quanto meno sto percorrendo quella lunga, difficile, accidentata, meravigliosa strada. Mi sento fortunatissimo.

E da domani, giuro, torno a farvi sorridere. Almeno un po’.

“Leggerezza, santiddio, ci vuole leggerezza. Va’, va’ a dormire. Ma guarda questo… Bah.”

Di |2003-10-16T03:04:00+02:0016 Ottobre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , , |15 Commenti

Neighbours 4 – Horror Movies

Il condominio in cui vivo è piccolo, ma ben popolato.

“Ma lo sai che i tuoi permalink funzionano male?” “Mamma! Ma che ne sai tu di queste cose?” “Beh, ho un blog anche io! Anzi, potresti fare qualcosa per il mio template?” Oddio. Un incubo. Solo un incubo. “Francesco? Stai bene? Urlavi qualcosa a proposito dei template. Invece mi spieghi che sono questi feed, che sono?” AAAAAARGH!

Siccome stamattina volevo scrivere qualcosa, ma non sapevo cosa, anche per vedere che fa il mensile effetto di cambio di carattere e di foto-di-sfondo, vi racconto di un’altra coppia di vicini (tranquilli, è pur sempre un condominio: prima o poi gli inquilini finiscono). Al terzo piano (credo)

“Come credi? Ma è sei anni che vivi in quella casa e ancora… E poi uno dice che i giovani non c’hanno a cuore la società… Manco sanno chi sono i loro vicini… E se ti interroga la polizia?”

c’è una coppia. Quello che ci interessa è lui. Probabilmente campano, alto e grosso. Una volta facemmo una festa qui in casa e lui, verso mezzanotte suonò alla porta dicendo che “lui si alza alle quattro”. Ho ipotizzato che lavoro potesse fare. Ancora non lo so. La figura è imponente e minacciosa, ma la faccia, diciamocelo, è buona. E sembra un tipo gioviale. Anche se ha delle mani grandi come padelle da frittura globale (© F. Caccamo). Scusate la rima.

Qualche settimana fa stavo uscendo di casa, quando, davanti alla porta di ingresso del palazzo, ho sentito rumore di chiavi. Qualcuno stava entrando. Quindi mi sono fermato e ho aspettato, immobile, nel buio. E’ entrato proprio lui e ha fatto un salto.
“Mannagg’. Mi hai spaventato”
“Scusa” ho detto io.
E lui (testuale): “Ma no, mica perché sei brutto, è che non pensavo fossi dietro la porta”.

Non ricordo cosa ho risposto e nemmeno se ho risposto. Il cervello girava vorticosamente. Una sola domanda faceva frullare le mie sinapsi: “Ma che cazzo vuol dire?”

Di |2003-10-03T12:28:00+02:003 Ottobre 2003|Categorie: I've Just Seen A Face|Tag: , , , |3 Commenti

Neighbours 3 – Le Pornovicine

Il post che tutti quanti stavate aspettando! Tutti… Qualcuno.
Dopo le esaltanti avventure del vicino barista e del geometra del piano di sotto… The Hot Issue! Tutto vero!

Come avrete letto (forse) la mia cameretta si affaccia su un pozzo luce, sul quale, a sua volta, si affacciano altri appartamenti, un piano sotto e due piani sopra di me (ammazza che menti: quattro piani, sì, giusto). Caratteristica del pozzo luce è quella di conservare il suono in maniera perfetta, come non accade neanche negli studi della Deutsche Grammophon. Con vari risultati.

Fino ad un paio di anni fa, anche uno dei due appartamenti sopra il nostro era abitato da giovinistudenti, anzi, studentesse, per la precisione. Due. Bionde. Piuttosto fighette. Mediamente carine. Com’è come non è (serve a prendere tempo), iniziamo a sentire i loro amplessi. Ma in maniera netta e distinta. Non ho intenzione di scendere in particolari, ma riuscivamo a sentire nettamente preliminari, atto vero e proprio e climax (o orgasmo, o apice del piacere). E non è che stavamo lì a sentire. Non sempre, almeno. Le due fanciulle facevano un fine settimana da sole a testa, in modo tale che avessero la casa libera per i loro ragazzi. Il punto è che noi non avevamo alcuna idea di come si chiamassero le due. Quindi chiamammo la prima “Sì” e la seconda “Mmh”. I nomi non erano casuali. Iniziammo a capire le loro abitudini sessuali. E alcuni curiosi fenomeni. Quando “Mmh” raggiungeval’apicedelpiacere, andava in risonanza con il nostro bidet. Vi spiego. Quando si apre l’acqua calda del bidet di uno dei due bagni (curiosamente situato proprio sotto la camera da letto delle fanciulle), le tubature producevano un rumore sorprendentemente simile a quello che produceva la signorina “Mmh”. Ripeto: non è che stavamo lì a sentire: queste urlavano. E mi svegliavano anche. Era un periodo in cui la mia attività sessuale non era un gran che. Anzi: era nulla. Potete immaginarvi quanto rosicassi.

Gli amplessi di “Mmh” erano decisamente violenti. Andava in crescendo ululanti, in un verso misto di piacere e dolore prolungato: come se qualcuno le torcesse piano piano e in maniera continuativa un braccio dietro la schiena. “mmmmmmmmmmmmmmh!”. Una cosa del genere. E lei urlava, urlava. Tanto da pensare ad una violenza. Giuro che successe, una sera, una cosa del genere. Iniziano i soliti gemiti, ma diventano quasi delle urla. Piano piano tutti gli abitanti del condominio si affacciano al pozzo luce e commentano, piano, come si fa a teatro, quasi sussurrando. Alla fine: applauso collettivo. Giuro che è vero.

Gli amplessi di “Sì” erano più dolci. Ma lei e il suo ragazzo erano imbarazzanti per quanto riguarda l’orario. C’è stato un periodo in cui regolarmente lo facevano alle 1630 e alle 330. Minuto più minuto meno. Allucinante. Quel periodo era l’estate di tre anni fa. Un caldo mostruoso. Un pomeriggio viene una mia compagna di corso a casa mia, per studiare con me un esame orrendo. Le dico: “Guarda che alle quattro e mezzo quelli del piano di sopra attaccano”. Lei non capisce, io non aggiungo altro. Alle quattro e trentacinque lei mi guarda e mi dice: “Ma che è? Un film?”.

Avessi avuto un’havana me lo sarei acceso, e avrei detto: “No, it is life, baby”. Invece ho iniziato a singhiozzare.

E non è finita qua! Non perdete le prossime mirabolanti avventure di “Neighbours”! Tutto vero!

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