Quando sono venuto a vivere in questa casa, loro non si vedevano mai. Però si sentivano. Una volta sono tornato a casa e i miei coinquilini mi hanno detto che avevano litigato, tirandosi piatti e oggetti, come nei film. Dalla finestra della cucina, dall’altra parte del pozzo luce, in alto, potevamo vedere una parte del loro appartamento, decorato in maniera bizzarra. Ecco che la coppia del secondo piano, eliminata la dicitura “quelli che quando litigano urlano e si spaccano i piatti in testa”, è diventata “quelli con la casa dipinta” o, più brevemente, “i pittori”.
Poi, finalmente, li abbiamo visti, e sono diventati “i tossici”. Entrambi sulla trentina, alti e magri, emaciati, non parlano mai. Forse hanno bisogno di un servizio da dodici, per farlo. Non pare che sentano musica, né guardino la televisione. Si vede soprattutto lei, che ogni tanto prende la bicicletta ed esce. Oppure sono insieme nell’atrio del mio palazzo, completamente riempito di enormi pannelli di polistirolo o di compensato, e portano a casa questi oggetti. In effetti questo farebbe pensare più ad un’indole creativa che tossicomane, ma si sa che a volte le cose sono legate.
Ma il punto non è questo. Il vero mistero legato alla coppia del secondo piano è il saluto.
C’è sempre un problema, nel salutare le persone che vedi spesso, ma con le quali non hai scambiato mai mezza parola. Saluto da lontano? Ciao e sorriso? Cenno col capo? Con loro la questione non si pone in questi termini, ma seguendo la dicotomia “dentro/fuori”. Mi spiego. Se uno dei due, o entrambi, mi incontra all’interno del palazzo dove vivo, saluta. Se l’incontro avviene fuori, niente, neanche un cenno. Ma con “fuori” non intendo a Melbourne. Intendo anche un metro oltre il portone di casa.
Questa cosa continua a lasciare sconvolto me e i miei coinquilini. Perché fanno così? Non ci riconoscono se non nel nostro habitat? Non si fidano degli sconosciuti in quella tentacolare metropoli che è Bologna? Sono pazzi?
Ho deciso che li stuzzicherò, per amore della scienza. Passerò un pomeriggio seduto mezzo fuori e mezzo dentro il mio portone, e li aspetterò. Vediamo cosa faranno, se mi saluteranno. Ovviamente, se vedo che tirano fuori dei piatti, me la do a gambe levate.
ehm, anch’io faccio così.. come i tossici-pittori intendo. è che di norma per strada non saluto nemmeno chi non conosco troppo bene, figurati i vicini. ma per le scale sono miei amici, soprattutto se sono ggiovani e possono contribuire alla mia causa contro i MATUSA che di solito mi assillano
ma dove vivi?
vieni qui sul ramo del lago di como che non ti salutano nè dentro il portone nè fuori del portone nè se gli stai crepando davanti……
😀
(katamail è morto: ti ho scritto e non spedisce, argh!)
O forse sono distratti come me… che non riconosco nemmeno mia madre per strada. E non sono tossica. Anche se, forse, un minimo di indole creativa ce l’ho…
(Già che ci sei, seduto mezzo dentro e mezzo fuori, puoi seguire il consiglio di DT e portarti anche un piattino, no?)
sei un poeta.
sei uno sfigato
sei uno sfigato.
la gente sta male. e non solo i tuoi vicini, anche qualche blogger a quanto vedo dal commento precedente.
lafagotta: nel mio palazzo niente matusa. oddio: forse loro pensano che i matusa siamo noi?rael: tornando al lago di como. ma ti immagini se i bravi non avessero salutato don abbondio? che cosa sarebbe successo? metti che non lo riconoscevano. (scontato, lo so, lo so…)latifah: la distrazione mi sembra un po’ esagerata. anche se, a giudicare dai commenti, ormai salutare-il-vicino sta diventando un’attività veramente desueta. (adoro dire desueta)sestaserasonoqui: oh! 🙂anonimo ip 62.101.126.234: ho molto apprezzato il commento successivo che aggiunge il punto. bisogna essere saldi, nella vita. (punto). bravo. oh.kay: male, non so. per quel che riguarda i commentatori anonimi e buontemponi, diciamo che guardo e passo. ma, essendo figli miei, me ne curo. 😉 bellidepapà!