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Referrers – Gente che cerca altro – 9

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
9. eccesso di peluria negli adolescenti maschi

Non ha il coraggio di parlarne con la Debby, no. Sì, è la sua migliore amica, ma da troppo poco. E poi, diciamoglielo, un po’ piaceva anche a lei. No, non gliel’ha rubato, no. Un po’. Forse. Quasi quasi avrebbe preferito parlarne con Marta. Era la più esperta, diciamo. Aveva già fatto almeno almeno uno sega al suo ragazzo. Ma secondo le altre era andata ben oltre. No, non aveva scopato, ne erano sicure, ma ci era andata molto vicino. A Marta piaceva dire in giro cosa faceva col suo tipo, e forse raccontava un po’ troppo, esagerava. Ma forse no. A lei, invece, non andava di dire niente. C’erano dei momenti in cui sembrava che tutte si raccogliessero, come per magia, col solo scopo di parlare di quello che facevano con i loro ragazzi. Chi ce l’aveva, il ragazzo, poi. Sì, perché a questi ristretti circoli partecipavano anche due o tre della compagnia che, si sapeva, non avevano mai oltrepassato il bacio con la lingua. Le loro tette erano rimaste ben chiuse nei reggiseni, per non parlare del resto. Nonostante la loro poca esperienza, partecipavano, forse per apprendere ed imparare. Infatti pendevano dalle labbra di Marta. Le aveva viste una volta da sole che si dicevano che alla fine Marta raccontava un sacco di cazzate, che non aveva fatto la metà delle cose che si vantava di avere provato. Ma il loro sguardo tradiva invidia.
E lei? Lei niente, sorrideva, contenta di stare con uno dei ragazzi più carini della scuola. Punto. Arrossiva quando le venivano fatte delle domande dirette, rivelava poco di sè. Ma quella cosa…
Il problema è che aveva visto Marco nudo. Ed era pelosissimo. Ben diverso dalle foto che aveva visto su Internet, qua e là. Voleva parlarne con qualcuno. Non è che le facessero schifo, quei peli, solo che le sembravano un po’ troppi. Insomma, erano coetanei, lei e Marco. Secondo il suo punto di vista un ragazzo di sedici anni, quasi diciassette, non poteva avere tutti quei peli. Ovunque. Ne avrebbe parlato con qualcuno. Ma prima avrebbe fatto una ricerca lei. Proprio su Internet. Quando provò con “uomini pelosi”, capì due cose. La prima: Marco non era così peloso. La seconda: uomini più pelosi di Marco erano molto molto ambiti. Doveva essere più precisa.
“Eccesso di peluria negli adolescenti”. Ebbe un attimo di esitazione. “Maschi”, aggiunse. Già doveva combattere con i suoi, di peli. Non voleva sapere niente di ragazzine e di peli.

Dopo un paio di giorni un nuovo blog con sfondo fucsia, pieno di faccine e di finestrelle compariva in rete. Il nome? “Mipiaccionopelosi.splinder.com”. Dopo un altro po’ di tempo era una blogstar. Ma soprattutto aveva fatto l’amore prima di tutte le sue amiche.

Referrers – Gente che cerca altro – 8

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8. mutismo colleghi

Le ultime parole di Bignaghi, che se ne era andato in pensione la settimana precedente, non le aveva sentite nessuno. Lui ci aveva fatto caso, ma solo perché tutto in quell’ufficio era nuovo, ci era arrivato da poco. Eppure in quel momento non riusciva a ricordarsele. Aveva bene in mente com’era vestito Bignaghi, anche dove aveva pronunciato quelle frasi, là, vicino alla porta, si ricordava il modo in cui si era girato per andarsene. Anche il tono di voce gli era rimasto impresso. Tutto tranne quello che aveva detto. Bignaghi. Una delle poche persone con le quali aveva parlato, appena arrivato in ufficio. Si lamentava sempre, come fanno le persone anziane che rimpiangono comunque i vecchi tempi: e come si stava bene prima, e un tempo si lavorava meglio. Ma cosa aveva detto? Come in un sogno, la bocca di Bignaghi si apriva, ma non ne usciva alcun suono.
Non si aspettava una grande accoglienza, appena arrivato. Insomma, era un ufficio, e non era il primo in cui lavorava. Ma da qui a non essere quasi salutato, né ad avere risposta ai suoi saluti, beh, ce ne passava un po’. I colleghi del suo reparto se ne stavano sempre appiccicati al computer, leggevano qualcosa sullo schermo, cliccavano, scrivevano. Ogni tanto qualcuno rideva, o si rivolgeva ad un vicino e gli strizzava l’occhio. Lui non aveva vicini: l’avevano messo in una scrivania un po’ isolata, che guardava le altre. Si sentiva come un maestro sulla cattedra in una classe che non lo considerava minimamente. Ma a cosa poteva essere dovuto questo atteggiamento che portava ad un silenzio di tomba, interrotto solo dal clic del mouse e dal rumore dei tasti premuti? Non riusciva a capirlo.
Anche quel giorno nessuno lo salutò, e decise di protestare a modo suo, non facendo nulla tutto il giorno. Sfogliò quotidiani on-line, fece una decina di test sulla personalità, e giocò a una ventina di Tetris diversi. Poi aprì Google e scrisse nella finestra di ricerca qualcosa a proposito della tremenda situazione che si trovava a vivere in ufficio. Click. Si aprì la pagina di ricerca.

Qualche giorno dopo arrivò in ufficio ed ebbe la sorpresa di trovare la sua scrivania accanto alle altre. Nel suo blog un commento da parte dei suoi colleghi, che gli auguravano il buongiorno. Si sentiva integrato e felice. Come un lampo gli venne in mente quel vecchio coglione di Bignaghi e le sue ultime parole: “Queste macchine vi stanno rovinando la vita! Me ne vado prima che sia troppo tardi!”. Sorrise mestamente e indirizzò un insulto mentale al collega in pensione. Erano le nove e trenta del mattino e stava per fare il primo giro di blog della sua giornata lavorativa.

Questi ultimi dieci giorni

Questi ultimi dieci giorni sono stati una sola, lunga, intensa e dolorosa giornata. Da quando sono stato svegliato la mattina di sabato 21 agosto con la notizia della scomparsa di Enzo, ad oggi pomeriggio, quando ho consegnato il pezzo per il numero speciale di Diario che uscirà venerdì. Ogni tanto, in questi dieci giorni, mi sono chiesto che cosa avrei fatto di questo blog, che è diventato qualcos’altro, rispetto al solito. Mi sono chiesto se avrei scritto un’altra puntata di Referrers. Un’occhiata a Shinystat mi è bastata per decidere che non era il caso. Ho pensato di dedicare questo spazio a quello che venivo a sapere su Enzo, sulla sua scomparsa e sulla sua fine: temi che mi hanno completamente occupato e invaso, in questi ultimi dieci giorni. Ma ogni volta che sono affiorati questi pensieri, così seri e definitivi, mi è venuta in mente la risata di Enzo, quella ho registrato tante volte in una delle telefonate che gli ho fatto mentre era in Iraq. Una risata sincera, a volte beffarda e scomposta, che faceva andare “in clip” la registrazione. Una risata che ho riconosciuto come familiare da subito.
Familiare. Si può sentire come familiare una persona che non hai mai visto? Sì. Mi ricordo di quando Enzo era in Colombia. Non vedevo l’ora che arrivasse una sua mail, sentivo la stessa ansia benevola di quando si aspetta il seguito di un romanzo o di un film. Perché lui le cose sapeva raccontarle, con onestà e semplicità, e senza retorica. Sapeva raccontare la vita che, si sa, è fatta di cose belle e cose brutte, paure, sesso, ansie e risate, senza soluzione di continuità. La sua risata, in quelle telefonate, irrompeva dopo una descrizione drammatica, ma non per cancellarne il peso, bensì per riportare tutto ad una dimensione umana e vitale.
L’aggettivo “umano” e le sue derivazioni e origini sono le parole che ho usato di più per descrivere Enzo, da quando facevo leggere le sue mail ai miei amici, fino a quando ho proposto il progetto di “Cartoline da Baghdad” alla radio.
Ogni volta che sono arrivati pensieri troppo seri e definitivi, sono stati accarezzati e resi mansueti dalla risata di Enzo, e mi sono reso conto che quello che mi ha fatto andare avanti in questi giorni, che mi ha fatto riascoltare ancora e ancora le sue telefonate, attentamente e senza cedere troppo alla tristezza, alla ricerca di qualcosa che mi facesse capire, quello che mi ha permesso di rispondere al telefono ripetendo sempre le stesse cose, che mi ha dato le forze per lavorare anche tutto il giorno, è stato quello che Enzo ha lasciato dentro di me.
“Mi è successo Enzo Baldoni”, scrive Daniela, conosciuta proprio grazie a Bloghdad, quando ancora sentivo Enzo tutti i giorni. E’ successo anche a me, Enzo Baldoni, e me lo tengo dentro. Per la vita di tutti i giorni, per i miei lavori, le mie passioni, per non smettere di cercare di capire veramente quello che gli è successo, per continuare a scrivere anche le mie cazzate qua.
Apparentemente, quindi, non cambia niente. Ma quando mi incontrate, guardatemi bene. Noterete una cosa: che mi è cresciuta la panza. Cose che capitano, quando ti succede di incrociare, nella vita, Enzo Baldoni.

Referrers – Gente che cerca altro – 7

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
7. bon ton fischiettare

Continuava a guardare l’invito e non gli pareva vero. Il suo nome era stampato sulla busta e anche sul cartoncino all’interno. Era proprio lui che volevano. A cena dalla contessa Floris. Una delle donne più importanti del paese. “Del mondo, altro che.”
Era stato un anno magico, culminato con l’esibizione al Radio City Music Hall, solo un paio di settimane dopo la conclusione della tournèe italiana, davanti a cinquantamila persone, allo stadio Olimpico di Roma.
Poteva dire di essere il fischiatore più famoso del mondo. Riusciva ad eseguire di tutto, dalle sinfonie di Mahler ai pezzi dei Cannibal Corpse. Il pubblico batteva le mani, si alzava in piedi, lo invocava. Non fischiava, no, sarebbe stato un affronto.
Tra poco più di un’ora sarebbe stato in mezzo a chissà quali persone importanti, nella splendida residenza estiva della contessa. Sarebbe passata una macchina e l’avrebbe portato alla villa.
Era vestito come al concerto di New York, non se ne sarebbe accorto nessuno: gli stava bene quello smoking rosso. Non troppo fine, è vero, ma doveva distinguersi, in qualche modo. Ma aveva un dubbio: e se la contessa l’avesse invitato per prenderlo in giro? La sua musica era per il popolo, per la gente, mica per i nobili. Fu preso dal panico. Non doveva fare brutte figure. Ripassò tutto quello che sapeva sulle buone maniere a tavola. Si sentiva preparato per consumare alla perfezione una cena da dodici portate, e da dodici posate, anche. La cena sarebbe finita, avrebbero fatto due chiacchiere, o forse neanche quelle, poi se ne sarebbe andato. Si sarebbe congedato, cioè, si dice così.
E se gli avessero chiesto un’esibizione? Avrebbe fischiettato uno dei suoi cavalli di battaglia davanti a tutti? Il suo repertorio era pronto. Avrebbe eseguito il secondo movimento della sinfonia “Jupiter” di Mozart. Gli sembrava una scelta appropriata per quel pubblico.
E se fosse stato un tranello? Guardò l’orologio, c’era tempo. Doveva informarsi: si poteva fischiettare ad una cena? Internet. Un motore di ricerca. Guardò ancora l’orologio. C’era tempo. Si rilassò sulla sedia, attento a non spiegazzare la camicia con gli sbuffi.

Rimase a leggere un blog stupido. Nessuno gli suonò al citofono. Semplicemente, l’autista della contessa Floris, conosceva il bon-ton. Un quarto d’ora di attesa sotto casa del fenomeno da baraccone, come lo chiamava la contessa, era più che sufficiente. Evidentemente il grande fischiatore se la tirava, aveva pensato l’autista.
Il grande fischiatore, invece, quando si rese conto del tempo passato, imprecò ad altissima voce, infischiandosene delle buone maniere e di quello che potevano pensare i vicini. Puntualmente i vicini commentarono con un “Ma insomma!”, che risuonò nell’aria. Lui si vergognò, ma non gli venne da fischiettare per nascondere l’imbarazzo.

Referrers – Gente che cerca altro – 6

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6. sito setta molto satanica 666 metal

“C’è bisogno di qualcosa di più”, pensava Mirco. “Mirco, con la c, mi hanno chiamato quegli stronzi”, pensava Mirco con la c in un naturale impulso di ribellione adolescenziale verso i suoi genitori. “Manco con la k, che fa fico. Con la c. Se lo venissero a sapere gli altri del gruppo”. Il gruppo, i Satan’s Adepts, era il gruppo black metal di Taràno di Sotto. Anzi, a ben vedere era il gruppo di Taràno di Sotto. L’unico esistente. Concerti all’attivo: uno, alla festa di Giovanni, il cantante, per i suoi diciassette anni. Dopo i primi due pezzi, “Satan is the Lord” e “Evil is the Reason”, la vicina di casa, signora Tebaldi, aveva telefonato per chiedere di abbassare lo stereo. Nessuno aveva avuto il coraggio di rivelarle che quello che l’aveva disturbata era il potente e satanico suono del primo concerto dei Satan’s Adepts, da Taràno di Sotto. Che quello che cantava in maniera così splendidamente gutturale da non riuscire a parlare poi per almeno due ore dopo la fine del concerto era Giovanni, che lei aveva visto nascere. O meglio, era Skull, il cantante dei Satan’s Adepts. E che la batteria con doppia cassa era suonata da Riccardo, sì, il figlio del postino, che si faceva chiamare Bloody Rick, però. Eccetera. Avevano smesso di suonare e basta. Mirco aveva poggiato il basso all’amplificatore, imprecando contro la signora Tebaldi.
Ma i Satan’s Adepts non decollavano. Ovvio, diceva Roberto, il chitarrista (l’unico che non aveva soprannomi: ma del resto era l’intellettuale del gruppo). Bisognava ispirarsi a qualcun altro. Ma a chi?
“Cerca un po’ su internet”, aveva suggerito Giovanni. Roberto si era limitato ad annuire, e aveva acceso una sigaretta. Aveva diciotto anni ed era l’unico che fumava. Anche gli altri avevano provato, ma senza successo. Solo Skull non aveva neanche provato. “Per la voce”, si giustificava.
“‘Setta satanica’ non basta”, pensava Mirco con la c.
Riaprì Internet explorer. La pagina iniziale era quella dei Deicide. Andò su Google e pensò alle parole da mettere. “‘Sito’, sicuramente. Poi ‘setta’. Satanica. Metal, metti che troviamo anche un’altra ispirazione musicale”.
Niente.
“Molto satanica, metti che trovi solo dei pagliacci. E aggiungiamoci anche il sei sei sei”, pensò Mirco.
Sentì una voce. Sua madre lo chiamava per la cena. Guardò una pagina internet tra i risultati del motore di ricerca.
Il giorno dopo anche i Satan’s Adepts avevano un blog. Roberto approvò la scelta, fumando l’ennesima paglia.

Referrers – Gente che cerca altro – 5

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5. “la mia fidanzata nuda gratis”

L’ultima cosa che sentiva e che gli si piazzava nella testa per almeno due ore, era il rumore della porta che sbatteva. Ogni volta che lei se ne andava, sbatteva la porta. Ma forte. E luicontinuava a sentire quel rumore sordo, talvolta accompagnato dalle urla della vicina. “Ma basta sbattere queste porte, insomma!”
Eppure l’amava. Quando si era messo con lei, i suoi amici erano sbiancati. “No. Con lei?” E ogni volta che passavano insieme, attiravano solo sguardi invidiosi. Invidia e desiderio, ecco cosa suscitava la sua donna. Una bellezza perfetta, luminosa, erotica, non volgare. Un cervello, ben piazzato nella scatola cranica, che funzionava a dovere. E tutti gli accessori che si potevano desiderare. Sapete, quelle piccole grandi cose che fanno impazzire gli uomini. Per esempio, saper pronunciare correttamente alcune parole francesi, anche se cadute in disuso da anni. Fanno comunque un certo effetto.
L’amava, nonostante con lei non fossero andati oltre il bacio-con-la-lingua. Non appena lui allungava una mano, lei si irrigidiva. Se lui tentava di andare oltre, facendo finta di non notare l’irrigidimento, ecco che lei si alzava. Se provava a discutere, lei se ne andava. Se tentava di chiamarla, per continuare a discutere, se ne andava, sbattendo rigidamente la porta. Lui piangeva un po’, poi si masturbava, e, alla fine, con la pace dei sensi, pensava “L’amo”.
Quel giorno, però, non ne poteva più. Iniziava ad esserci la primavera, pollini e ormoni nell’aria. Non gli interessavano assolutamente le capacità linguistiche della sua donna. La voleva nuda, cosparsa di venticinque gusti diversi di gelato, magari anche con delle cialde, dei coni, della granella di nocciola, della panna montata e un cucchiaino colorato. No, quello meglio di no. Voleva farci l’amore, voleva. “Ti pago”, le aveva detto quasi piangendo. “Fammi vedere le tette. Ti amo. Quanto vuoi?”. Era impazzito. Lei aveva sbattuto la porta. E lo “sbam” gli risuonava nel cervello, in continuazione.
Accese il computer, sperando di ottenere qualcosa per alleviare le sue pene. Digitò qualche parola in un motore di ricerca.
Quando premette invio, scoprì che la sua ragazza aveva mostrato le sue pudenda, senza chiedere compenso alcuno, ad almeno un fotografo (direttamente) e a qualche centinaio di milioni di persone (potenzialmente). Ma forse i fotografi erano di più, visto che lo stile e la luce delle diverse pose era evidentemente diverso. Per non parlare degli attori che erano con lei. Ma probabilmente si trattava di un fotomontaggio, un fotomontaggio realistico, magistrale.
Poi lesse per la prima volta in vita sua un blog, ma non c’entrava niente. Andò su Splinder, e ne aprì uno anche lui. Dicevano che funziona, per dimenticare donne del genere. Gli rimase solo voglia di gelato. Ma anche quello si doveva comprare.

Referrers – Gente che cerca altro – 4

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
4. “frasi x coccole”

“Ekko, c siamo.”
Mica era tanto che stavano insieme, ma per lei era una cosa seria. Era stato il primo con cui aveva fatto l’amore.
“6 sikura?”, le aveva chiesto, un mese prima.
“Ma certo che sono sicura”, aveva risposto lei. E l’avevano fatto. Ed era la prima volta per tutti e due. Ovviamente, non era stato niente di tale. Lui, da buon maschietto, si era subito andato a vantare con gli amici.
“Oh, bella regaz. Ma lo sapete ke ho fatto?”
“Ma che ce ne frega”, avevano risposto loro, partecipi come al solito.
“Oh, la Kiara, quella di terzabì. Abbiamo kiavato” – il poeta.
“Se, adesso la chiaraditerzabì te l’ha data. A te” – gli increduli amici.
A quel punto lui aveva narrato di amplessi formidabili, traendo spunto dai porno che aveva visto da solo. Se avesse preso come ispirazione quelli che aveva visto con i suoi amici, l’avrebbero scoperto. Mica era scemo, lui.
Solo che adesso alla chiaraditerzabì non bastava mica che lui superasse il minuto e trenta di coito. No.
“Beh? Ke hai?”
“Niente”. Anche la chiaraditerzabì stava imparando a fare la femmina.
“Dai, so ke hai qlcs. Dimmi ke hai”
“Niente”
“Kiara, nn t è piaciuto?”
“Ma sì che mi è piaciuto”
“Allora ke hai?”
“Niente” – sfiora il professionismo, la ragazza.
Al quindicesimo “niente”, finalmente rivelò l’arcano.
“Dopo che l’abbiamo fatto non mi fai le coccole. Mai”, aveva detto chiaraditerzabì lasciando il nostro senza parole. Gli amici gli avrebbero dato un consiglio.
“Ovvio. Vuole le coccole. Nei porno non ci sono, ma che c’entra. La vita reale è diversa. La chiaraditerzabì urla di piacere come Jenna Jameson quando la scopi? No. E lo sai perché?”
Risata generale, con corollario di battute sulla presunta microdotazione sessuale del nostro. Il più grande del gruppo fa tornare l’ordine.
“Insomma, accarezzala, dalle i bacini, massaggiala. Ma che te le devo dire io queste cose?”
“No, no. Grazie, sì, ma le faccio, solo ke nn x tanto tempo… Cmq nn ce l’ho pikkolo”, aveva detto lui andandosene.
Il giorno dopo, casa della chiaraditerzabì libera. Amplesso, record stagionale di due minuti e trenta. Istintivamente, subito dopo, il nostro si gira dall’altra parte. Ha fame, ha voglia di un panino con il salame. O di Nutella. O qualsiasi altra cosa. Sente lei che sbuffa.
“Ekko, c siamo”, pensa il nostro. Allora si ricorda dei consigli degli amici, prende la chiaraditerzabì, la carezza, prima in maniera impacciata. Poi gli viene sempre più naturale, gli piace, e piace anche a lei. Tanto che gli sussurra dolce dolce: “Mi dici qualcosa di carino?”
“E adesso?” pensa. “TVB”, le dice.
“Anche io. Poi?”
“TVUKDB”
“Anche io. Ancora.”
“6 trpp karina”
“Hm”
“Ehhh…”. Il panico. Chiaraditerzabì si alza, scocciata. “Mai una parola carina”. La ragazza, ammettiamolo, sta avanti. Il nostro è disperato. Ma come, le coccole non bastano?
Quando torna a casa, quella sera, un po’ triste, pensa a quello che è successo.
“Nn solo le coccole, anke le frasi x le coccole. Kiedo ai miei amici? No”, dice andando sulla pagina di Google.
Ma, purtroppo, capita su un blog, in cui fin dal primo post si bandiscono “k” e “x”. Il nostro inizia a capire che l’amore è sacrificio e fatica. Anke, ma nn solo, intendiamoci. Ops.

Di |2004-04-28T03:23:00+02:0028 Aprile 2004|Categorie: I Am The Walrus|Tag: , , , , |14 Commenti

Referrers – Gente che cerca altro – 3

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
3. “perversione assorbenti”

Quando si erano conosciuti, alla fine dell’università, erano andati subito a letto insieme. E avevano continuato a farlo con ritmi da coniglio, non imitando però le simpatiche abitudini dei roditori. Si erano sposati da dieci anni, ma non avevano figli, e non ne volevano avere. Volevano solo stare insieme e fare sesso. Il sesso: la vera base del loro rapporto. Erano come posseduti, quando si possedevano. Compenetrati quando si compenetravano. Insomma, tutto bene. Dopo un po’, però, capirono che dovevano fare qualcosa di più che fare l’amore. Iniziarono con del blando sado maso, per poi passare allo scatting, whipping, spanking, pissing, bondaging, tickling, lactating, vomiting, shitting, filming, fisting, licking, dancing, camping. Ogni nuova pratica sessuale era fonte di gioia, ogni gioco erotico acquistato era motivo di meraviglia. Ogni tanto uscivano, ma raramente. Non si stufavano mai l’uno dell’altra.
Arrivò anche il momento dello scambio di coppia, con le varianti lesbo, bi, gay, day by day (nel senso che la cosa era ormai quotidiana). Da un po’, strano a dirsi, si erano stancati. Continuavano a piacersi, ma…
Quel giorno lui le mise le mani sul sedere, e lei disse: “Oggi no”. Lui capì, e le fece intendere, accendendo dei riflettori e posizionando la videocamera ad altezza cintola, che c’era comunque sempre una soluzione. Lei, per tutta risposta, stracciò la mascherina da donna gatto che metteva quando si riprendevano durante gli atti.
Era finita? La loro storia, la loro passione, i gemiti. “Anche il matrimonio, in effetti”, pensò lui guardandosi l’anulare.
Ma forse c’era ancora una speranza. La rete, fonte di incontri clandestini, di club di incontri, di clan esibiti ed esibizionisti. Fonte di tini, anche.
Digitò due parole.

Qualche giorno dopo, nonostante sua moglie si strofinasse su di lui vestita solo con del filo interdentale, e lo stereo lanciasse a tutto volume la compilation “Sex-O-Rama”, lui non reagiva. Era davanti al computer, alle prese con il suo nuovo template.

Referrers – Gente che cerca altro – 2

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2. “il calcio e il wrestling per sociologi”

Lo sapeva che avere un nome avesse il suo peso, ma non fino a quel punto. Era ormai disperato, nonostante avesse una vita di allenamento alle spalle: stavolta vendere fumo non sarebbe stato facile. Ricordava la telefonata, le parole ancora gli rimombavano nelle orecchie.
“Professore, buongiorno. Sì, sono io. No, non abbiamo rinviato la trasmissione, solo cambiato l’argomento. No. No, guardi, delle problematiche giovanili non gliene frega più un accidente a nessuno. Scusi il termine. Si era preparato sulle droghe, eh? Le aveva provate tutte? No, sì, la battuta è… Sì, abbiamo cambiato… No, lasci stare, se non le dispiace. Lo so che registriamo domani, ma un luminare come lei… L’argomento nuovo? Ha mai sentito parlare della SWF? No, lo immaginavo. Beh, strano comunque…”
E il redattore della trasmissione gli aveva raccontato della Sociological Wrestling Federation, una lega sportiva amatoriale, alla quale appartenevano sociologi che, invece di incontrarsi in noiosi congressi, i vari etnometolodogi, teorici del conflitto, superstiti della scuola di Francoforte, molto semplicemente, se le davano di santa ragione su un ring, con tanto di arbitro. Il tutto avveniva solo tra sociologi affermati: chi non aveva almeno una pubblicazione non poteva neanche permettersi di guardare gli incontri. Proprio come nel wrestling – sport di cui lui veniva a conoscenza solo in quel momento – di solito un sociologo sfigato, poco conosciuto o in declino, sfidava un nome noto. Scontata la vittoria di quest’ultimo.
“Bene, secondo noi della redazione, questo sport verrà portato alla ribalta molto presto. Lo sa che già si vocifera di leghe di lotta libera tra avvocati, di circoli di kickboxing di cui fanno parte solo notai e commercialisti… No? Beh, glielo dico io, professore. Ecco, allora il tema della puntata sarà… No, no, niente sulle disfunzioni alimentari, ascolti: un nuovo conflitto di classe. I poveracci continuano a giocare a calcio e le classi abbienti, invece, riscoprono il fascino maschio del contatto fisico nella lotta. Un confronto. Che ne dice?”
Niente, ecco che diceva. Ma che argomento era? E perché nessuno gli aveva detto niente di queste leghe? Digitò su un motore di ricerca qualche parola a caso, giusto per vedere se compariva qualcosa. In quel momento, squillò il telefono.
“Pronto? Oh, Alberto. Venerdì? Perché? Come, una cena? Posso portare anche… Da solo? E chi viene? Ah. Anche il preside del dipartimento… Solo colleghi, insomma.”
Si girò verso il computer e vide la schermata dei risultati. Cliccò su uno dei link che erano apparsi. Il suo collega, al telefono, aveva un tono sempre più strano, che lo inquietava molto. Guardò quello che era apparso sullo schermo. “Alberto, scusa un attimo… Ma che cos’è un blog? Ah. Cosa? Ma certo che ho una tuta. Scusa? Una cena in tuta? Ah. La porto, va bene, la porto…”

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1. “liquore della corsica a base di castagne”

La cena era pronta. L’avrebbe riconquistata, lo sapeva. Ce l’avrebbe fatta. Aveva preparato tutto, dall’antipasto al dolce. Tutto quello che avevano mangiato quella sera di molti anni fa, in quel paesino corso, era lì pronto per lei. Le cose erano andate male, poi. E non si ricordava nemmeno perché esattamente. Ma si erano rivisti, avevano parlato di quella cena, si erano guardati negli occhi un po’ più di quello che era successo fino a quel momento. Le aveva chiesto: “Vieni a cena da me”. Lei aveva sorriso, era leggermente arrossita, aveva accettato. Lui non poteva sbagliare. Aveva ripassato mentalmente la cena corsa, aveva ricreato tutto.

Poi il dubbio. Cosa avevano bevuto alla fine del pasto?
Non se lo ricordava. Forse lei non avrebbe dato peso alla cosa, ma lui voleva essere perfetto fino al minimo particolare. Come si chiamava quella cosa che avevano bevuto?
Era un liquore di castagne. Ma non sapeva come si chiamava. Aveva provato a chiedere nei negozi, ma senza risultato.

Allora si era messo su Internet, e aveva digitato “liquore della corsica a base di castagne” in un motore di ricerca. Aveva atteso un po’, e aveva trovato un sito strano. Un diario urbano, bla bla bla. Aveva iniziato a leggere qua e là, ma senza trovare il nome del liquore. Aveva trovato qualcosa di incredibile. Nel blog era descritta una cena, nello stesso posto dove erano stati lui e lei. Continuò a leggere. Dimenticandosi delle cose che erano sul fuoco. Lo destò dalla lettura l’odore di bruciato.

Sono andati a cena fuori, quella sera. Le cose tra di loro non sono andate bene. E lui ancora si chiede come si chiami quel liquore. Non lo sa neanche la sua nuova fidanzata.

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