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Confessional Poetry

Sapevo solo vagamente chi fosse Robert Lowell, a cui è intitolata la prima traccia del nuovo disco dei Massimo Volume, Cattive abitudini. Ho scoperto che è stato il fondatore della “Poesia confessionale”, ma è divertente (e bellissimo) che la pagina Wikipedia dedicata al poeta parli di “poesia confusionale“.
Non c’è nulla di confusionale, in Cattive abitudini: le linee di chitarra traggono forza dal rumore e leggerezza dai silenzi, quando sono più o meno rarefatte. La batteria è una sicurezza, amalgamata al basso: insomma, sono tornati i Massimo Volume, come ce li ricordavamo, e come li abbiamo visti dal vivo dal 2008 a oggi. Dentro e fuori dall’onda ho parlato molte con Mimì, Vittoria, Egle e Stefano:  la reunion è stata un successo e i live ne sono la conferma, ma il disco? La domanda, insomma, che sicuramente oltre che da a me gli è stata posta da tanti altri. “Tanto vale dirlo subito, confessarlo“, avranno pensato.

chi l’avrebbe mai detto
di ritrovarci qui,
giugno 2010
in un pomeriggio
di pioggia e di sole
seduti di fronte
alle nostre parole?

(“Robert Lowell”)

Forse è vero, forse nessuno di voi l’avrebbe detto, ma eccoci, il disco è già iniziato da qualche secondo e sono loro, proprio loro, non c’è dubbio. Non si sono fatti tentare da impasti di riverberi, basi elettroniche più o meno raffinate, né dai sorrisi della gente sotto il palco più giovane di quando loro stessi avevano iniziato a suonare, vent’anni fa. Si sono chiusi in uno studio sulle rive del Po, quest’estate, e hanno tirato fuori un’ora di musica potente e lucida, su cui e con cui Clementi, ancora una volta, racconta storie popolate da luci e sensazioni che in una manciata di righe ti si piantano nella testa. I testi sono scritti su carta intestata di diversi alberghi, dalla Svizzera a Londra, da Rimini a Venezia, e il libretto riporta, oltre ai bellissimi disegni di BJ, solamente quelli e qualche nota tecnica. Mi è venuto voglia, ascoltando il disco, di prendere un atlante e immaginare dei viaggi, seguendo quegli alloggi temporanei con nomi altisonanti, ma le parole mi hanno riportato a loro con pressante dolcezza. E così sono stato a “Coney Island” ,in una stanza chiusa a chiave, tra i deliri di Leo e le asprezze delle donne descritte da Clementi, l’ossessione del tempo, scandito da arpeggi e distorsori, fino al letto di morte di qualcuno, trasfigurato nei ricordi e nella fantasia di un impossibile ritorno.

te ne sei andato docile
tra le mie braccia
nella tua arida notte
che un giorno sarà la mia

(“Mi piacerebbe ogni tanto averti qui”)

E d’accordo, a nessun poeta o scrittore piace sentirsi rivolgere la domanda “Ma quanto c’è di autobiografico in tutto questo”, però l’idea che Lowell fosse messo là in cima non per caso è arrivata, ma è stata subito spazzata via da un’apertura melodica e armonica che i Massimo Volume hanno raramente mostrato. Un trio femminile (Vittoria Burattini e Marcella Riccardi, una titolare e una “ex”, e Angela Baraldi) accompagna e innalza la consapevolezza, il cui dolore sfocia poi in “Fausto”, disperata e urlata: non a caso quest’ultimo brano contiene una citazione da “L’urlo” di Ginsberg, dove però la distruzione della generazione del poeta avveniva per follia; nel nostro “mondicino” basta scegliere di apparire per una serata in tv per perdersi rimanendo vestiti (lontani dalla nudità primitiva e folle di Ginsberg), “intonando il vestito al tema della puntata”.
Ma lo si può anche non fare: si può anche scegliere di ricordare, di non tradire. Così come si può tornare, quasi dieci anni dopo essersene andati, perché si ha davvero qualcosa da dire. E lo si fa alla perfezione.

(Ancora una volta avrò i Massimo Volume ospiti a Maps, venerdì 15 ottobre alle 16. E neanche a dirlo, Cattive abitudini è il nostro disco della settimana).

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