I Am The Walrus

Monolocane Eats Plastic … and Likes It A Lot

Si ricomincia, quindi. Una nuova stagione di Monolocane, e adesso a pensarci non mi ricordo più neanche qual è. La terza? La quarta, mi sa. Come passa il tempo, signora mia.
Praticamente, rispetto alla scorsa stagione non è cambiato niente: il giorno rimane giovedì, l’ora le 2230, la radio è sempre la stessa, il conduttore anche. Rimangono gli appuntamenti con “No Accademia, No Dams”, l’unica rubrica di critica letteraria e sociale fatta sugli annunci immobiliari, e con “Tengo Una Minchia Tanta”, una delle tante rubriche pruriginose che potete trovare sui mezzi di comunicazione di massa. Ci sarà ogni tanto anche “Monovolume”, la rubrica letteraria, ma solo ogni tanto, ché mi hanno detto che la cultura tira poco.

Ma.
Ma per la prima puntata sono contento di farvi conoscere e parlare al telefono con i Mickey Eats Plastic. Sono in due, sono di Roma, fanno musica elettronica, ed è appena uscito il loro primo disco People Eating Tasty People: potete scaricarlo aggratis o comprarlo accinqueeuro qua. Sentiteli, ne vale la pena. Perché i Mickey Eats Plastic sono bravi, raffinati e trattano bene le vostre orecchie e la vostra testa.

Siateci, quindi: per manifestarvi potete usare la mail diretta[at]radiocittadelcapo.it o il numero di sms 348 76 49 289.

Vuoi sentire Monolocane e quindi esserci? Oh, dai, grande, figata! Se sei a Bologna, prendi la tua vecchia radio, accendila e sintonizzati sui 96.3 o 94.7 MHz. Se sei altrove o non hai un apparecchio radiofonico, usa il computer. Basta cliccare qua.
E per te, che ami leggere i caratteri superextrasmall e non ti sfuggono mai le postille dei contratti che firmi, un simpatico regalo con cui riempire le tue giornate: il promo di Monolocane stagione 2006-2007!

Cookies 2

Continuiamo la disamina sui biscotti. Non mi sono accontentato delle Macine 2.0: in un impeto di consumismo ho comprato anche i Krumiri. Io detestavo i Krumiri, da piccolo: secondo me sapevano di polvere. Però li mangiavano in tanti, e avevano un aspetto inequivocabilmente sano. Quindi, alle soglie dei trent’anni (oh, una soglia lunga due anni, sia chiaro), mi sono detto: “E’ ora di comprare i Krumiri”. Le parole “nuovo” e “al cioccolato” sulla confezione hanno spazzato via ogni briciola di dubbio residuo.
Il punto focale dei nuovi Krumiri è proprio la confezione. Sentite cosa c’è scritto dietro, sulla quarta di copertina, per intenderci.

I Krumiri della Colazione sono Krumiri diversi, più grandi e più leggeri.

E una voce dentro di me diceva: “Ehi, scordati quel sapore di polvere, time goes by, inzuppalo ancora, Sam.” (Ho delle voci così, io, dentro.)

Biscotti che Bistefani ha creato pensando ad un connubio tra la forma caratteristica dei Krumiri Classici di Pasticceria e una ricetta più leggera adatta ad un consumo quotidiano.

Secondo me la Bistefani ha avuto problemi legali dovuti ad overdosi di Krumiri Classici: i termini sono gli stessi del rapporto sulle droghe dell’OMS, se ci fate caso. Ma adesso c’è la parte più sfacciatamente interlocutoria.

Avete notato che i Krumiri della Colazione sono uno diverso dall’altro?

Ma certo: appena aperta la confezione li ho messi tutti uno accanto all’altro sul tavolo, e mi sono reso conto che, come i fiocchi di neve, non ce ne sono due uguali. Poi li ho rimessi dentro. Ma dimmi, sacchetto, come mai?

Merito della trafilatura al bronzo, culmine di un processo produttivo “gentile”, che diversamente da una produzione industriale a stampo, rispetta l’impasto originale, lasciando che il biscotto prenda la sua forma naturale.

Praticamente il metodo steineriano applicato ai biscotti. Ogni singolo Krumiro viene reso cosciente di sè: quando si apre la confezione sono i biscotti stessi che si propongono per essere mangiati, consci della loro molle fine. Ehi, un attimo: ma l’inzuppo?

La ruvidità della superficie e la struttura porosa, (virgola, tra soggetto e verbo) fanno sì che i Krumiri della Colazione superino brillantemente la prova inzuppatura: assorbono la giusta quantità di latte senza sfaldarsi per un connubio unico di sapori.

Qui non si cazzeggia, ragazzi: la prova inzuppatura è una cosa seria, elaborata da fior di scienziati. E il Krumiro vince, assorbe senza schiattare sul fondo della tazza, regala connubi. Evviva!

La confezione è chiusa, in fondo, da un buono sconto di un euro “sul riacquisto di una confezione a scelta”. E io, secondo voi, cosa farò? Non vedo l’ora di finire questo pacco per acquistarne un altro, e riacquistare, e riacquistare perché senza trafilatura al bronzo io non so più stare.

Una ferale fiera in giorno feriale

Venerdì scorso sono stato per la prima volta in vita mia ad una fiera, per lavoro. Non avevo da presidiare uno stand, ma, fondamentalmente, dovevo fare interviste, prendere contatti, fare cose, vedere gente, eccetera eccetera.
Non ero mai stato proprio al quartiere fieristico di Bologna: no, mai stato al Motorshow in vita mia, di solito quando c’è emigro dalla città, visto che il rapporto tra me e i motori è di reciproca indifferenza. La fiera in questione era la diciottesima edizione del Sana, il Salone del Naturale.
Ora, si sono buttati tutti sul naturale, sul biologico, sull’ecocompatibile: infatti tra gli espositori c’era qualsiasi cosa, dal salumiere Rosario Mangione (sic), alla Galbusera, all’azienda bio di Marco Columbro (sigh), al Ministero dell’Ambiente. Tutti hanno una linea bio. Probabilmente anche l’Esso, ma non l’ho vista.
Insomma, mi aggiravo annoiato tra gli stand, senza la benché minima tentazione di assaggiare del formaggio di capra ecologico (immagino, quindi, proveniente da una capra vera) o del pane biologico certificato, quando, ad un certo punto, mi si è parata una hostess davanti.
“Vuole provare il nostro olio?”, mi ha chiesto. Non mi ha poi dato una fetta di pane, ma si è messa del liquido su una mano e ha iniziato a massaggiarmi il collo, dicendo, poi, “Scusi se la tocco”. Io avrei voluto dire “prego, tocchi pure”, invece mi è venuto fuori una specie di gorgoglio misto a fusa. Mentre la ragazza mi spalmava di olio di menta, mi elencava le proprietà benefiche del prodotto in questione. Ho appreso quindi che, spalmato, fa bene per dolori reumatici, cervicale, distorsioni, strappi, bronchite, sinusite, vertigini, e ha notevoli capacità di permettere il ritorno dalla morte. Ma, attenzione, se messe due gocce di olio su un po’ di zucchero e ingoiate, ecco che la digestione va che è una meraviglia, il mal di gola passa, e ne acquista beneficio anche la voce. Dulcis in fundo, due gocce in una pentola d’acqua bollente profumano l’ambiente che è una meraviglia.
La ragazza ha smesso di massaggiarmi e mi ha chiesto: “Allora, le interessa?”. Io sono scappato facendo “no” con la testa. Ero terrorizzato che mi dicesse che l’olio andava bene anche per le emorroidi. E me lo dimostrasse.

Approfitto di questo spazio e ringrazio il mio produttore, perché mi sono portato a casa ben due nominazioni di Macchianera: una per il miglior blog cinematografico (SecondaVisione) e una per questo blogghetto qua, nella categoria “Miglior blog personale”. E poi, se vogliamo dirla tutta, ci sarebbe anche la nominazione per Ciccsoft nella categoria “Blog collettivo”. Che tripudio. Votatemi, ché poi si va a cena insieme, eh.

Cookies

Alla questione tecnologica ero abituato. Una volta che hai comprato un computer, un lettore mp3, una macchina fotografica digitale, ma anche una semplice penna usb, elimina subito i cataloghi della grande distribuzione che arrivano a casa, non sfogliarli neanche, non ti curar di loro, non guardar neanche, passa. Immagino che lo stesso valga per macchine, moto, motorini, lavatrici.

Ma adesso vale anche per i biscotti.
Ho comprato un enorme pacco di Macine del Mulino Bianco, perché erano in offerta. Non mi sono reso conto che, sul pacco, c’era scritto qualcosa come “Nuove, perfette da inzuppare.” Perché, quelle prima che erano? Cos’avevano che non andava? Avrò inzuppato nel latte centinaia di Macine 1.0. Ero irrimediabilmente indietro, out, fuori dall’hype del latte?
E immediatamente mi vengono in mente quelle pagine di quotidiano affittate talvolta da case produttrici di elettrodomestici, dove c’è scritto qualcosa come: “Attenzione. I modelli sottoelencati di Affettatrici Laser Bantex hanno un difetto di fabbricazione, per cui possono amputarvi un braccio in un nonnulla.”
Cosa mi sarebbe potuto accadere con una vecchia Macina? Si sarebbe potuta irrimediabilmente liquefare nel bicchiere di latte, rendendo inutile il suo recupero, se non per via orale, suggendo la pappetta formatasi? Oppure mi sarebbe esplosa in gola come una mina antiuomo portandomi all’immediato soffocamento?

Devo stare attento anche ai biscotti, adesso. Ma soprattutto non posso portarmi da sfogliare al cesso neanche le pubblicità dei supermercati.

Cartoline dalla Sardegna

Io non mando più cartoline, a nessuno. Le cartoline mi fanno tristezza. Mandavo, un tempo, quelle bruttissime, ad un’amica, ma sono poco costante. Ma la forma-cartolina mi affascina. Quindi, beccatevi queste. E non lamentatevi, poteva andarvi peggio con le diapositive, ingrati.

Lunedì 21 agosto 2006
Il primo pasto sardo è una pizza, tremenda. Fuori dal ristorante c’era scritto “forno a legna”, ma secondo me c’era un forno tipo quei caminetti inglesi, con la legna di plastica, con sotto una lampadina rossa, con effetto riverbero. Il cameriere, alla fine, non ha detto – come si usa – “tutto a posto?”, altrimenti gli avrei detto, semplicemente, “no”. Peccato.
Baci a tutti.

Martedì 22 agosto 2006
La casa che A. mi ha regalato per questi giorni a Santa Teresa di Gallura è splendida: ci sono i vetri colorati, il giardino interno. Ma soprattutto è pieno di fermaporte. Il vento è tremendo. Ancora una volta ho dei rimpianti a non essermi iscritto a “discipline dell’acqua” all’Università di Malibu Beach. Salutate la zia.

Mercoledì 23 agosto 2006
La spiaggia di Santa Teresa si chiama Rena Bianca, ed è uno splendido carnaio. Per contratto, quando posizioni il telo, devi essere circondato da persone di Forza Italia. Ma mi dicono che nella vicina Costa Smeralda sia peggio. In spiaggia ti offrono delle riduzioni per entrare allo Smaila’s: solo quaranta euro. Mi chiedo quanto sia il prezzo pieno.
Dite alla zia che Briatore ancora non si è visto. Al massimo, glielo saluto.

Giovedì 24 agosto 2006
Nella casa dai vetri colorati ieri è entrato un uccellino, spaventato da un gatto. Ho avuto una mezza crisi di panico, ma mi sono riscattato subito depositando nel cassonetto il cadavere di un topo, abbastanza grosso, con il quale il gatto ha giocato per un po’. Il gatto è diventato il mio mito: si chiama “Palle”, perché A. credeva che fosse una femmina, e poi l’ha girato.
Saluti.
P.S. Non fate leggere questa cartolina alla zia, ché secondo me si scandalizza per questa cosa delle palle.

Venerdì 25 agosto
I sardi sono ospitali, come da leggenda: quando vai nei negozi di alimentari ti fanno assaggiare tutto. Mi sono innamorato di una salsiccia al mirto. Lei mi provoca e io me la magno. Ieri ho comprato del pecorino al mercato: sono nel mezzo di un mènage a trois. Perverso e gustoso, come piace a me.
Baci.
P.S. Come sopra: la zia non capirebbe.

Sabato 26 agosto
Il mare è mosso, quindi le escursioni all’arcipelago della Maddalena sono sospese. Rimane quindi Rena Bianca, sulla quale ostento numeri di “Cronaca Vera”, una mia imprescindibile lettura estiva. I forzitalioti fanno finta di niente, ma li vedo leggere i titoli della prima e della quarta di copertina con interesse. Che mi sia ormai mimetizzato?
Cribbio!

Domenica 27 agosto
Ho lasciato per un pomeriggio Santa Teresa, e sono andato in un posto chiamato Valle della Luna. Meraviglioso, e occupato da freakkettoni e punkabbestia, che hanno infilato le loro tende ovunque. Una ragazza si è fatta un bidè tra due rocce, noncurante della mia presenza. Almeno credo.
Sto pensando di scrivere delle cartoline separate per la zia, dite che si offende?
Abbracci.

Lunedì 28 agosto
La vacanza sta finendo, accidenti, un anno se ne va. Ma ho risentito, dopo tanto tempo, “Curre curre guagliò”, diffusa da un baracchino in un posto che si chiama “Valle dell’Erica”. Meraviglioso anch’esso. Quasi quasi lo rilevo e mi sistemo qua. Zia, mi finanzi?
Carissimi abbracci, zia ti penso sempre, il tuo nipote preferito.

Martedì 29 agosto
Sono tornato a casa, dopo un volo un po’ turbolento: a causa del vento rischiavamo di dover atterrare a Bologna, invece che a Firenze. Già mi immaginavo, unico tra i passeggeri, a urlare “Mitico” come Homer Simpson, per il cambio di rotta. Invece il prode capitano ce l’ha fatta, e i passeggeri hanno applaudito, come da copione. Dai discorsi che ho sentito non appena si sono aperte le porte, ho capito che il nostro non è solo un popolo di santi, poeti, navigatori e commissari tecnici: siamo anche dei provetti piloti, che parlano di flap e altitudini come niente. Ciò mi rassicura in caso di prossimi eventuali malori dei comandanti: un paio di ore al giorno a giocare a Flight Simulator e passa la paura.
Baci.

Fulmini, saette, l'anticristo e il meteo regionale

L’avete sentita questa storia dei fulmini? Fulmini a ciel sereno, per la precisione, che io pensavo fosse un detto metaforico, e invece no. Ma del resto ho capito da poco che la buffa espressione che usa mia madre, “porca l’oca”, effettivamente offendeva un pennuto, non una fantomatica señora Loca, una che sicuramente spesso dà di matto.
Tornando ai fulmini, insomma, è successo che un ragazzo in Sardegna stava lì, passeggiava con la sua bella, e ad un certo punto… SBARADRANG, o più probabilmente, ZOT. Una cosa terribile, orrenda, spaventosa. Insomma, pensateci: state passeggiando in riva al mare, state dicendo delle cose carine e romantiche al vostro partner o alla vostra partner. O state parlando di riforme fiscali, o delle meravigliose doti sessuali di Ivana, l’amica ucraina della vostra partner. Insomma, state lì e un secondo non ci siete più. “Che c’entra”, direte voi cinici. “La morte viene, silenziosa come un’alce, dai vivi ci separa con il taglio di una falce”. “Prima ci sei, poi non ci sei più”, direte voi stoici. Dagli epicurei pervengono rumori di rutto e godimento, e speranze che un fulmineacielsereno non gli rovini la festa. E ma cazzo: un-fulmine-a-ciel-sereno (mentre lontano un’oca sbraita in spagnolo). Già, perché io mi immaginavo questo ragazzo sotto la pioggia torrenziale, magari che ne so anche con un enorme picca di ferro in mano, che urlava inneggiando nel temporale a Odino. E invece no: cielo se-re-no. Poi ZOT.
Ieri un altro fulmine ha colpito la chiesa di Trinità dei Monti a Roma, danneggiandola. E prima ancora altri fulmini e altre vittime. Ragazzi, è arrivato l’Anticristo*. C’avevano ragione i produttori del remake di The Omen. E vabbè, godiamocela, che dobbiamo fare? Uniamoci agli epicurei, rei dei rutti di cui sopra.
Comunque un consiglio per evitare i fulmini a ciel sereno c’è. Non andare al mare e in montagna e in luoghi in cui ci sono perturbazioni vicine, dicono gli esperti. Beh, vediamo. Evitare mare e montagna: d’estate, ma vi pare? Con tante belle comode e vuote città… E per le perturbazioni vicine, amen. O uno sta in Liguria e controlla le previsioni della Sardegna (andando veramente al mare con la pioggia, “perché tanto a Sassari c’è una giornata magnifica”) o si rassegna. Tanto si sa: quando c’è una perturbazione, dall’altra parte del mondo ad una farfalla si rompono le ali, e prima di morire esclama: “Che tempo di merda”.

* Che poi pensavo a Cristo e all’Anticristo. Se l’Anticristo arrivasse adesso, non ci sarebbe credo – ma le mie conoscenze teologiche sono scarse – Cristo a fronteggiarlo. E dopo l’Anticristo, che farebbe il diavolo a quattro per un bel po’, ci sarebbe un altro Cristo. E mi immagino queste due figure ruzzolare sui millenni senza mai incontrarsi. Due giocherelloni. Una danza quasi di corteggiamento. In realtà scrivo queste cose blasfeme solo perché Ruini mi commenti sdegnato. O sdentato, se sta leggendo adesso il mio blog, con l’i-Book in grembo e la dentiera nel bicchierone, sul comodino.

Di |2006-07-27T03:18:00+02:0027 Luglio 2006|Categorie: I Am The Walrus|Tag: , , |12 Commenti

The Ikea Experience: Fast and Furious (and Rejects) Version

Sono tornato all’Ikea. A dire il vero ci sono tornato (e ci tornerò) parecchie volte, ma quella di ieri è stata particolare. Io e i miei fidi accompagnatori, John D. Raudo e Fede MC, abbiamo rubato il furgone dei Settlefish, per riempirlo di legno svedese a forma di mobile, di viti e immancabili brugole. Siamo arrivati al parcheggio dell’Ikea alle 1945, un quarto d’ora prima dell’orario di chiusura.
Sono andato avanti, lottando contro il tempo. Ho appena fatto in tempo a vedere che la ragazza nella piscina di palle di plastica stava occultando il cadavere di un bambino, dimenticato dai genitori, o chissà, barattato per un divano angolare (“Seeduten”). Mi ha allungato dei buoni per delle patatine in truciolato e ho chiuso un occhio.
Arrivo alla prima tappa: la trasformazione di un ordine cartaceo in ordine vero: alchimia scandinava. Ma c’è la fila. E un’insopportabile muzak diffusa dagli altoparlanti. Una situazione drammaticamente simile a quella dei Blues Brothers quando sono chiusi in ascensore a pochi metri dall’ufficio delle imposte. Finalmente la commessa mi dà retta, solo che io ho trattenuto il fiato, ed esplodo in un suono cupo e gutturale, ma abbastanza articolato da sembrare una frase. Alla commessa si inumidiscono gli occhi e sussurra “Ho mentito, non so lo svedese, ma non lo dica a nessuno, se no mi licenziano e devo ridare all’Ikea sei quintali di librerie che ho preso in usufrutto”.
Chiarito l’equivoco, la commessa si rilassa. Pure troppo, perché mentre mi stampa gli ordini, mi dice che dei cassetti Bjornborg non arriveranno presto. “Tipo?” chiedo io. Lei ci pensa: “Mah, un paio di mesi.” Sbianco in volto. “No, di quel colore non ce li abbiamo”, mi dice fissandomi, poi riguarda lo schermo del computer. Batticchia sui tasti. Mi riguarda: “Ah no, arriveranno all’inizio della prossima settimana.” E sorride. Sono tentato di fare una delazione al capo del personale, ma devo sbrigarmi.
La muzak continua, il tempo è poco. Lascio FedeMC a prendere quello che a me sembra – grosso modo – un tavolo per la cucina. Per sicurezza appunto il nome dell’oggetto su un foglietto, aggiungo caratteri a caso per farlo sembrare più svedese e glielo do. “Intanto vado a vedere una sedia girevole”, gli dico, e lo lascio in fila. Dopo trentacinque secondi esatti mi suona il telefono. E’ FedeMC che mi chiama, gabbato dal commesso, che gli ha detto che “PatrickSjoberg” è una consolle non un tavolo da cucina. Allungo del valium a Fede, risolvo il malinteso, altro foglio e via.
Intanto la muzak è interrotta sempre più di frequente da avvisi a concludere gli acquisti, ché qui si chiude, italiani maledetti, mai una volta che rispettiate una regola una. In effetti sono le otto meno un minuto. Io ho i miei fogli, i miei appunti, sono pronto. Ma Fede e John non hanno ancora comprato niente, e pare brutto. Quindi ecco che uno compra una abat-jour (Fede: “Ma dove saranno le abat-jour?” John: “Eh, saranno giù: abagiù”. E poi uno dice che si porta dietro della gente a caso.), l’altro un pallone di pezza (“Nordhal”), delle patatine d’abete e una birra.
Arriviamo alle casse. Pago. E mi rendo conto di avere speso 60 euro al minuto. Record nazionale. Il direttore Ikea (“Thor”) viene a complimentarsi con me, ma io non posso perdere tempo, devo andare a ritirare delle cose al deposito esterno.
Nel parcheggio incontriamo due ragazzi che ci chiedono un passaggio. Inscatoliamo anche loro, in un comodo pacco piatto (“Baaren”), e via.
Seduti in tre sui sedili anteriori del furgone sembriamo i Devil’s Rejects. Iniziamo a discutere animatamente, urliamo, veniamo quasi alle mani, ridiamo sadicamente. Da dentro i “Baaren” solo deboli respiri.
Decidiamo di non uccidere sadicamente i due autostoppisti perché nessuno di noi vuole fare la parte di Baby, la bionda.

"Chi perde paga"

Vagava per le vie di Roma senza guardie del corpo, tanto non lo riconosceva più nessuno. Larghe chiazze di alopecia si facevano largo sul testone sempre in fermento, che pensava senza sosta. “Devo vincere”. Fosse stato giovane si sarebbe messo a tirare di scherma, avesse ancora avuto un cavallo (e uno stalliere) avrebbe montato e formato una bella squadra vincente di polo, fosse stato come quell’altro imbecille che continuava a telefonargli (“Si sente male”, diceva lui per chiudere la conversazione, “Sarà il satellite”, ribatteva l’altro per continuarla) sarebbe sceso in campo sui tavoli da poker delle bische di mezzo mondo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Continuava a ripetere dentro di sè “Vincere, vincere, vincere”, e non c’era neanche più qualche vecchio simpatizzante che riprendeva le sue parole, trasformandole nella nota marcetta “… e vinceremo in terra, in cielo, in mare”. Era solo.
Andava in giro per quei quartieri che aveva snobbato anche quando aveva compiuto i sopralluoghi per diventare sindaco della capitale. Per la prima volta si era sentito dire “Lascia perdere”, e infatti aveva perso un altro, al posto suo. Almeno quello. Faceva caldo, un caldo insopportabile, eppure non la smetteva di arrovellarsi il cervello. Vide in lontananza un bar, e decise di concedersi una bibita.
Si avvicinò al tendone esterno, e vide un ragazzino magrissimo e dall’aria scema appoggiato al calcio balilla. Sfoderò il suo sorriso migliore, gonfiò il doppiopetto e disse: “Ti va qualche partita? Chi perde paga.”
Remolo Gatti, detto “Er Polso”, campione imbattuto del quartiere da anni, prese la squadra rossa, pregustando l’ennesima vittoria.

Di |2006-04-13T21:12:00+02:0013 Aprile 2006|Categorie: I Am The Walrus|Tag: , , , , |6 Commenti
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