Tra la pera e l'ombrello…
Il correlativo audiovisivo di questo. Ah, ve lo dico subito, la scelta della musica di sottofondo dello spot è stata scelta coraggiosamente: Ligabue. Sic. E sigh.
[youtube=http://youtu.be/qRqDhezMbrc]
Il correlativo audiovisivo di questo. Ah, ve lo dico subito, la scelta della musica di sottofondo dello spot è stata scelta coraggiosamente: Ligabue. Sic. E sigh.
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Ah, le circolari della Gelmini: sono la croce e la delizia degli insegnanti, che probabilmente, ogni volta che il bidello bussa alla porta, sono attraversati da un brivido di terrore. L’ultima trovata del ministro è “Allenati alla vita” (o forse “Allenàti alla vita”? Chissà). Si tratta di un corso teorico e pratico, che dà crediti formativi, in cui gli alunni sono divisi in pattuglie e si esercitano al tiro con la pistola ad aria compressa, nuoto, salvataggio e orienteering. Ne parla anche “Famiglia Cristiana” (ormai una delle voci più autorevoli dell’opposizione, il che è tutto dire).
Non so perché, ma quando ho pensato a come ‘sta roba potrà essere attuata in Italia, (perché ci sarà qualche insegnante deficiente che ci penserà) mi è venuto in mente Noi uomini duri, dimenticabilissimo film di Enrico Oldoini con Pozzetto, Montesano e (uh!) Alessandra Mussolini…
Ah, l’Italia. Recentemente Trenitalia ha rinnovato le biglietterie automatiche: nuovo design, veloci, belle, superpiù. E voi direte: bene, era ora. Eh già, ma non ha rinnovato il sistema computerizzato che ci sta dietro. Come capita sul sito, le opzioni che vi vengono date per un tragitto sono sempre e comunque le più costose. Per andare da Bologna a Gorizia, per dire, ci sarebbero due interregionali, che prendo da tre lustri. Ma le biglietterie fanno finta che questi treni non esistano e quindi, comunque, ti “costringono” a comprare un biglietto per l’alta velocità, cercando di farti spendere più del doppio per risparmiare quindici minuti di tempo.
Ma perché siamo così mariuoli, sempre, comunque e dovunque?
Se c’è una cosa che il PD fa è spendere soldi in campagne di comunicazione: compaiono spesso, sui muri delle città, manifesti del PD, di solito contro qualcosa (il Governo), con payoff abbastanza banali, tutto sommato. L’ultimo cartellone che ho visto mi ha fatto da un lato perdere le speranze e dall’altro incazzare come una bestia.
Avete presente il PD, no? Quei partito che di solito agisce come Fantozzi quando viene chiamato: cerca di mimetizzarsi con la tappezzeria e fa finta di niente, qualsiasi cosa accada. Il PD è l’amico che fa orecchie da mercante, che quando c’è da lavorare si sloga un polso (per poi guarire miracolosamente quando c’è da prendere al volo una birra), che quando viene interpellato la prima cosa che dice è “Ma chi, io?”
Ma le cose si capivano già alla Prima Festa Nazionale del PD: io c’ero. Il PD aveva appena perso le elezioni, ma, fiero, aveva allestito alla Fortezza Da Basso di Firenze la sua bella Festa. C., che era con me, mi diceva, girando per gli stand: “Ma quando c’erano le altre Feste, quelle provinciali e quelle regionali, c’erano molti più stand”. Con ogni probabilità all’epoca il PD aveva offerto degli spazi a prezzi iperbolici. Risultato? Una festa con stand di trattori, arredamenti e niente di davvero piccolo e vicino alla “ggente”. Non solo: a quella Festa c’era una raccolta firme. A pochi mesi dal voto, il PD chiedeva ai suoi simpatizzanti, iscritti, votanti una firma per salvare l’Italia. Ma come? Vi ho votato e volete avere un altro mandato ancora?
La prassi continua: l’ultimo manifesto vede Bersani in camicia, con le maniche arrotolate. Slogan? “Per giorni migliori, rimbocchiamoci le maniche”. Eh, no, cari: io ho fatto quello che dovevo fare. Ora dovere muovervi voi. E che cazzo.
Quanto si parla a vanvera del terremoto che ha colpito l’Abruzzo più di un anno fa? Un sacco. Ora, non è che le immagini siano garanzia di veridicità, ma andare sul campo e parlare con la gente, be’, serve. Per questo vi segnalo, qua, Non chiamarmi terremoto, un documentario che, scrivono dalla produzione,
non è un’inchiesta su cosa ha funzionato e cosa no prima, durante e dopo il terremoto di l’Aquila.
Naturalmente vengono fuori anche elementi, riflessioni e narrazioni su questo, ma il nostro film vuole ottenere un altro risultato: vuole dare a tutti, a partire dagli studenti delle scuole medie e superiori, informazioni e elementi utili a prevenire i disastri causati dai terremoti.
Prevedere quando e dove esattamente ci sarà un terremoto, e di che entità, oggi non è possibile. Ma lavorare per ridurne gli impatti, per evitare crolli e morte, per ridurre il rischio di annientamento economico e sociale associato a disastri come il terremoto di l’Aquila, questo sì, questo è assai possibile. E dipende, anche e in buona parte, dalla consapevolezza da parte dei cittadini tutti di rischi, regole, comportamenti che possono ridurre i danni. Esigere che un edificio sia ben costruito, prevedere spazi di fuga e misure di emergenza, non permettere abusivismi e cattive gestioni delle ristrutturazioni, delle costruzioni, della pianificazione di un territorio, controllare i propri amministratori e coloro che sono delegati a fare le scelte in materia di sicurezza sismica e di gestione delle emergenze… Sono molti i punti dove anche un cittadino, meglio se riunito in una collettività consapevole e responsabile, può intervenire.
Siamo convinti che questo film possa dare agli studenti, alle loro famiglie e quindi alle comunità locali informazioni e motivazioni utili per non trovarsi impreparati e per non rimanere passivi in attesa del prossimo terremoto.
Per fare questo è necessario che il film arrivi nel maggior numero di scuole medie, comunità, emittenti possibili e noi ce la stiamo mettendo tutta.
Abbiamo però bisogno di aiuto: il progetto non è a fine di lucro, ma naturalmente ha dei costi vivi, di lavoro e di materiali, che non riusciamo a coprire interamente da soli. Stiamo cercando finanziamenti pubblici e privati, ma abbiamo deciso anche di provare a rivolgerci direttamente agli amici, ai colleghi, agli insegnanti, ai cittadini, alle famiglie. A tutti quelli che pensano che questo video possa essere utile se gira tra le scuole, se arriva ai ragazzi, se arriva sui media e sulla rete.
Orsù, guardate il trailer e, soprattutto, andate sul sito del documentario per saperne di più su come diffonderlo e sostenerlo.
[youtube=http://youtu.be/70A4KlBVuVw]
Stefano Disegni è infaticabile, e per fortuna. Nonostante il caldo orrendo, che personalmente mi impedisce anche solo di pensare di scrivere qualcosa qua, lui sforna cose come questa, e le manda in giro via mail, scrivendo:
Tra polemiche e alti sdegni, alla fine farà da solo. Perché Lui ci credeva sul serio.
Buona lettura: se cliccate sulle immagini, esse (miracolo!) diventano grandi.
Ieri ho visto dei film pornografici con animali e minorenni.
No, vabbè, dai, lo ammetto: ieri ho visto due edizioni del TG1, quella delle 1330 e quella delle 20. I titoli di apertura di entrambi i notiziari erano dedicati al primo anniversario del terremoto in Abruzzo. In mezzo alle solite lodi sperticate all’opera del Governo e a Bertolaso, nell’edizione dell’ora di pranzo c’è stata un’anomalia. Una donna che faceva parte del corteo in memoria delle vittime, ai microfoni del telegiornale, si è lamentata della mancata ricostruzione, aggiungendo qualcosa come “Quale miracolo, qui di miracoli non se n’è visti”. Ho pensato a questa frase tutto il giorno: com’è possibile, mi sono chiesto, che a Minzolini sia sfuggita questa voce di dissenso? Dormiva? Gli è apparso in sogno qualcuno di più alto e meno pelato che gli ha indicato la via? Ho escluso che si fosse ravveduto da solo: Minzolini? Ma andiamo, su…
E infatti, nella seconda edizione, che ha riproposto un servizio pressoché identico, la donna, la sua rabbia e la sua frustrazione, sono scomparse. Questa è l’Italia, amici: un Paese che si può permettere di essere cazzone anche quando si applica in una cosa seria come dovrebbe essere una sana censura di regime.
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[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=mF5FIFO0Vmw&hl=it_IT&fs=1&]
Se ne è parlato tanto anche su altri blog, e io, appena appresa la notizia, l’ho diffusa come potevo. In sintesi la questione è che Maurizio Costanzo è diventato direttore responsabile dei Gialli Mondadori. Una collana storica, che ha compiuto da poco 80 anni. E fin qui nulla di strano: è solo l’ennesimo caso di gerontocrazia vigente nel panorama culturale italiano.
Il punto è che nel post di presentazione ai lettori sul blog della collana, Costanzo non fa mistero di non saperne una mazza di letteratura gialla. Cioè, è scritto nero su bianco, in maniera impudica, o meglio, con una consapevolezza assoluta dell’impunità (morale, giudiziaria, politica) che vige in Italia.
E voi direte: be’, qualcuno avrà commentato negativamente questa scelta: certo, solo che come spiega Sergio Altieri in un altro post, quei commenti sono stati cancellati. E, anche in questo caso, l’ammissione è là, evidente, alla portata di tutti. Iniziamo bene, insomma: un giallo in cui il colpevole, alla prima pagina, ammette la sua responsabilità e, sotto gli occhi di tutti, riesce a farla franca.
Ancora una volta mi trovo in bilico con uno dei miei lavori. Intendiamoci, niente di imprevisto o di illegale: semplicemente, mi scade un contratto. Credo che, in dieci anni di lavoro, sia la decima volta che mi scade un contratto il cui rinnovo è incerto. Una situazione logorante, che condivido con molti di voi, e che noi abbiamo in comune con tante altre persone che conosciamo. Ma non con tutte.
Eh già: perché chi come me lavora in ambiti che vanno dal giornalismo all’intrattenimento, dai media alla pubblicità, dal cinema al teatro ha una tara in più. Noi, semplicemente, non siamo produttivi. I libri, le trasmissioni radiofoniche, le sculture, le personali di pittura non aumentano il PIL. Gli articoli di giornale non si mangiano, i dischi non procurano carburante, non ci si può vestire con un copione teatrale. Una minuscola parte di questi prodotti viene scambiata a cifre altissime (vedi il budget plan provvisorio della sezione fiction RAI 2010 postato nel blog della SACT), ma per il resto, non ci sono che briciole.
Niente di male, eh. Voglio dire che è del tutto ovvio che un medico (che salva vite umane e quindi mantiene la forza lavoro) venga pagato più di uno sceneggiatore televisivo: ma quello che manca, a chi lavora nel campo culturale, è la dignità. La dignità viene tolta accettando di scrivere cose per altri senza il diritto di firma, sopportando (perché non c’è altra scelta) stipendi ridicoli, non avendo contratti, continuando a subire soprusi nel nome di un “mestiere” che, in quanto “divertente” e non legato a orari (secondo le logiche comuni), può essere fatto gratis. Ma perché, dico io. Qualunque mestiere dovrebbe avere dignità: lo dice la Costituzione, no? Poi, non è detto che chiunque abbia il diritto di fare tutto: dovrebbe entrare in campo la meritocrazia. Io ho il diritto di studiare medicina, poniamo, ma se i risultati che conseguo non sono sufficienti, bene che vada (e non è detto) andrò a fare l’infermiere. Non tutti sanno scrivere, per fare un altro esempio, c’è che si farlo meglio di altri, e va bene. Però è corretto, eticamente, che chi scrive, per dire, e lo fa con merito (un traguardo che è ben lungi dal raggiungimento, per quello che mi riguarda), abbia un compenso adeguato a una vita dignitosa. E invece mille euro al mese sono spesso un miraggio: non è un’esagerazione.
Ma, giusto, ho parlato di meritocrazia, la grande assente (assieme a molti diritti) nel panorama nazionale. D’altro canto, direte voi, se uno è bravo, e quindi offre un prodotto di qualità, perché non mantenerlo: conviene, giusto? Certo, se della qualità importasse davvero qualcosa a qualcuno in Italia. Ormai nel Paese la prospettiva che hanno le classi dirigenziali è quella di un miope stanco che ha perso gli occhiali. Non si riflette sul lungo termine, ma neanche sul medio: gli investimenti (che parolona) si fanno sull’hic et nunc, si pensa a rattoppare di continuo, senza considerare l’idea che mille toppe costano più, a conti fatti, di un rifacimento totale della struttura (qualunque essa sia, rimanendo nella metafora da carpentiere). E perché accade questo? Perché gran parte delle decisioni viene presa da persone che hanno davanti a loro, considerando la media dell’aspettativa di vita italiana, da dieci a vent’anni per scorrazzare su questo mondo. Non importa se il prodotto è più scarso di prima, l’importante è che costi meno, e che quindi i margini di guadagno siano più alti, per garantire ricche vecchiaie, sostanziose eredità e onorevoli funerali a chi comanda. Quindi è facilissimo, in questi campi di lavoro che dall’esterno paiono così divertenti e fichissimi, che tu venga sostituito da uno che ne sa molto meno di te, ma è disposto a lavorare per la metà di quello che prendi, sebbene il tuo salario sia già una cifra ridicola. E se si guarda bene, nella fila che si srotola fuori dalla porta del tuo ufficio (se ce l’hai), forse c’è qualcuno che farebbe gratisquello che fai tu, anche se non sa come si usa un congiuntivo.
Non leggete quello che ho scritto come uno sfogo personale: io, per alcuni versi, sono fortunato. E gli esempi che faccio esulano dal mio quotidiano, sebbene non siano del tutto distanti dalle mie esperienze. Ma io, come tanti altri, sono uno che produce qualcosa di impalpabile. “Un cazzo”, direbbe Brunetta, con il suo imprescindibile savoir faire, ed è questa l’idea che ormai passa. Chi fa cultura non fa un cazzo. Vero, tanto più che questo è un Paese dove ormai la panza ha soppiantato del tutto l’anima: a che servono i libri, i film, le canzoni non da Sanremo? A che serve investire sulla creatività giovanile, dare spazio a chi ha meno di trent’anni (e con la scuola così ridotta, i giovani si mantengono ignoranti, che genialata)? A chi importa di curare chi può portare delle nuove idee (da quanto tempo l’Italia non produce idee innovative, per non parlare di tutto il resto?): è la panza che va nutrita. E io, sempre di più, mi sento uno stuzzicadenti usato per togliere i resti di carne dalla bocca di chi (ci) mangia.