Taxman

Una premura fuori dal Comune

Sapete, esiste la tassa sulla spazzatura, che qui a Bologna si chiama tasshashulrushco. E’ una cosa a cui uno di solito non pensa: una tassa sulla monnezza sembra quasi un paradosso. Invece essa c’è, e di solito uno se ne accorge quando gli arrivano i bollettini delle tasse arretrate non pagate, con cifre che superano abbondantemente il migliaio di euro: quando arrivano tali comunicazioni, la prima cosa che si fa di solito, instintivamente, è abbracciare il cestino della carta straccia, giurandogli eterno amore, per poi tentare di venderlo su e-Bay.
Per evitare brutte conseguenze, insomma, sono andato all’ufficio apposito un paio di mesi fa, per denunciare la mia abitazione, e la metratura della stessa. Eh già, perché la tassa è calcolata sul metro quadro: conviene, quindi, spargere ogni superficie del pavimento della propria residenza con dei rifiuti, urlando cose come: “Oh, sono quaranta metri quadri, ma me li godo tutti”, prima di svenire per i miasmi della decomposizione. Ma non divaghiamo: due mesi fa ho riempito il mio bel modulo, venendo a sapere, che ne so, il foglio catastale con il quale è registrata la mia abitazione e altre cose assurde, come l’orario di apertura dell’uffiziodelrushco. Poi, come tutti, ho aspettato paziente l’arrivo del bollettino, che è arrivato. Tasse per l’anno 2006, da pagare in comode rate in numero di quattro (4), da aprile a ottobre. Il punto è che tra poco più di un mese cambio casa, quindi nuova metratura da riempire di rifiuti. Come fare? Basta chiedere, e infatti telefono. La domanda, l’avrete capita anche voi, è semplice: quante rate devo pagare relative a questa casa, visto che la cambierò a metà anno?
Ci ho messo due giorni per trovare qualcuno al telefono: forse dovevano ogni volta superare mucchi di monnezza prima di arrivare alla cornetta, fatto sta che ce l’ho fatta, in una giornata nervosa e stancante. “Lei intanto paghi”, mi dice l’impiegata, “poi quando cambia casa, ce lo comunica perché cambia la metratura e l’importo dell’imposta.” “Sperando che non cambi neanche il tasso della tassa”, penso io. Ma la risposta non mi soddisfa, ovviamente, e rifaccio la domanda. Inizia un gioco snervante di dialettica, in cui l’impiegata mi ripete sempre le stesse cose, ma con parole diverse. Mi chiedo se di cognome faccia Bartezzaghi, e nel frattempo sento che sto per perdere: la pazienza, innanzitutto. Lei mi coglie alla sprovvista. “Ha capito?” “Sì”, dico io mentendo. “Secondo me no”, ribatte lei. “Infatti”, dico io e sento che sto per mettermi a piangere. “Eh, ma quando non capite le cose, mica vi dovete vergognare, insomma”, dice l’impiegata, e mi rispiega, stavolta senza anagrammi, cambi di vocale o figure retoriche. E io capisco, e mentre capisco spero che non mi metta un brutto voto, che quelli, come la tasshashulruscho, si pagano a fine anno.
“Vediamo la sua pratica”, continua lei. Io ormai sono sotto interrogazione, devo resistere. “Lei risiede in via Riva di Reno 58”, legge l’impiegata. “Veramente no”, dico io, e comunico il mio vero indirizzo (che, per inciso, non è neanche lontanamente avvicinabile da un punto di vista anagrammatico, fonetico o enigmistico a quello che mi ha detto l’impiegata). “Ci dev’essere un errore”, dice Madame Lapalisse. “Lei lo ha scritto bene?” Evito la domanda trabocchetto e lei ammette che potrebbe essere stato un errore loro. E mi chiede il numero di telefono: per non essere bocciato, penso, me la porto anche a letto, la prof.ssa Monnezza, e glielo do.

Epilogo. Due giorni fa, alle nove di mattina, ricevo una telefonata. “È il Comune di Bologna”, dice una donna al telefono. Io sono sveglio da cinque minuti, e spero solo che non ci sia un compito in classe a sorpresa. “Salve, sono quella dell’altro giorno”, mi dice un’altra donna al telefono. E storpia il mio cognome. Io la correggo, e lei: “Sicuro? Guardi che mi ha detto così l’altro giorno.” Evito di dirle che è anni che pronuncio il mio cognome, e la lascio continuare. “Il suo indirizzo… Abbiamo sbagliato noi a scriverlo, è stato un nostro errore, sa? L’ho chiamata solo per comunicarglielo.”
Per sicurezza aspetto che si pronunci la Corte di Cassazione.

Normale amministrazione

Conosceva l’agente Dario di vista, anche se non sapeva di che colore erano i suoi occhi. O meglio, lo sapeva dalla scheda informativa. Ma non era rilevante: in quel fascicolo c’erano cose che non conosceva neanche lo stesso agente Dario. Ma sapeva di non conoscerle.
L’agente Berto gli strinse la mano, e si fecero portare un caffè. L’agente Dario si tolse gli occhiali da sole e si lasciò andare sulla sedia. Si poteva notare il rigonfiamento della pistola sul fianco sinistro, intuirne il modello dalla sagoma che tracciava sulla giacca nera.
“Sa cosa pensavo? Che è la prima volta da quando sono in servizio che non lavoriamo su un atto appena prima delle elezioni.”
“Da quanto sei in servizio?”
“Quest’anno sono dieci anni.”
L’agente Berto non rispose, si limitò ad annuire lentamente, con un gesto che voleva dire “Io neanche me lo ricordo, da quanto sono in servizio.”
“Non abbiamo fatto tornare gli anarchici. Abbiamo tirato fuori i brigatisti, o quello che erano, poi li abbiamo rimessi dentro. Di personale sulla TAV non ne abbiamo più. I centri sociali non se li fila più nessuno. I disobbedienti?”
L’agente Berto sorrise. “I disobbedienti…”, disse, muovendo una mano in aria.
“Insomma, dopodomani ci sono le elezioni e neanche un atto diversivo? Perché? Non capisco.”
“Da quanto sei in servizio?” chiese di nuovo l’agente Berto. L’agente Dario balbettò qualche sillaba, poi capì e rimase in silenzio. L’agente Berto alzò il volume del grande televisore addossato alla parete dell’ufficio. La folla acclamava l’uomo sul balcone con urla e parole secche e ritmate, che sembravano venire direttamente da un vecchio cinegiornale Luce. L’agente Berto finì il caffè, aprì un cassetto della scrivania, prese una cartella e la porse all’agente Dario.

Di |2006-04-08T13:21:00+02:008 Aprile 2006|Categorie: Taxman|Tag: , , |3 Commenti

Gobba? Quale gobba?

Berlusconi: “Non è provato che il protocollo di Kyoto diminuisca l’inquinamento” (sempre da Repubblica.it, in una notizia che contiene altre gustose dichiarazioni realpolitik che al confronto Kissinger è un internazionalista).

Prossimamente: “Mai stato calvo in vita mia”, “Sono alto uno e ottanta, ma non mi capite”, “Veronica? Quale Veronica?”, “È stato il mio sosia a giurare tutte quelle cose sulla testa dei miei figli. Peraltro, Piersilvio non so neanche chi sia.”

Di |2006-02-04T00:53:00+01:004 Febbraio 2006|Categorie: I Am The Walrus, Taxman|Tag: , |6 Commenti

Del senso del termine "blogger", del blog di Luttazzi e di altre amenità

Questo post trae fiducia e ispirazione da un commento al post sotto, in cui Gianluca parla dell’intervista che ho fatto a Luttazzi, e critica le ragioni che l’hanno portato a chiudere il suo blog. Prima di tutto, è meglio che dica che l’intervista a Luttazzi non doveva, in origine, toccare altro argomento se non il suo spettacolo, come da accordi con il suo ufficio stampa. E inoltre aggiungo che non mi interessava gran che chiedergli del blog. Detto questo, riprendo il commento di Gianluca, che mi sembra interessante, e parlo qui (credo per la prima volta, dopo averlo fatto in un paio di occasioni in pubblico) di alcune cose che riguardano il mezzo stesso su cui sto scrivendo.

Credo che il blog sia uno strumento, un mezzo di comunicazione che tutti possano usare, e il verbo potere qui ha due sensi. Il primo è che tutti hanno le capacità tecniche per aprire un blog, il secondo è che ognuno può usare un blog come gli pare. Il problema, secondo me, sta nella definizione di blogger. Gianluca scrive che “forse Luttazzi blogger non lo è mai stato”. Ma nessuno di noi è un blogger, o lo siamo tutti. Mi spiego: nonostante sia un medium, il blog non è un mass medium, e non è neanche un mezzo di comunicazione istituzionalizzato. Questo, in un certo senso, è uno dei suoi punti di forza, ma anche qualcosa che, visto il doppio significato di “potere” di prima, fa sì che non ci sia alcuna “professionalizzazione” nella figura di chi gestisce un blog, nel blogger, insomma. Anche questo elemento ha due facce: da un lato è un bene, perché rendere professionale (e come, poi?) una figura così sarebbe difficile e potrebbe portare il blogger a piegarsi ai tanti compromessi e ostacoli che caratterizzano qualsiasi figura professionale nell’ambito della comunicazione. Dall’altro lato è un male, perché spesso si fa informazione tramite i blog senza avere minimamente idea delle regole (etiche e, ancora una volta, professionali) che sono necessarie per un’informazione corretta.

Luttazzi mi ha detto, nell’intervista, che si è reso conto come il blogger famoso possa diventare una specie di capopopolo. Questo può essere vero: sebbene io sia d’accordo con Gianluca sull’interazione necessaria con gli utenti, quest’interazione è minoritaria rispetto al “senso di abbandono” che si ha verso le parole di una “guida”. Insomma, diciamolo francamente: prima dello scivolone sulla questione dei contributi statali alla stampa, moltissimi associavano Beppe Grillo alla verità (scomoda), annullando il senso critico che dovrebbe essere alla base di qualsiasi lettura (intesa in senso ampio) di qualsiasi mezzo di informazione, dai giornali, ai blog, ai giornali radio, ai quotidiani.
Ma non è solo questa la preoccupazione da tenere in considerazione, secondo me. C’è anche un altro effetto, che alcuni blog hanno come gli organi di informazione: determinare la cosiddetta agenda-setting, cioè, in parole povere, stabilire cosa è importante e degno di nota e cosa no. Ora, questo sarebbe un bene se i blog fossero considerati davvero, nel nostro Paese. Non lo sono, e questo accade sia per la scarsa qualità generale dei blog stessi, sia per una sorta di spocchia del mondo giornalistico istituzionale verso i nuovi mezzi di comunicazione in genere, soprattutto se “dal basso” come i blog. Il punto è che i blog più letti in Italia parlano (benissimo) di cazzate (e mi ci metterei in mezzo, se non fosse per i miei accessi non enormi e, soprattutto, il “benissimo”). E questo vuol dire che muovono sì l'”opinione pubblica” (occhio alle virgolette: i lettori di quotidiani, in Italia, in confronto ai lettori di blog, sono una massa enorme e sterminata, e voi sapete quanto poco vengono letti i giornali da noi), ma su serie tv, film (talvolta), altri siti, gruppi musicali di nicchia. In tutto questo, intendiamoci, non c’è nulla di male, anzi. Ma di informazione “seria” nei blog italiani ce n’è poca e, quando c’è, è spesso presente anche il “senso di abbandono” di cui sopra.
Torniamo a Luttazzi, quindi. Ha provato ad usare una tecnologia, che, come dice giustamente, non è neutrale, come tutte le tecnologie, e ha trovato delle cose che non vanno, o che non vanno a lui in questo momento. Secondo me non è detto che non ci riprovi, in un futuro. Ma per ora ha deciso di chiudere il suo blog, e capisco il suo gesto.

Update. Luttazzi parla della questione su Repubblica.it.

3%

Ho appena finito di vedere il servizio di Rai News 24 su quello che è accaduto a Falluja, Iraq, negli ultimi mesi.
La frase del servizio che mi ha più colpito è stata quella che si riferiva ai filmati della guerra del Vietnam: solo il tre per cento del materiale video proveniente dal Vietnam aveva contenuti violenti, ma (anche) questo è servito a scatenare la protesta contro la guerra.

Per questo pubblico qui diversi link, che hanno a che fare con quello che io, nel mio minuscolo, e altri hanno fatto per documentare quello che è successo a Falluja e in Iraq e che sta presumibilmente accadendo ancora. Una piccola parte del materiale disponibile in rete. Il 3%?
Solo l’ultimo link riguarda il servizio andato in onda qualche giorno fa.

Leggete e guardate tutto con attenzione, per quanto immagini e parole siano insostenibili. Poi vi chiedo un favore: copiate questo post, o solo i link in esso contenuti, magari aggiungendone degli altri, sul vostro blog. Oppure usate la mail, o qualsiasi altro mezzo che il 2005 ci offre, trent’anni dopo il Vietnam.
Si dice sempre che siamo in pochissimi, “noi blogger”, e forse è vero. Siamo “un” 3%? Si dice anche che siamo bravissimi a fare catene sui libri che leggiamo o i dischi che ascoltiamo. Adesso facciamo una catena diversa, se vi va.

Enzo Baldoni parla di Falluja (RealMedia)
Enzo Baldoni racconta di Falluja
(agosto 2004)

Giuliana Sgrena: Falluja, una strage al giorno
(settembre 2004)

Falluja: ieri e oggi
(novembre 2004, periodo del primo probabile attacco con MK-77)
Il video linkato nell’articolo si riferisce ad un attacco dell’aprile 2003: scaricatelo qua (tasto destro, salva con nome)

Rapporto da Falluja 1 e 2
(gennaio 2005)

Napalm by any other name
(aprile 2005)

Il servizio di RaiNews24
(novembre 2005)

Daniela Santanchè: il dito medio del potere – terza e ultima parte

La Santanchè arriva alla Camera nel 2001, e inizia a circondarsi di amici.

Ora ho un ottimo rapporto con Italo Bocchino, Andrea Ronchi, Carmelo Briguglio, Nino Strano, e anche Maurizio Gasparri, con cui, all´inizio non c´era molto feeling.

Strano, lui che è così simpatico. Ma il vero mentore della Santantiè è sicuramente lui, La Russa.

Quanto a Ignazio La Russa dico solo che io esisto, perché se lui non avesse creduto in me non ci sarebbe mai stata una Daniela Santanchè story sul Foglio…

Ignazio, le tue responsabilità nei nostri confronti crescono a dismisura.

Ma non si circonda solo di politici, la Santanfriendly, e il suo biografo fa risaltare bene il fatto.

Tra le amicizie di Daniela Santanchè , in Parlamento e fuori, spicca Paola Ferrari, risultata in un recente sondaggio comparso sui quotidiani la giornalista tv più apprezzata dai camionisti.

Aspettiamo presto legami con Brigitta Bulgari e Lady Dominio, quindi.

Ma com’è, come non è, insomma, la Santanchair è in Parlamento. Per provarlo, ci dice esattamente dove si siede.

Ora a Montecitorio, sono vicina di banco di Roberto Alboni, Antonio Mazzocchi e Nicolò Cristalli, però Mazzocchi non c´è quasi mai perché sta al tavolo di presidenza, così io posso usare la sua sedia per poggiarci sopra borse, giornali e cappotto…

Che meraviglia. Puoi anche stendere le gambe, pensaci. Santanbag, una donna concreta, come una dei suoi idoli.

Quando ero ragazza impazzivano tutti per Claudio Baglioni, che andava per la maggiore, ma io no. Non ho mai avuto dei miti, che so i cantanti, gli attori, e infatti non avevo neppure i classici manifesti appesi in camera. Solo ora, con la politica, mi è venuta la passione per Margaret Thatcher: una donna che mi avvince, che ha cambiato la storia del suo paese.

Daniela, se ti va ti passo un bootleg degli Iron Lady, lo sai, il gruppo in cui suonava Maggie.

Ma i veri miti sono in casa (delle libertà).

Nel centrodestra Silvio Berlusconi è il genio, Gianfranco Fini la politica, Umberto Bossi il mattatore, Marco Follini l´equilibrista.

I fantastici quattro, insomma. Notare gli epiteti mascherati per Bossi e Follini. Ma è per il suo Presidente che Santanlacchè spende le parole migliori.

Gianfranco Fini, grande presidente di Alleanza nazionale, la cosa che più mi colpisce è la sua capacità oratoria eccezionale, se si decide di ascoltare qualcuno per capire la politica non ha pari. E poi le sue uscite sugli immigrati, oppure su Israele, appartengono a una destra moderna ed europea, popolare ma non populista, meritocratica ma non classista, elitista ma non elitaria. La destra dei grandi valori: l´appartenenza alla patria, la sacralità della vita, la centralità della famiglia. Questo vuol dire essere di destra.

Un po’ incerta la sintassi, Daniela, la prossima volta ti voglio più preparata, ma un sei più te lo do. Adesso va’ a posto, e scrivi il tema sul Natale.

Un lavoro bestiale fare gli alberi e tutto quanto. A Roma ho addobbato il camino con il pino verde, le lucine, le palline e i fiocchetti rossi; a Milano ho fatto, oltre al presepio, l´albero con i fili d´oro, le palle d´oro e bordeaux e le lucine tutte bordeaux; a Cortina poi, dove arriverò il venticinque, l´albero è tutto d´argento. Lì festeggeremo con Paola e Marco De Benedetti, i miei amici Trentin e Schemoz, e tutti i bambini. Ci sarà un Babbo Natale che entra dal giardino e lascia i regali nel camino, il Mercante in Fiera, per i piccoli le patatine fritte con la cotoletta alla milanese e il succo di uva nella finta bottiglia di champagne, per i grandi i cappelletti in brodo e bollito. Niente panettone, bensì pandoro con la panna montata e la frutta secca. Quanto ai regali vorrei ricevere le borsette Kelly di Hermes, che colleziono, e altri salami da Paolo Bonaiuti: io sono ghiotta da matti di salami. L´unico politico cui farò il regalo, invece, sarà Ignazio La Russa, che per me è come un familiare.

Daniela Santaclaus si misura con i suoi colleghi di partito, anche con i più spinosi.

Un ottimo rapporto ce l´ho anche con Mirko Tremaglia… se penso ai culattoni, io quella battuta non l´avrei detta, ho tanti amici tra gli omosessuali… comunque non commento le parole di un ministro della Repubblica… e poi, se ci ripenso, mi viene troppo da ridere.

Ti sarà sicuramente venuta in mente una bella barza sui froci, eh?

E adesso, varie ed eventuali (feat. The Club). Cucina (notate le virgole, messe come il prezzemolo)!

E´ bello, nel mondo, di internet, portare avanti le tradizioni, avere ancora delle cose antiche cui fare riferimento, stare tra i tegami. Quanto al mangiare invece ho una passione per la minestrina, quadrucci e stelline con il brodo di carne oppure di pollo ma senza parmigiano, per le mammole dei carciofi bolliti e, ancora di più, per i salami di ogni tipo, felini, piccanti, cacciatorini… solo la finocchiona mi piace un pò meno. E poi adoro la mortadella, il prosciutto crudo, il culatello, il lardo, la pancetta, la coppa….

Amore!

Non ho mai avuto, neanche da ragazzina, il prototipo dell´uomo ideale, del genere biondo, alto, con gli occhi azzurri. Mi sembra una stupidaggine. Diciamo in generale che, per quanto mi riguarda, l´uomo perfetto non deve essere perfetto, però deve volere solo me, deve farmi sentire che sono l´unica, che non c´è nessun altra al mondo, insomma devo essere la sua regina. Da un punto di vista fisico ho una sola preferenza: non deve essere alto, diciamo al di sotto dell´uno e ottanta…

Carriera!

Io, appena eletta nel 2001, trascorsi tutto il mese di agosto a prendere lezioni private con un professore universitario. E non è che ero del tutto a digiuno: mi sono laureata in scienze politiche, dove mi hanno fatto due palle così con Marx e co´ sto Capitale…

… per non parlare della Corazzata Potemkin, eh, Daniè? Andiamo avanti!

Sono nata fortunata, con un buon carattere, mi piace ascoltare gli altri, perché penso sempre di avere da imparare da tutti, so cucinare, ricamo bene… a punto croce e a mezzo punto… e ho solo vizi modesti: fumo, anzi fumavo visto che ho smesso da poco, mi mangio le unghie, sono pigra.

E per finire… lapsus!

Però non sono ingorda, non solo lussuriosa, non sono invidiosa. Sembro forse un tipo lussurioso?

No, Daniela. Abbiamo capito dal tuo gesto che sei troppo fine per essere lussuriosa.

fine

P.S. Un grazie a Succo di mela che, grazie ai commenti a questo post, mi ha fatto scoprire l’imprescindibile sito della Santanweb.

Daniela Santanchè: il dito medio del potere – seconda parte

All’università, però, sono guai: Daniela è circondata da comunisti. E lei, per reazione, diventa una “cremina”.

I cremini stavano a Torino, come i sanbabilini a Milano: avevamo la gonna blu a pieghe, la camicia Oxford azzurra, i golfini, le prime borse firmate Chanel e Vuitton, i jeans stretti Levi’s, le scarpe Scott blu.

Incredibile come non avendo una lira si possa diventare una cremina: o Daniela Saintchanel si vestiva solo con capi taroccati? Rimane il mistero. Ma inizia a capire che è la destra quella che conta, anche se ancora non sa che è il dito medio di quella mano il vero centro di tutto.

Poi, il biografo viene rapito e sostituito di punto in bianco dal mago Horus.

Daniela ritiene di essere “una parte tipo animale, intuizione e fiuto, e per l´altra parte un tipo fortemente razionale”

E il mago Horus viene a sua volta sostituito da un’articolista di Cosmopolitan. O da un autore di The Club.

Per conquistarmi, un uomo deve farmi sentire una principessa, coccolarmi, viziarmi, ma viziarmi di modi, farmi sentire la prima del mondo, occuparsi solo di me, che vuole solo me, importante, unica. Deve farmi sentire amata. Nella conquista mi affascinano i modi, non le cose o i gioielli…

Il tutto senza soluzione di continuità. Daniela, iniziamo a parlare di politica o no?

Il primo uomo politico che mi ha conquistato è stato Ignazio La Russa, ma prima avevo già conosciuto Paolo Cirino Pomicino. (…) Ignazio, invece, l´ho conosciuto nel 1995. (…) Poi di lì abbiamo cominciato a frequentarci, siamo diventati amici, e con quest´uomo brillante, capace, molto intelligente, ho cominciato ad appassionarmi di politica…

Appassionarsi di politica con La Russa? Allora ci si può anche interessare di musica con Drupi.

Daniela, prima che una politica, è una donna, che ha conosciuto l’amore e anche il dolore che c’è quando l’amore finisce. Il suo primo matrimonio con il chirurgo plastico che le ha rifatto il naso giunge ad un termine, come abbiamo visto, ma non senza che Daniela lo faccia diventare “il chirurgo più famoso d’Italia” (sic). E peccato per la presenza ossessiva del dottor Kildare oltreoceano, se no si poteva tentare lo sbarco in America…

Ho lavorato dodici anni della mia vita (…) per le pubbliche relazioni. Facevo il campionario, gestivo gli studi e le cliniche, tenevo la contabilità, incassavo i soldi ero una che gestiva la sua azienda, la nostra era una Spa. E c´ero e non c´ero, faceva la differenza. Lui non faceva niente di questo, operava e basta.

Un chirurgo che opera e basta? Incredibile. Come un politico che si occupa solo di politica. Ma Daniela Santasubito si rifà col suo nuovo uomo, Canio.

Canio mi ha detto: come mi piacerebbe avere un figlio da te. Figuriamoci, io avevo un marito che mi portava i libri sulle patologie neonatali e mi diceva: quali figli, ma tu sei pazza, e di colpo mi trovo un uomo che parla di continuità, che crede nella famiglia, nelle cose importanti, nei figli e tutto…

Ma esattamente come il matrimonio di Daniela Santanciak sembra un film, lo è anche il modo in cui ha lasciato il marito (sì, è un flashback nel flashback nel flashback…)

“Paolo, ti devo parlare”. “Adesso? Non vedi che sto studiando?”. “Adesso si, guarda che forse per te è meglio adesso”. “Che c´è?” “Tra noi è finita, mi sono innamorata di un altro, che vuole un figlio da me. Me ne vado”. “Ma che stai dicendo?”. “Non sono fesserie. Ti lascio” Ah, va bene. Però ti chiedo solo una cosa. Potresti, prima di andare via, organizzare la festa dell´undici di agosto in Sardegna?”

La logica biografia ci fa tornare indietro (ancora!) alle aspirazioni della diciassettenne Daniela, che, intervistata durante “Viva le donne” (sì, il programma con Amanda Lear), dice di voler fare il Ministro del Tesoro.

Allora, non è che volevo fare il ministro per diventare famosa, ma per fare una cosa in cui si diventa autorevoli, senza essere un numero, e dove si arriva solo se si ha una testa… Giulio Tremonti, ad esempio, per me era un genio…

Perfetto. Continuiamo così.

fine seconda parte

Torna in cima