Tomorrow Never Knows

Un omino e l'agenda-setting

Questa che vedete è una foto tuttora inedita di Enzo Baldoni, scattata nella periferia di Najaf nel pomeriggio del 19 agosto scorso. Dal 20 agosto non si avevano più notizie di Enzo. Il 24 agosto veniva trasmesso il primo e unico video in cui compariva Enzo. Il 26 agosto la televisione Al-Jazeera ne annunciava l’avvenuta esecuzione.
Si è parlato molto di Enzo nei giorni immediatamente successivi al 26 agosto. Ogni tanto se ne parla ancora. Ma le notizie si accavallano, in un gioco al quale siamo abituati e non facciamo più caso: una scaccia l’altra in un moto perpetuo al quale solo pochi riescono a sfuggire. Quindi, dopo il sequestro e la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta, e dopo il sequestro e l’uccisione di Ayad Anwar Wali (praticamente passato sotto silenzio), ci si è dimenticati di una delle tante anomalie del sequestro di Enzo e della sua fine: a differenza di altri corpi, il suo non è mai tornato in Italia. E in pochi continuano a ricordarsene.

Penso sempre di più che la cosa difficile non sia essere ben informati, ma ricordarsi, o non dimenticarsi di ciò che accade o che è accaduto.

Helen Williams

Sono riuscito a trovare Helen Williams e l’ho intervistata al telefono. La sua testimonianza è fondamentale per sapere che cosa è successo ad Enzo e Ghareeb il venti agosto scorso.
L’intervista con la mia traduzione simultanea è andata in onda su Pop Line, Radio Popolare di Milano, e verrà riproposta integralmente all’interno de La talpa spaziale, in onda dalle 1815 su Città del Capo Radio metropolitana di Bologna. Per sentirla seguite le solite istruzioni.

“Se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno, non diremo mai la verità”

Update: potete sentire l’intervista alla Williams, sia estesa in originale, che ridotta e tradotta.

"Cose piccole e piccoli sentimenti"

Oggi ho avuto un crollo, ben mascherato dal mutismo, in redazione.
Appena avuta la notizia del rapimento sono schizzato via da casa, proprio mentre rispondevo a delle mail, scrivendo che dopo quattro giorni di delirio questo era il primo pomeriggio tranquillo (avrei dovuto dire “una tensione stabile”). Sono arrivato in radio, ho cercato Scaccia. Le solite domande. “Hai qualcosa da dirmi? Quali sono le reazioni là?”. Pino si è dimostrato, ancora una volta, una persona splendida. “Francesco, che ti devo dire? Troppo presto perché ti possa dire qualcosa. E poi, che reazioni? Ero io, qua, uno dei suoi amici.” Nonostante incombesse la diretta del TG2, ha trovato come sempre il modo di dirmi qualcosa e mi ha parlato un po’ del gruppo terroristico che ha rapito Enzo. Ho chiuso la telefonata, ringraziandolo (e non sarà mai abbastanza), sono andato a scrivere il pezzo. Stampato, consegnato. Poi mi sono seduto e ho visto un’altra, l’ennesima edizione di un telegiornale. Enzo è stato rapito.
Mi sono reso conto allora che, in fondo, speravo che fosse nascosto da qualche parte. Perché sono stato male, è venuta fuori tutta la tristezza e l’ansia per questa vicenda che i ritmi di lavoro serrati degli ultimi giorni avevano relegato da qualche parte, in fondo. Una tristezza che era stata sfiorata, ieri, quando ho dovuto scegliere un brano di una delle “Cartoline” che avevamo fatto, e risentire la sua voce dai file grezzi, con le risate e le battutacce in mezzo, mi aveva fatto un certo effetto. Ma ieri bisognava essere veloci, scegliere i brani, ripulirli, montarli. Oggi, no. E allora mi sono venute in mente le prime e-mail che ci siamo scambiati, sette anni fa, quando lui per me era Zio Zonker e io per lui Il Malva. Beh, veramente io sono ancora per lui “Il Malva”. In una mail, addirittura, dopo un sacco che non mi facevo sentire, mi appellava “Malva, vecchia troia!” tutto in maiuscolo.
Enzo è stato uno dei primi a leggere la mia prima raccolta di racconti. Appena l’ebbe finita mi scrisse.

Oggetto: Tempi diversi
Data: Sun, 5 Dec 1999 21:55:49 +0100
Da: egb
A: francesco

Ieri sera mi sono portato a letto “Tempi diversi”.
L’ho letto tutto d’un fiato.
Belli gli attacchi, giusti ritmi e misure, non casuale il pezzettino di Raymond Carver.
Il mio preferito e’ probabilmente “Il bagno del primo piano”, delicatissimo, vagamente surreale.
L’unico punto debole che ho trovato e’ forse strutturale alla tua generazione, che non ha avuto in genere grandi tragedie ne’ grandi epopee, e che quindi e’ costretta a parlare di cose piccole e di piccoli sentimenti. Non amo il minimalismo, e Leavitt mi fa cagare. Ma i tuoi racconti non sono, secondo me, da considerare minimalisti. Mi piace considerarli dei bei pezzi di artigianato, fatti con amore, tecnica e buona capacita’ di rifinitura.
Bravo.

Enzo

Questa è una delle mail di complimenti più belle che abbia mai avuto. E da cinque anni, lo giuro, continuo a riflettere sulla debolezza della mia generazione, “che non ha avuto in genere grandi tragedie né grandi epopee”.

Ho scritto un romanzo, Enzo. E voglio fartelo leggere. Quindi, vedi di tornare presto.

La tua vecchia troia, il Malva

Speciale su Enzo Baldoni

Ho curato le interviste a Pino Scaccia e a Enrico Deaglio, direttore di Diario, per uno speciale su Enzo che andrà in onda all’interno de La talpa spaziale, la trasmissione quotidiana di informazione di Città del Capo – Radio Metropolitana di Bologna, dalle 1815 di oggi.
Se siete a Bologna, Ferrara o Modena – ma soprattutto Bologna – sintonizzatevi sui 96.250 o 94.700 MHz. Se siete altrove, potete sentire il programma in streaming.
Con ogni probabilità l’intervista a Scaccia verrà ripresa da Popolare Network in uno dei prossimi giornali radio.
Update: verrà ripreso nel GR immediatamente dopo La talpa spaziale.

Forse non ci siamo capiti: PALLE FREDDE

Il delirio mediatico che è seguito alla scomparsa di Enzo Baldoni è qualcosa di incredibile e, per certi versi, vergognoso.
Le notizie certe su tutta questa vicenda, è bene metterselo in testa, sono poche, pochissime. La confusione intorno alla scomparsa di Baldoni è evidente, anche dal momento in cui le agenzie di stampa ieri e i maggiori quotidiani nazionali oggi hanno tentato di carpire delle notizie da dei blog, strumento di comunicazione di solito molto osteggiato dalla stampa ufficiale. Le notizie hanno iniziato a rincorrersi partendo proprio un blog, quello di Justin Alexander, inglese legato a diverse ONG in Iraq. E’ stato proprio lui a pubblicare nel pomeriggio di venerdì scorso la notizia della morte di Ghareeb l’amico, autista e interprete di Baldoni, e della scomparsa del freelance italiano. Ho sentito Alexander ieri sera e mi sono reso conto che la sicurezza sulle sue fonti non era proprio salda. Quasi contemporaneamente è apparsa sul blog di Alexander l’ammissione di incertezza sull’episodio. In seguito ha assunto sempre più importanza il blog di Baldoni stesso, Bloghdad. Ma spesso nei commenti, e in forma anonima, sono state avanzate ipotesi che hanno del fantascientifico. Probabilmente la fonte web più affidabile, in questo momento, è il blog di Pino Scaccia, inviato della RAI, l’unico dei tre soggetti citati che effettivamente è presente in Iraq. Questa mattina ho sentito Scaccia al telefono. Abbiamo parlato di un particolare non secondario. Infatti rimane ancora il dubbio se sia effettivamente di Ghareeb il cadavere di cui si parla, perché ancora nessuno ne ha visto direttamente il corpo, nonostante la notizia sia stata confermata da fonti della Croce Rossa italiana in loco, da fonti sciite e dalla polizia irachena (quest’ultima fonte deriva sempre dal blog di Alexander che, sentito nuovamente poco fa, mi ha detto che comunque si tratta di conferme di seconda mano).
I giornali di stamattina hanno comunque cercato la notizia.
Se la notizia non c’è, come è adesso, l’hanno costruita. Hanno dato per certo che Enzo volesse intervistare Al Sadr, quando si trattava di qualcosa che era poco di più di una boutade tra colleghi, Scaccia e Baldoni, intendo. Hanno detto di Enzo che “vuole fare Rambo”, quando il suo sguardo è completamente diverso. Sentite il suo tono di voce, e come racconta gli esseri umani. Leggete a fondo il suo blog. Forse sarò presuntuoso, ma rivolgo queste parole anche ai colleghi giornalisti.
Insomma: palle fredde, per favore. L’attesa è tremenda, ma è l’unica cosa sensata da fare, anche e soprattutto per rispetto dei cari vicini ad Enzo.

All Work and No Play…

Suona il cellulare.
“Pronto, sono XY di Donna, del Corriere della Sera. Parlo con Francesco?”
“Sì”, dico io. E già mi immagino di varcare i portoni di via Solferino vestito come un giornalista anni ’30.
“Il suo numero mi è stato dato da [xy], la rivista di cinema su cui scrive. Lei ha intervistato Argento…”
“Sì”, dico io. Mi immagino davanti ai portoni di via Solferino, in attesa.
“Senta, non è che ha un recapito di Argento?”
Non dico niente. E mi immagino a scrivere con lo spray frasi oscene sui muri di via Solferino.
“Le posso dare solo il numero della casa di produzione, non…”
“Ah… Certo, certo, mi dica”
Dopo averle passato il numero, non ho resistito.
“C’è sull’elenco telefonico di Roma, comunque…”
“Me lo ripete? Zero sei… poi?”
Mi arriva una mail dalla rivista [xy]. “Ti inseriamo tra i collaboratori fissi, ma devi firmare la liberatoria che ti allego e rimandarmela.”
Con la liberatoria mi impegno a non essere pagato. Firmo.
Mi immagino come Tafazzi, impegnato a battermi le palle con un numero di [xy] arrotolato.
Infine, mi è arrivato l’sms di Berlusconi.
La mia immaginazione ha dei limiti.

Imagin(e)a(c)tion

Mi si perdoni il titolo bislacco. Andiamo con ordine.
Mi arriva una mail, ieri mattina, da Enzo G. Baldoni, giornalista di Diario e Linus, tra gli altri. Nella mail si ipotizza che forse l’esecuzione di Nick Berg possa non essere vera. Leggo la mail fino in fondo e mi vengono i brividi. Per prima cosa perché quello che c’è scritto è terribilmente plausibile: non posterò qua la mail, chi vuole può iscriversi alla mailing list di Baldoni, molto interessante. In secondo luogo rabbrividisco perché non posso rimanere con il dubbio e nonostante abbia evitato di farlo, adesso sento che devo vedere. Sì, ho visto il filmato della presunta esecuzione del presunto antennista americano. Sono stato male. Però poi l’ho rivisto, cercando di trattenere il fiato, superando l’istintivo orrore e cercando di essere analitico. E qualcosa non mi è tornato. Poi ho chiamato la mia amica Serena, che si sta laureando in medicina, e le ho chiesto alcune informazioni. Lei non fa che confermare delle banali intuizioni presenti nella mail. E rabbrividisce anche lei.
Personalmente non sono convinto che affermare che quel filmato mostri la decapitazione di Alan Berg da vivo corrisponda a verità.

Ma non è di questo che voglio parlare. Non voglio neanche invitarvi a guardare il filmato e farvi le vostre idee. Né ho voglia di rinviarvi ad altri link dove si sono accesi dibattiti lunghissimi e spesso ridicoli e crudeli sulla veridicità di quel filmato. La mia riflessione vorrebbe essere più ampia.
Nessuno degli organi ufficiali di informazione ha messo in dubbio lo stato di realtà di quel video breve e qualitativamente povero. E questo perché l’immagine mostrata viene percepita immediatamente come verità, senza alcun intervento critico. “Abbiamo delle immagini esclusive”, “Un filmato eccezionale”: frasi che spesso si trasformano in “una testimonianzaeccezionale”. Lo scarto semantico è notevole, ma raramente notato.
Anche solo limitandoci a quello che da tredici anni viene dall’Iraq dovremmo riflettere. Quando scoppia la prima guerra del Golfo, la si etichetta subito come “prima guerra in diretta televisiva”, ma non si vede poco più che pallette verdi e scie azzurrine. Il tutto fa veinire in mente più Pong che non i massacri di una guerra. Ma intanto Arnett “ci mostra” qualcosa: quindi ciò che ci mostra è vero. E, non è secondario, è tutto ciò che possiamo vedere. Il senso del verbo, però, non è mai inteso in senso restrittivo. Vedere, dal panopticon in poi, è potere (assoluto). Ma possiamo anche andare più indietro nel tempo.
Durante la seconda guerra mondiale, soprattutto negli ultimi anni, manipoli di registi furono inviati sul fronte per riprendere i combattimenti, mostrati in patria. Vero? No. Ford e altri ricostruirono sbarchi e battaglie in modo magistrale e realistico, spacciando un film-di-finzione per cronaca. Questo negli anni ’40.
Siamo nel 2004 e tutti sanno che con le tecnologie a disposizione è possibile creare in modo verosimile qualsiasi tipo di immagine. Eppure lo statuto di verità della stessa immagine, ancor di più se in movimento, non viene mai toccato, nonostante i casi di falso giornalistico siano all’ordine del giorno, nonostante gli effetti speciali digitali al cinema abbiano creato dal nulla la Terra di Mezzo, nonostante un qualsiasi ragazzotto bravo a smanettare con Photoshop possa creare un’immagine di Nicole Kidman che abbraccia e bacia Mal dei Primitives.
Mettere in discussione la veridicità dell’immagine mostrata sarebbe tremendamente difficile per la mente e la mentalità collettiva, ma soprattutto sarebbe grave per i poteri, che basano sempre di più il loro mantenimento su un’immagine controllata, diffusa, condivisa e accettata. Su un’immagine di loro stessi e del mondo.
Il meccanismo è molto più intrinseco e innestato in noi di quanto si possa pensare. Avere come regola quella di “Non credere ai propri occhi” è difficile e spiazzante. Ma forse, di questi tempi, è necessaria una buona dose di incredulità e distacco. Una nuova cecità per vedere meglio.

Vuoi star zitto, *per* favore?

Leggo dal Venerdì di questa settimana, a pagina 74, un’intervista di Antonio Dipollina a quel genio inutile di Tiziano Ferro. Il nuovo singolo del giovine 23enne di Latina si chiama XVerso. L’inizio di Dipollina è fulminante.

“Potremmo partire da questa cosa della scrittura da Sms. Stavolta non poteva chiamarlo Perverso, scritto normale?”

“Non me la sono sentita, e comunque è un grosso vantaggio”

E il grandissimo Dipollina chiede:

“XChé?”

(sic). Risponde il Kelly de noantri:

“Nelle interviste. Ne ho fatte a decine. Si inizia a parlare solo di quello, del XDono scritto così, mi chiedono solo quello, e capisco che posso sbrigarmela in cinque minuti”.

A Tizià, ma che cacchio ti devono chiedere? Il povero Dipollina ci prova a fare il ligio intervistatore, ma sentite qua.

“Risulta che lei vende uno sproposito”

“Rispetto al passato, sono cifre minori. Poi, certo in questo mercato vendo parecchio”.

Eh? Nella risposta alla domanda precedente, in cui gli veniva chiesto se guadagnasse tanto, Tizzone risponde che guadagna

“relativamente poco”.

Rosso relativo, quello del conto in banca? Ma no, è un poveretto. Ascoltate qua.

“Una casa come vorrei, per esempio, non sono riuscito a comprarla”.

Forse perché a Latina non c’è abbastanza terreno edificabile?

Sentite qua. Dipollina dice:

“Torniamo a lei. Soldi pochi, ma donne…”
“Capisco cosa intende, ma non è così”
“Parliamone”

(e mi chiedo se l’intervista sia stata fatta per telefono o di persona, perché leggendola si capisce dove gli veniva da ridere, al giornalista). La fine della risposta di Tirello è:

“Ecco: io non sono quello che cerca amori di una notte, proprio non ci riesco. Non so se si capisce”
“Beh”

dice Dipollina, evidentemente non ne può più. Ma Tignazzo affonda.

“Ecco, io non riesco mai a capire quanto cercano il ragazzo di successo o la persona. E allora preferisco rinunciare”.

Bravo. Bravo. Questa sì che è integrità morale, caro il mio Tinello. Ma non ti preoccupare, ché dopo quest’intervista, in cui dichiari che non hai una lira, nessuno busserà più al tuo camerino.
Ancora lui, Tafazzi Ferro:

“E poi il sesso non è tutto: ci sono i concerti”.

Certo, aggiungo io. E ci sono le macchine, i pranzi in famiglia, i bei libri, il tramonto sul mare… Invece il mio eroe Dipollina dice, secondo me tra le lacrime (di ilarità):

“Con tutto il rispetto, non dovrebbe essere la stessa cosa”.

Lapidaria la risposta di Tiscalio Ferro:

“A volte i concerti sono meglio”.

Durano di più. Certo. Hai un microfono in mano e un pubblico davanti. Oddio, non è che… Ma andiamo avanti.
L’intervistatore tira fuori una mezza accusa: pare che “XDono” sia molto simile ad un pezzo di Kelly. E Tiplagio Ferro inizia a dire le solite cose, che ci sono un sacco di canzoni sul giro di do, che la musica oggi è tutta un grande mescolamento (ho in mente di fare un mescolamento di qualche grande successo di un gruppo minore inglese, i Beatles), eccetera. Poi aggiunge, alla fine:

“Ha presente un pattern?”
“No, e non si azzardi a ripeterlo”

Ma Tirante non è così scemo. Infatti dichiara:

“Io (…) leggo Oscar Wilde. (…) Mi piace moltissimo, mi piace poi collegare l’estetica e la fisicità, ripensare alla moralità dell’Irlanda puritana, tutta quella costrizione sul sesso che poi esplode e va”.

Ecco, Tiziano, fa’ come il sesso: va’, va’.

11 settembre ***3

Sono sicuro che, per quello che riguarda ciò che è successo due anni fa, basterà la televisione per ricordarcelo e farci tornare alla mente lo shock. Sono meno sicuro che oggi venga dedicat0o abbastanza spazio a ciò che successe trent’anni fa. Delle Twin Towers abbiamo immagini, immagini, immagini, immagini. Del palazzo della Moneda la nostra generazione ha ricordi di brani di libri di storia (se li ha ancora, questi ricordi) e poco altro. Dal palazzo della Moneda ecco le parole di un uomo che più essere-umano non si può. Leggetele qui.

Etica

La parola è impegnativa, importante, spesso male interpretata, abusata o non considerata affatto. Etica. La applico ad un caso concreto, ad un esempio.
Edizione del TG1 delle 20, appena andata in onda. Si parla dei nubifragi che hanno investito ieri il Friuli. Ci sono stati due morti. Ovviamente viene intervistata la moglie di uno dei due. La quale, ovviamente, è sconvolta dal dolore, non riesce a parlare. Non più di venti secondi. Poi si passa ad altro.

Mi chiedo: a che cazzo serve mandare in onda venti secondi di disperazione così? E non è di certo un caso isolato. Vengono intervistati padri di bambini uccisi da auto pirata, vedove della mafia, giovani donne che hanno appena perso il marito. Il dolore va mostrato possibilmente quando è fresco.

Procediamo in maniera logica. Si potrebbe dire che loro potrebbero rifiutarsi di farsi intervistare. Certo. Come se uno che vive il dolore più grande della sua vita abbia la razionalità di scegliere, decidere, dare permessi. Si potrebbe dire che intervistare queste persone (anche il termine “intervista”, in questo caso, credo che sia decisamente fuori luogo) arricchisca la notizia. E questa, credetemi, non è un’ipotesi acida, sarcastica o ironica: si usano veramente giustificazioni del genere. E allora mi chiedo che cosa mi abbia dato in più sentire i singhiozzi della vedova friulana mezz’ora fa.

È veramente una battaglia persa quella dell’etica nel e del giornalismo?
Mi piacerebbe parlarne con tutti voi.

Di |2003-08-30T20:45:00+02:0030 Agosto 2003|Categorie: Tomorrow Never Knows|Tag: , , , , , |6 Commenti
Torna in cima