vicini di casa

Neighbours 5

Quando sono venuto a vivere in questa casa, loro non si vedevano mai. Però si sentivano. Una volta sono tornato a casa e i miei coinquilini mi hanno detto che avevano litigato, tirandosi piatti e oggetti, come nei film. Dalla finestra della cucina, dall’altra parte del pozzo luce, in alto, potevamo vedere una parte del loro appartamento, decorato in maniera bizzarra. Ecco che la coppia del secondo piano, eliminata la dicitura “quelli che quando litigano urlano e si spaccano i piatti in testa”, è diventata “quelli con la casa dipinta” o, più brevemente, “i pittori”.
Poi, finalmente, li abbiamo visti, e sono diventati “i tossici”. Entrambi sulla trentina, alti e magri, emaciati, non parlano mai. Forse hanno bisogno di un servizio da dodici, per farlo. Non pare che sentano musica, né guardino la televisione. Si vede soprattutto lei, che ogni tanto prende la bicicletta ed esce. Oppure sono insieme nell’atrio del mio palazzo, completamente riempito di enormi pannelli di polistirolo o di compensato, e portano a casa questi oggetti. In effetti questo farebbe pensare più ad un’indole creativa che tossicomane, ma si sa che a volte le cose sono legate.

Ma il punto non è questo. Il vero mistero legato alla coppia del secondo piano è il saluto.
C’è sempre un problema, nel salutare le persone che vedi spesso, ma con le quali non hai scambiato mai mezza parola. Saluto da lontano? Ciao e sorriso? Cenno col capo? Con loro la questione non si pone in questi termini, ma seguendo la dicotomia “dentro/fuori”. Mi spiego. Se uno dei due, o entrambi, mi incontra all’interno del palazzo dove vivo, saluta. Se l’incontro avviene fuori, niente, neanche un cenno. Ma con “fuori” non intendo a Melbourne. Intendo anche un metro oltre il portone di casa.
Questa cosa continua a lasciare sconvolto me e i miei coinquilini. Perché fanno così? Non ci riconoscono se non nel nostro habitat? Non si fidano degli sconosciuti in quella tentacolare metropoli che è Bologna? Sono pazzi?

Ho deciso che li stuzzicherò, per amore della scienza. Passerò un pomeriggio seduto mezzo fuori e mezzo dentro il mio portone, e li aspetterò. Vediamo cosa faranno, se mi saluteranno. Ovviamente, se vedo che tirano fuori dei piatti, me la do a gambe levate.

Neighbours 4 – Horror Movies

Il condominio in cui vivo è piccolo, ma ben popolato.

“Ma lo sai che i tuoi permalink funzionano male?” “Mamma! Ma che ne sai tu di queste cose?” “Beh, ho un blog anche io! Anzi, potresti fare qualcosa per il mio template?” Oddio. Un incubo. Solo un incubo. “Francesco? Stai bene? Urlavi qualcosa a proposito dei template. Invece mi spieghi che sono questi feed, che sono?” AAAAAARGH!

Siccome stamattina volevo scrivere qualcosa, ma non sapevo cosa, anche per vedere che fa il mensile effetto di cambio di carattere e di foto-di-sfondo, vi racconto di un’altra coppia di vicini (tranquilli, è pur sempre un condominio: prima o poi gli inquilini finiscono). Al terzo piano (credo)

“Come credi? Ma è sei anni che vivi in quella casa e ancora… E poi uno dice che i giovani non c’hanno a cuore la società… Manco sanno chi sono i loro vicini… E se ti interroga la polizia?”

c’è una coppia. Quello che ci interessa è lui. Probabilmente campano, alto e grosso. Una volta facemmo una festa qui in casa e lui, verso mezzanotte suonò alla porta dicendo che “lui si alza alle quattro”. Ho ipotizzato che lavoro potesse fare. Ancora non lo so. La figura è imponente e minacciosa, ma la faccia, diciamocelo, è buona. E sembra un tipo gioviale. Anche se ha delle mani grandi come padelle da frittura globale (© F. Caccamo). Scusate la rima.

Qualche settimana fa stavo uscendo di casa, quando, davanti alla porta di ingresso del palazzo, ho sentito rumore di chiavi. Qualcuno stava entrando. Quindi mi sono fermato e ho aspettato, immobile, nel buio. E’ entrato proprio lui e ha fatto un salto.
“Mannagg’. Mi hai spaventato”
“Scusa” ho detto io.
E lui (testuale): “Ma no, mica perché sei brutto, è che non pensavo fossi dietro la porta”.

Non ricordo cosa ho risposto e nemmeno se ho risposto. Il cervello girava vorticosamente. Una sola domanda faceva frullare le mie sinapsi: “Ma che cazzo vuol dire?”

Di |2003-10-03T12:28:00+02:003 Ottobre 2003|Categorie: I've Just Seen A Face|Tag: , , , |3 Commenti

Neighbours 3 – Le Pornovicine

Il post che tutti quanti stavate aspettando! Tutti… Qualcuno.
Dopo le esaltanti avventure del vicino barista e del geometra del piano di sotto… The Hot Issue! Tutto vero!

Come avrete letto (forse) la mia cameretta si affaccia su un pozzo luce, sul quale, a sua volta, si affacciano altri appartamenti, un piano sotto e due piani sopra di me (ammazza che menti: quattro piani, sì, giusto). Caratteristica del pozzo luce è quella di conservare il suono in maniera perfetta, come non accade neanche negli studi della Deutsche Grammophon. Con vari risultati.

Fino ad un paio di anni fa, anche uno dei due appartamenti sopra il nostro era abitato da giovinistudenti, anzi, studentesse, per la precisione. Due. Bionde. Piuttosto fighette. Mediamente carine. Com’è come non è (serve a prendere tempo), iniziamo a sentire i loro amplessi. Ma in maniera netta e distinta. Non ho intenzione di scendere in particolari, ma riuscivamo a sentire nettamente preliminari, atto vero e proprio e climax (o orgasmo, o apice del piacere). E non è che stavamo lì a sentire. Non sempre, almeno. Le due fanciulle facevano un fine settimana da sole a testa, in modo tale che avessero la casa libera per i loro ragazzi. Il punto è che noi non avevamo alcuna idea di come si chiamassero le due. Quindi chiamammo la prima “Sì” e la seconda “Mmh”. I nomi non erano casuali. Iniziammo a capire le loro abitudini sessuali. E alcuni curiosi fenomeni. Quando “Mmh” raggiungeval’apicedelpiacere, andava in risonanza con il nostro bidet. Vi spiego. Quando si apre l’acqua calda del bidet di uno dei due bagni (curiosamente situato proprio sotto la camera da letto delle fanciulle), le tubature producevano un rumore sorprendentemente simile a quello che produceva la signorina “Mmh”. Ripeto: non è che stavamo lì a sentire: queste urlavano. E mi svegliavano anche. Era un periodo in cui la mia attività sessuale non era un gran che. Anzi: era nulla. Potete immaginarvi quanto rosicassi.

Gli amplessi di “Mmh” erano decisamente violenti. Andava in crescendo ululanti, in un verso misto di piacere e dolore prolungato: come se qualcuno le torcesse piano piano e in maniera continuativa un braccio dietro la schiena. “mmmmmmmmmmmmmmh!”. Una cosa del genere. E lei urlava, urlava. Tanto da pensare ad una violenza. Giuro che successe, una sera, una cosa del genere. Iniziano i soliti gemiti, ma diventano quasi delle urla. Piano piano tutti gli abitanti del condominio si affacciano al pozzo luce e commentano, piano, come si fa a teatro, quasi sussurrando. Alla fine: applauso collettivo. Giuro che è vero.

Gli amplessi di “Sì” erano più dolci. Ma lei e il suo ragazzo erano imbarazzanti per quanto riguarda l’orario. C’è stato un periodo in cui regolarmente lo facevano alle 1630 e alle 330. Minuto più minuto meno. Allucinante. Quel periodo era l’estate di tre anni fa. Un caldo mostruoso. Un pomeriggio viene una mia compagna di corso a casa mia, per studiare con me un esame orrendo. Le dico: “Guarda che alle quattro e mezzo quelli del piano di sopra attaccano”. Lei non capisce, io non aggiungo altro. Alle quattro e trentacinque lei mi guarda e mi dice: “Ma che è? Un film?”.

Avessi avuto un’havana me lo sarei acceso, e avrei detto: “No, it is life, baby”. Invece ho iniziato a singhiozzare.

E non è finita qua! Non perdete le prossime mirabolanti avventure di “Neighbours”! Tutto vero!

Neighbours 2

Mi piacerebbe rimandarvi alla prima puntata della saga, ma purtroppo sono una schiappa con la gestione del template e non ho i permalinks.

“Francesco, ma come parli?”. “Ehilà, mamma”. Imbarazzo. “Che hai detto? Templi? Permanente?” “Ma no, parlavo del templeit che è il modello del mio blog, e che non ha dei link sull’ora. Cioè, quando posto qualcosa…”. Mia madre inizia a diventare terrea. “Ti continui a fare le canne?” “Mamma, ma che c’entrano le canne” “Magari ti ubriachi ogni sera, lì, sul templeit”. “Mamma…” “Che è blog? Ma non era ‘Blob’? Ti piaceva tanto!” “Ma lo guardo ancora e mi piace. Sto parlando di blog, una specie di diario…””Se ti fai la permanente, secondo me, stai male”. Mi arrendo. Ma datemi una mano con i permalinks. Io nel frattempo spiego a mia madre di che si tratta.

Nella mia casetta, al piano di sotto, proprio sotto di me, abita un geometra. O meglio, ha lo studio un geometra. Anche se una domenica mattina l’ho sorpreso sulla porta, un po’ assonnato, in maglietta e boxer. “Amore sul tecnigrafo”. Insomma, il geometra ha la finestra di una parte del suo studio proprio sul pozzo luce dove si affaccia la finestra di camera mia. Questo vuol dire che, per esempio, d’estate, quando abbiamo tutti e due le finestre aperte, è meglio che io non tenga la musica troppo alta. All’inizio per dirmi di abbassare fischiava, e io abbaiavo, di conseguenza. Poi ci siamo conosciuti meglio. E adesso prima fischia, poi dice il mio nome. Io abbaio, ma se me lo chiede gli porgo la zampa. Progressi. Questione di addestramento.

Ho conosciuto il geometra del piano di sotto perché lui, anche se non conta niente, era l’amministratore del condominio. Quindi lui sa e può. Ha una specie di carica onoraria, che ne so, come gli ex-presidenti della Repubblica che diventano poi senatori a vita. Avevo una bicicletta. E la mettevo nel cortiletto del palazzo. Lui mi ha detto che non si poteva, citandomi una delibera condominiale. Io un po’ ho insistito. Lui anche. “Che gliene frega?” pensavo. Ma sarebbe come dire che gli frega dell’Italia a… Esempio sbagliato. Scusate. Insomma, l’ho messa fuori, la bici. E me l’hanno rubata. Ce l’ho avuta con lui, per un po’. Ho pensato di tenere la musica a tutto volume quando cavolo mi pareva a me. Per un po’ l’ho fatto, ma lui si ad un certo punto si è rifiutato di darmi l’osso-di-gomma-che-ne-vado-pazzo. Quindi ho smesso.

Il geometra del piano di sotto ha una strana caratteristica. Quando parla al telefono aumenta automaticamente il tono di voce. Ora, il mio squallido tenore di vita fa sì che, quando lui (e il resto del mondo sul fuso di Greenwich+1) inizia a lavorare, io sia in piena fase REM. E lui, una delle prime cose che fa, è telefonare. Quindi io mi sveglio regolarmente con le sue telefonate. Una delle ultime è andata così. Giuro.

“Pronto, Sandro, ciao, sono M. Bene, bene, tu? Sei tornato, eh? Anche io. No, bene. Senti, Sandro, mi hai fatto quella richiesta? Come… Ma no, Sandro, te l’avevo detto prima delle vacanze, Sandro. Ma Sandro, come. Ma Sandro, non l’hai fatta. Ma come, non te l’ho dett… Mosocc’ ma non… Sandro. Sì che. Sandro. Sandro. Io. Ma no, figurati se me lo sono dimenticato, Sandro. Ma la rich. Sandro, non mi fare. Sandro te l’ho detto prima delle vacanze, figurati se. Sandro. Sandro. No, mi serve oggi, Sandro, che figura ci faccio, Sandro? Ma stai scherzando? Ma secondo te io. Sandro, sto perdendo la. Cosa? No, facciamo. Sandro. Sandro. Domani? Ma mi serve oggi, soccSandro. Te l’avevo chiesto, mi ricordo benissimo. No, alle dodici. Passo io, Sandro. Va bene Sandro. Ciao.” Socc.

Insomma, sono cose che traumatizzano. Ma poi mi sono riaddormentato. Indovinate che ho sognato? No, non Sandro. Ho sognato Filippa Lagerbach e Tori Amos che litigavano perché erano entrambe innamorate di me. Uno dei miei sogni erotici preferiti.

Neighbours

Parliamone. Parliamo di vicini di casa, del mio vicino di casa. Ma prima vi devo dire qualcosa su casa mia. Una casa vecchia, nel centro di Bologna, con una caratteristica architettonica chiamata pozzo luce. Il pozzo luce ha la capacità di conservare suoni e rumori in maniera pressoché perfetta. Neanche in un auditorium c’è un’acustica così perfetta. Questo vuol dire che le stanze del mio palazzo che si affacciano sul pozzo luce sono praticamente comunicanti. Indovinate dove si affaccia la mia stanzetta?

Prima il vicino dell’ultimo piano aveva una donna. Lui voleva fare l’amore con lei, lei un po’ meno. Lui emetteva dei peti, lei schifata gli diceva di andare in bagno a fare certe cose (eh lo so, ma questo non è niente: un giorno vi racconto delle pornovicine…). Lei l’ha lasciato. E per fortuna. Aveva una voce insopportabile. Non l’avevo mai vista, poi ci siamo incrociati sulle scale. Ho capito che era lei dalla voce, appunto. Ed era veramente carina. Ma con quella voce… E poi di mattina non si perdeva una replica del “Maurizio Costanzo Show”. E io, che di solito la mattina dormo, venivo svegliato dall’orchestra di Demo Morselli. Poi dici che uno inizia male la giornata…

Il mio vicino del piano di sopra lavora in un noto locale del centro di Bologna. Essendo un “notolocale”, la musica che c’è è di bassa qualità. Ho sempre pensato che quando uno fa un lavoro pesante come quello del barista in un locale comunque abbastanza affollato e deve sentire quella musica per ore e ore, quando torna a casa di certo non si mette a spillare birra e a servire cocktail. E che ne so, magari ascolta Debussy (che idea romantica di barista, eh?). Lui no. Lui non spilla birre e non prepara cocktail, ma ascolta musica peggiore.

Lo sapete, lo potete vedere là sotto. Ieri sono andato a letto verso le quattro e mezzo. Oggi sono stato svegliato da un “tunz tunz” e dal peggio dell’r’n’b esistente alle ore undici. Dopo quindici minuti la musica si è abbassata e lui ha iniziato a smartellare sul muro. Insomma ho deciso di alzarmi e, mormorando maledizioni in azteco (non lo fate mai?), sono andato a fare colazione. Arrivo in cucina e mi dico: “Ma qui non si sente niente”. Finisco di fare colazione, torno in camera mia e, effettivamente, pare che la musica abbia smesso. Torno in camera e non sento neanche più lo smartellamento. Quindi mi rimetto a letto. Non appena il mio corpo inizia placidamente a sprofondare nel materasso, ricomincia la musica. Sempre peggio. Io non so dove la trovi, quella musica. Il mio cervello ha iniziato a formulare scherzi atroci ai danni del vicino, tipo scotch attaccato al campanello, buste di antrace, eccetera. Poi ho pensato che potrebbe rispondere al fuoco con degli squassanti peti. O magari, un giorno, servirmi un gin tonic fatto male. Quindi ho deciso di lasciar perdere e sopportare.

Buona domenica a tutti.

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