Sono passati quasi sei giorni e ancora non ci credo: Woody Allen a una manciata di metri da me, che suona. L’avevo mancato a New York, qualche anno fa, e (grazie ad un regalo, anzi, ad un Regalo) sono riuscito a vederlo a Roma, mercoledì scorso, nell’ultima data italiana della tournèe europea della sua New Orleans Jazz Band. Che dire?
Innanzitutto che è molto difficile rendersi conto che tra me, seduto in terza fila all’Auditorium della Musica, e lui, non c’è uno schermo, televisivo e cinematografico. Lui, uno dei miti della mia vita, è là, con i suoi pantaloni di velluto a coste che suona.
Poi, che è vero quello che si dice: è molto meglio come regista, scrittore, attore, che come musicista, ma chi se ne importa. Le uniche cose che ha detto sono state di mettersi seduti comodi e rilassarsi ascoltando dei vecchi brani che andavano per la maggiore nella New Orleans di quasi un secolo fa.
E l’impressione è quella di vedere un gruppo di vecchi amici che, invece che giocare a poker, a scacchi o a Monopoli, stanno lì e suonano: principalmente per loro e poi per chi vuole stare a sentirli. Il fatto che fossimo in tantissimi (tra noti e meno noti) il 31 marzo a Roma, be’, sono cose che capitano, quando in mezzo alla tua band c’è quello là che suona il clarinetto.
Per concludere, il finale (e come vogliamo concludere, se no?). Quel “Bella Ciao” riarrangiato in versione dixieland, suonato nella città simbolo dell’ennesima sconfitta elettorale della non destra, anche se me lo aspettavo, avendo letto le cronache dei concerti di Montecatini e Venezia, mi ha fatto venire la pelle d’oca. Per questo vi dono un video fatto malissimo, a causa dell’emozione e dei severi inservienti dell’Auditorium. È qua sotto.
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