Archivi mensili: Agosto 2024

Enzo Baldoni – Cartoline da Baghdad

Nell’agosto 2004 avevo appena preso il tesserino da pubblicista e a Radio Città del Capo di Bologna, dove lavoravo, mi occupavo per lo più di cinema, musica e ambiente. Conoscevo virtualmente da qualche anno Enzo G. Baldoni, una figura atipica. Pubblicitario, giornalista e traduttore di professione, blogger e volontario della Croce Rossa, era spinto da una disponibilità e da una curiosità nei confronti del mondo e delle persone che poche volte ho trovato in un essere umano.

Ogni tanto ci mandavamo qualche email, eravamo entrambi iscritti alla Zonkerlist, una mailing list da lui creata legata a Doonesbury e al mensile Linus, e seguivo i suoi blog, dove raccontava dei suoi viaggi per il mondo. Enzo viaggiava per capire meglio cosa stava succedendo in quel posto o in quell’altro. Era stato a Timor Est, in Messico, a Cuba e in Colombia e, proprio nell’agosto di vent’anni fa, si preparava per andare in Iraq.

L’Iraq di vent’anni fa era un casino: era appena finita la seconda guerra del Golfo, il Paese era frammentato, diviso e pericoloso. Soprattutto, allora come oggi, in Iraq c’era tantissima sofferenza umana, dovuta a decenni di regimi, guerre e conflitti di ogni genere.

Gli scrissi un’email, chiedendogli se gli andava di mandarci qualche testimonianza da laggiù. Rispose con entusiasmo e così, il 9 agosto, registrammo la prima delle Cartoline da Baghdad, così avevamo deciso di chiamarle.

In quei giorni Enzo Baldoni teneva contatti con la sua famiglia, con il giornalista (anch’esso in Iraq) Pino Scaccia, con la redazione di Diario, per cui scriveva, con la blogger Daniela Ceglie, me e pochi altri. L’ultima volta che l’ho sentito, chiamandolo da casa, era il 16 o 17 agosto del 2004. Ero preoccupato perché si era lussato una clavicola, ma mi aveva rassicurato. Stava bene e sarebbe partito per Najaf, che era appena caduta, insieme a una missione della Croce Rossa.

Il 21 agosto del 2004 Enzo Baldoni venne rapito da un’organizzazione affiliata ad al-Qaeda, l’Esercito islamico dell’Iraq e il 26 agosto venne ucciso dagli stessi terroristi. In occasione del ventennale della sua scomparsa, ho deciso di rendere disponibile l’ascolto delle Cartoline da Baghdad anche qua, dato che il sito di Radio Città del Capo non è più online.

9 agosto 2004
Com’è oggi la vita in Iraq? Cosa succede nelle strade e tra la gente? Da oggi vi proponiamo una serie di cartoline da Baghdad, raccontate per noi da Enzo Baldoni, giornalista freelance, che ha scritto per Repubblica, Diario e Linus. Baldoni è giunto da qualche giorno nella capitale irachena e gli abbiamo chiesto che situazione ha trovato al suo arrivo.


10 agosto 2004
Siamo al secondo appuntamento con le cartoline da Baghdad. Direttamente dalla capitale irachena sentiamo Enzo Baldoni, giornalista freelance, che ci dà una testimonianza di una città sempre molto tesa ma in cui si cerca comunque di trovare della normalità. Quando l’abbiamo chiamato si trovava
in macchina, appena fuori da Baghdad.


11 agosto 2004
Il nostro appuntamento di oggi con le cartoline da Baghdad è un po’ diverso dal solito. Enzo Baldoni, il giornalista freelance che sentiamo quotidianamente dall’Iraq, è andato infatti a Falluja, cittadina ad ovest della capitale. Sentiamo cosa ci ha raccontato questa mattina, quando l’abbiamo raggiunto telefonicamente, sulla strada di ritorno verso Baghdad.


12 agosto 2004
Anche oggi vi proponiamo una cartolina da Baghdad. Enzo Baldoni è tornato dalla sua breve visita a Falluja, ed è andato a visitare l’ospedale della croce rossa italiana a Baghdad.

Dagli archivi: Cymbals Eat Guitars – LOSE

Cymbals Eat Guitars – LOSE (Barsuk)

7,5

L’inizio del terzo album della band di Staten Island ci riporta al bell’esordio del 2009 Why There Are Mountains: “Jackson”, infatti, ricorda molto “… And the Hazy Sea”, per la sua lunghezza, per come gioca con dinamiche e cambi armonici, per l’epicità diffusa.

Ma in questo nuovo LOSE i Cymbals Eat Guitars semplificano le cose senza diminuire di potenza, e trovano un equilibrio tra strutture classiche e pezzi più articolati; “Chambers” ne è la prova, combinando un incipit molto radiofonico (basso pulsante inquadrato sulla batteria, sui quali si adagiano accordi di chitarra), con uno svolgimento assai poco banale e con dei testi intensi e centrati sul tema ricorrente del disco: la perdita della giovinezza.

Che ce ne parli un venticinquenne potrebbe sembrare quanto meno bizzarro, ma Joseph D’Agostino racconta dell’adolescenza nel New Jersey, di amici scomparsi, di bulli puniti dal fato, del seppellimento di animali domestici e di violenze familiari con una naturalezza e un’intensità lodevoli.

Se in “XR” compare una fisarmonica alla Dylan, i riferimenti musicali ricorrenti sono Pavement, Modest Mouse, Shins, Elliott Smith e Death Cab for Cutie, nomi che, dopo l’ascolto di LOSE, appaiono ancora più “classici” di quanto già non siano: i Cymbals Eat Guitars ci ricordano che, per quanto poco utili siano le etichette, può avere ancora senso parlare di un “canone” dell’indie-rock-statunitense.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di ottobre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Dagli archivi: Cold Specks – Neuroplasticity

Cold Specks – Neuroplasticity (Mute)

6,5

Sulla carta i Cold Specks sono la band dove milita Al Spx, una canadese ventiseienne che vive a Londra: in realtà i Cold Specks sono (almeno, in buona parte) la voce di Al Spx, scelta da Moby per il primo singolo di Innocents e da Michael Gira per “Bring the Sun”, che compare nell’ultimo To Be Kind degli Swans. E come dare loro torto?

Già dal primo disco I Predict a Graceful Expulsion ci eravamo accorti dello splendore del suo timbro, vibrante, sensuale, ma non stucchevole: rispetto al debutto voce e atmosfere si fanno più cupe, più doom che soul, per riprendere una definizione spacciata dalla stessa Al Spx, alla quale si potrebbe accostare il neologismo (un po’ cacofonico, a dire il vero) gothpel.

Le canzoni sono spesso interessanti, anche grazie ai contributi di Gira alla voce (in “A Season of Doubt” e “Exit Plan”) e del trombettista Ambrose Akinmusire (che aveva chiamato Al Spx per il suo The Imagined Savior is Far Easier to Paint), che contribuisce a spargere inquietudine e mistero. È forse il disco nel suo complesso che, alla lunga, può stancare: la noia faceva capolino anche nel lavoro precedente, ma per quanto l’attenzione dell’ascoltatore si mantenga più alta e costante, i cambi di tempo, gli arrangiamenti spesso non banali e gli ospiti illustri non bastano per fare di Neuroplasticity il grande album che poteva essere.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di settembre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Dagli archivi: Willis Earl Beal – Experiments in Time

Willis Earl Beal – Experiments in Time (CD Baby)

5,5

La parabola di Willis Earl Beal è una delle tante variazioni del Grande Romanzo Americano. Qualche mese nell’esercito, il ritorno nella natia Chicago, il trasferimento ad Albuquerque, che il nostro riempie di bigliettini con un numero di telefono: chi lo chiama sente alla cornetta una delle canzoni del già nutrito repertorio del musicista.

Dopo una prima raccolta per il leggendario Found Magazine, la XL, tramite la sussidiaria Hot Charity, pubblica Acousmatic Sorcery nel 2012: un debutto lo-fi che manda in solluchero molti. Il passo successivo è un buon disco “ripulito”, Nobody Knows, con featuring di Cat Power. L’inizio di una carriera “normale”? No, perché Beal, dopo un paio di ep e altrettante cancellazioni di tour, molla la XL e fa uscire questo disco che, dice lui, “potete anche ascoltare a cena senza che vi disturbi”.

E in effetti, be’, non disturba affatto. I dodici pezzi, basati per lo più su voce e synth, formano una sorta di nebbiosa e ininterrotta confessione, tra il crooning, il blues e il soul: il bel timbro di Beal e qualche passaggio più riuscito, però, non sono sufficienti a respingere noia e distrazione che affiorano spesso durante l’ascolto del disco. Peccato, perché Beal ha talento e il minimalismo gli si addice: come da titolo, prendiamo questo album come un esperimento non riuscito e attendiamo il prossimo lavoro.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di ottobre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

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