Questo il tempo effettivo in cui sono stato a Londra, alla fine. Anzi, quarantacinque, visto che tre le ho passate in un non luogo per eccellenza, l’aeroporto di Stansted, dove una massa umana italica enorme ha dovuto fare una fila mostruosa prima per il check-in del volo, e poi per i controlli di sicurezza. Efficientissimi, per carità: ero pronto ad un’ispezione anale, e credo ci sia mancato tanto così. Se non altro ho preso l’aereo al volo, come nei film. “You’re lucky”, mi sono sentito dire dall’assistente di volo. Due minuti di orologio dopo l’aereo iniziava a rullare sulla pista.
Il primo impatto con Londra, dopo dieci anni, è stato traumatico: Italia ovunque. Nei ristoranti in giro, nei panini preconfezionati, nei vari caffè, nelle vetrine dei negozi di moda. Mi guardavo intorno meravigliato, rischiando la vita ad ogni incrocio: la guida è rimasta gloriosamente britannica, a sinistra.
Il secondo impatto con Londra è stata la prima pinta in un pub, verso le cinque di pomeriggio di venerdì (sapete, per me erano le sei, quindi quasi ora dell’aperitivo: meraviglie del jet-lag). Entro nel bagno del locale, genialmente posto dopo due rampe di rapidissime scale: praticamente una selezione naturale. Sul muro del cesso la scritta “Pope rules ok”, che faceva curiosamente il paio con quella vista all’aeroporto, appena atterrato a Stansted: quella diceva “protestants” e, sotto, un classicissimo “fuck the pope”. Prima madeleine: quando andavo in vacanza studio in Inghilterra, a metà degli anni ’90 (fa impressione scritto così, eh?) una delle t-shirt che andava di più raffigurava Giovanni Paolo II con uno spinello in bocca e la scritta “I Like the Pope. The Pope Smokes Dope”. Mai comprata. Peccato.
Il giorno dopo, Tate Modern. Mi sono sentito un po’ come Jonathan Rhys-Meyers in Match Point. Scarlett non si è presentata, peccato. Inutile parlare qua delle bellezze esposte (nel senso di opere d’arte, santiddio). Parlerò invece di nuovo di cessi. Stavolta la scritta, geniale, recitava: “I’ve just made a modern fart“.
L’ultima sera, il Vortex, un jazz club dove ho condiviso il tavolino prenotato a suon di dodicisterline con tale mr Foot, annunciato dal suo cartellino di prenotazione (impagabile: quando è arrivato l’omino al tavolo ho sfoderato il mio miglior accento britannico e ho detto “Mr Foot…?”, e giuro che l'”I suppose” è stato ad un passo dall’essere pronunciato). Diciotto euro per vedere un concerto di una simil Dusty Springfield, con metà della voce, e il doppio della mimica. Mr Foot estasiato, io molto molto meno. No, perché va bene l’interpretazione, ma cantare in una canzone “dolphins” e fare il gesto ad ondina con la mano è davvero troppo.
Bene, vado. Stasera, seconda puntata di Seconda Visione. Domani, per chi fosse interessato, a Sparring Partner c’è Massimo Carlotto in diretta.
ciao 😉 è sempre bello leggerti! sono da poco stata anche io a Londra e anche io per un concerto jazz 😉 ma niente ondine, solo gipsy meravigliosi! http://www.quecumbar.co.uk/
Vorrei arricchire il tuo post anche con la mia opinione sui cessi della National Gallery: puliti, rassicuranti, quasi avvenieristici!voto 9 e 1/2 ciao Mad;)
ti invidio la tate, un po’ meno la mano a ondina. ma a proposito di art & fart e giochi di parole simili, ho appena comprato a dublino un libro la cui dedica recita “a sarah, with all my ART.” non vado molto lontano dal vero se dico che l’ho preso soltanto per questo motivo.
nei paesi baschi, anche i cessi parlano di autonomia, si salvano solo quelli del guggenheim che si mantengono senza scritte…meglio la tate!
A Stansted ci ho speso mezza notte (strani incastri della Ryanair e pessima mia organizzazione mentale) : dopo aver vagato per tre ore tipo The Terminal ero il quinto al ceck-in, ma per fare colazione, poco ci manca che non perdo l’aereo anch’io.
Bel blog!!!!
Saluti a Bologna (della Germania…)!
ma sei ancora li?? perso tra le nebbie londinesi? 😛
solemad: andrò a visitare i cessi della national, la prossima volta. seguirà puntuale recensione.fio: mi dovresti invidiare anche la mano ad ondina. quando ci rivediamo te la mimo di brutto.infognata: mi sa che dovremo aprire un blog di recensioni di cessi. che ne dite? qui la voglia c’è, mi pare di capire… e avrebbe anche un bel respiro internazionale. pensiamoci. totaro: ma pensa chi legge il mio blog! tovarish krazny! quell’aeroporto, comunque, permetterebbe una versione molto molto neorealista di the terminal. ma molto. certo, sempre meglio che rimanere bloccati a forlì o ad orio al serio.caren: grazie, saluti a te, vado a riferire subito al sergio.altamora: magari fossi là. casini, casini, cose. e muco.
[…] L’ultima volta che sono stato a Londra stavo per perdere l’aereo, grazie a quel casino a forma di aeroporto […]