I Me Mine

Tosse

Il primo giorno di gennaio, il primo giorno dell’anno duemilaequattro, l’ho saltato. Molto semplice, basta fare così. Svegliarsi, come ormai mi capita, con degli incubi. Rimanere nel piumone. Alzarsi, leggere quello che ha detto Ciampi il giorno prima e capire che diventerà il prossimo testimonial Unieuro, con scommessa. Guardare l’orologio, mandare degli sms a caso, di risposta o meno, ad auguri o meno. giorno. Tanto è tutto chiuso, per andare a bere una birra bisogna andare direttamente vicino a Springfield, dove fanno la Duff. Il richiamo del piumone è forte, quindi è quella la zona attorno alla quale gravitare, sembra evidente. E cosa c’è davanti al piumone? Il televisore e il videoregistratore. E, in uno scaffale della libreria, ci sono da mesi e mesi le videocassette di Bertolucci, durata complessiva cinque ore e un quarto. A quel punto basta munirsi di generi di conforto minimi (dati i bagordi del giornoseranotte prima), inserire la cassetta rossa (atto primo) e premere play.
Conclusioni provvisorie: non mi è sembrato un capolavoro, ma è molto emozionante (talmente intriso di comunismo che, a mostrarlo oggi, metterebbero a ferro e fuoco regista, attori, spettatori, produttore). Preferisco decisamente il Bertolucci di Ultimo tango L’assedio (i sognatori lasciamoli perdere, decisamente). Mi sono completamente invaghito di Dominique Sanda.

Conclusioni definitive dell’inizio: ho un po’ di tosse e tanta voglia di fumare. Il mio stereo non vuole più leggere i cd masterizzati, in un eccesso di snobismo. Se sono le lenticchie, secondo la tradizione, a portare soldi, ciò vuol dire che non ne avrò di soldi, in questo 2004, visto che non ne ho mangiate. Il che, facendo dei paragoni con la situazione economica del 2003, mi porta all’orrida e paradossale conclusione che non solo non avrò soldi (anche) quest’anno, ma ne darò in giro.
Vado a vedere Il Cartaio, in ansia come sempre quando esce un film nuovo di Argento. L’ansia è quella di avere un parente sotto i ferri. Ma ne parlerò altrove.

Diecisudieci

Stamattina mi ha svegliato un incubo. Anzi, due, uno alle nove e uno alle undici. Ho fatto colazione e mi sono sentito uno di quei settesudieci che passeranno il Capodanno a casa (me l’ha detto il Televideo, non che passerò il Capodanno a casa di amiche, quello è stato deciso con sommo tempismo verso le otto di ieri sera). Sono uscito. Bologna era piena di gente, soprattutto gente arrivata da poco, con cartine spiegate o che parlava di dove andare, cosa fare. Chiaramente loro erano i tresudieci. Mi sono aggirato pigramente nella Feltrinelli sotto le due torri, inaspettatamente deserta. I musicisti rom per strada suonavano, a seconda, “Besame Mucho”, il tema del Padrino oppure “O sole mio” (immagino con scopi propiziatori, visto il cielo plumbeo).
L’ultimo giorno dell’anno, pensavo. Potrebbe essere tempo di bilanci, di classifiche, tirare le somme, buona fine buon principio. Tenterò di non fare nulla di tutto ciò, non mi sembra il caso.
Spero solo che stasera il conto alla rovescia passi in fretta.
Voglio augurare a tutti (diecisudieci) un anno nuovo di pace, serenità, amore.
Lo so che è molto hippy come cosa, ma è quello che sento. Di cuore, a tutti voi, gli unici auguri che secondo me hanno senso in questo periodo. State bene.

Di |2003-12-31T13:23:00+01:0031 Dicembre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , , |5 Commenti

3 bis. Ricordati di anticipare le feste

Ieri sera, a casa mia, è stato piacevole. È arrivato M. che ha portato una bottiglia di Moet et Chandon, una di Pinot di Pinot e un vassoio pieno di cioccolatume della Ferrero. Abbiamo pasteggiato a M&C, pasta e fagioli, spaghetti all’amatriciana, in uno splendido connubio alto/basso, parlando di Labranca e di varie amenità. Poi sono arrivati amici, forniti di birre e vini, e abbiamo giocato a Trivial Pursuit. Questa volta ho scoperto (e memorizzato almeno per un paio di giorni) che:

1. il campo dove si gioca la pelota basca si chiama fronton (peraltro già sapevo che la pelota basca è lo sport dove la palla corre più veloce, oltre 200 km/h);
2. la giraffa può correre ad una velocità di 60 km/h (mentre il ghepardo arriva a circa 80 km/h, a meno che non abbia mangiato pesante: in tal caso manco si sforza di correre, lui mica lo fa per sport);
3. l’infiammazione del glande si chiama balanite (avevo trovato una foto meravigliosamente esplicativa, ma evito di metterla);
4. l’isola più grande dell’arcipelago delle isole Salomone è Guadalcanal (mi ricordavo solo di una battaglia svolta là, ma non c’ero, io);
5. Michael Jackson ha inciso il suo primo album solista nel 1971, a soli tredici anni; mi chiedo perché non abbia usato questa scusa quando l’hanno beccato con le mani nel sacco. “Embè, che volete che sia se ha tredici anni ed è a letto con me, io alla sua età incidevo già un disco… O tempora o mores. Questi giovani pensano solo a divertirsi, oggi”.

Finita la partita qualche sventurato ha fatto la domanda: “E quindi, che si fa a Capodanno?”, distruggendo completamente il clima festoso che si era creato. Dopo poco i miei amici erano tutti a casa. Io ed M. abbiamo pensato alla soluzione Labranca per il 31. Poi abbiamo convenuto che, se ieri fosse stata la notte di Capodanno, sarebbe stato bellissimo. E, soprattutto, ce lo saremmo tolti dalle palle.

I'm Only Sleeping

In treno, tornando a Bologna, stavo spulciando divertito il supplemento del sabato de il manifesto, cioè Alias. Una lettura spesso piacevole, anche se a volte mi fa incazzare, e a volte non capisco quello che vogliono dire. Ma insomma. La prima pagina, la copertina del supplemento, è dominata da un titolo: “Il lavoro danbeggia gravemente la salute”. Interessato, leggo il lunghissimo articolo principale. Si parla di una rivista inglese, The Idler, dedicata all’ozio. Allo studio dell’ozio, ai discorsi su e intorno all’ozio. Detta così sembrerebbe un controsenso. E invece no, perché l’ozioso, detto in parole povere, vuole godersi la vita. Ma si parla anche di lavoro, di “workaholics”, cioè di dipendenti da lavoro, di banche del tempo… Insomma, una lettura molto interessante.
Sto cercando di trovare la rivista qua in Italia, ma non sarà facile. Vi consiglio, quindi, di recuperare Alias di ieri o, se no, di chiedere a me l’articolo. Vi faccio le fotocopie e ve le mando. Con calma, s’intende.

La suddetta rivista, inoltre, rivolge in ogni numero sempre le stesse domande a persone più o meno note. Le domande sono le seguenti, le risposte sono le mie, che faccio finta di essere una persona nota. Se vi va, rispondete anche voi nei commenti. Sempre meglio delle catene “dell’amicizia” che ci arrivano via mail, credo.

1. A che ora ti alzi?
Verso le undici, ma anche più tardi.
2. Salti fuori dal letto subito o rimani un po’?
Di solito salto fuori dal letto, ma dipende da quel che ho da fare.
3. Fumi e bevi? Se sì, quanto?
Fumo una decina di sigarette al giorno, almeno. Bevo quasi ogni giorno, ma non fino a strafarmi.
4. Quante ore lavori al giorno?
“Lavoro” è una parola grossa. Diciamo quattro?
5. Prendi le ferie?
“Ferie” presuppone “lavoro”.
6. Dove abiti?
Principalmente a Bologna, zona centro.
7. Dove lavori?
A casa, ma anche a Milano, Udine, Trieste, Treviso. Dipende.
8. Dove pensi?
In treno e nella mia stanzetta.
9. Quali sono i tuoi tre maggiori piaceri?
Amare, dormire, scrivere. Ma odio le liste
10. Ti piacciono i soldi?
Mi accorgo quanto mi piacciano quando non ne ho.
11. Il mondo è un posto migliore per gli ozii oggi o dieci anni fa?
Dieci anni fa ero un adolescente. Non saprei.
12. Sei felice?
Abbastanza.
13. Quante ore dormi, tra notte e giorno?
Almeno otto, ma anche di più.
14. Che stai leggendo?
Il condominio di Ballard, L’uomo ragno dato da Repubblica.
15. Se dovessi scegliere, sceglieresti i soldi o l’arte?
Uff.
16. A cosa stavi pensando?
A me povero. Cioè a me adesso.
17. Quali sono i tuoi eroi?
Eroi?
18. Un consiglio per i giovani?
Sono troppo giovane per dare i consigli ai giovani, anche se mi piace come ha risposto Arthur Smith a questa domanda: “Non procreate”.
19. Ti piace andare in giro svagandoti?
A voglia.
20. Che cos’è il Paradiso?
Essere felici e sereni, credo. Anche se forse è noioso. Ma che ne so…

Di |2003-12-28T17:28:00+01:0028 Dicembre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , , , |5 Commenti

Liste

A me le liste mettono angoscia. La stessa angoscia che mi mettevano i compiti di matematica al liceo, perché la matematica è “perfetta” ed “esatta”. La stessa angoscia che mi mette il contoallarovescia a capodanno. Non mi piacciono le liste di dischi, né quelle di film. Non mi diverte farle, non so perché. Mi capita spesso, date le mie presunte conoscenze cinematografiche, che qualcuno mi chieda, in maniera del tutto innocente, “Qual è il tuo film preferito?”. Non lo so. Non lo so, smettetela di chiedermelo. Posso dirvi, forse, qual è il mio film preferito di un regista X, ma, per esempio, se mi chiedete qual sia il mio film di Kubrick preferito, non lo so. Non ne ho idea. Forse, oggi, adesso, alle quattro del mattino, Arancia Meccanica, ma poi, magari, domani sarà 2001.
Non faccio liste di dischi del 2003. Intanto perché sono indietro con la musica di almeno cinque anni, ma forse anche di più. E poi per i motivi di cui sopra. Intendiamoci: non ce l’ho mica con quelli che fanno le liste (anche perché se no dovrei togliere almeno la metà dei link dal mio blog).
Ma non tutte le liste mi mettono angoscia. In questa fase della mia vita, in cui i pagamenti per i lavori che faccio e che ho fatto non arrivano, e quindi sono senza una lira (amici, scordatevi anche il pensiero di un regalo di Natale), c’è una lista che mi fa sognare. La lista della spesa. Eccola qui per voi.

pasta (de cecco): non dimenticare di prendere i bucatini, le linguine, oltre ai formati classici;
pane (magari di altamura, francese o pugliese);
polpa di pomodoro (la passata no, meglio la polpa);
acciughe (evitare di dimenticarsele al supermercato);
uova (ma una confezione da sei basta: non ne mangio tante);
carne macinata (il ragù!);
aglio, cipolla e altri aromi e aromini;
tonno in scatola (all’olio d’oliva, quello al vapore mi sa di malato: fissazioni);
olive nere con nocciolo (quelle senza sanno di plastica: vedi sopra);
pancetta (meglio se in pezzo unico, da tagliare, ma anche a dadini va bene: affumicata per la carbonara, normale per l’amatriciana);
formaggi vari (non dimenticare la mozzarella, il gorgonzola e il pecorino);
verdure varie: insalata, pomodori, radicchio e del finocchio da sgranocchiare, melanzane e peperoni (anche se non è stagione);
patate;
funghi porcini secchi;
pomodori secchi;
del pesce buono (se c’è);
carne, ma poca;
frutta in quantità;
latte;
caffé (magari non illy, ma insomma…);
biscotti di vari tipi, basta che in qualcuno ci sia del cioccolato;
fette biscottate (non integrali);
marmellata (pesca, albicocca, fragola, mirtillo, arancia);
succhi di frutta (gusti come sopra, più pompelmo e senza fragola, per carità);
nutella (se proprio siamo in fase perversa);
cacao solubile (ma non nesquik, niente roba della nestlé, anche se è difficilissimo trovare un cacao solubile anche nel latte freddo che non sia della nestlé);
varie ed eventuali…

… tanto in ogni lista, alla fine, si finisce per dimenticare qualcuno o qualcosa, no?

Un weekend postmoderno

Domani, finalmente, inizierò il seminario nella nota-università-con-le-scale-mobili. Ovviamente il mio portatile non si poteva fare sfuggire la ghiotta occasione, e quindi adesso ha deciso che ogni volta che c’è un’animazione in PowerPoint lui emette un rumore che, perdonatemi, assomiglia a quello di un peto con sordina. “Prrfft”. Gli studenti saranno entusiasti, e inizieranno a sghignazzare, sempre composti nei loro abitucci firmati e senza che un filo di trucco si sposti. Se mi chiederanno dove ho scaricato l’incredibile petosuoneria, indicherò loro questo sito. Sconvolgerò le loro abitudini-per-bene? O mi troverò ad ordinare orrendi cocktail alla fragola con loro?

Nei giorni passati ho tenuto tre incontri in tre scuole diverse. Momenti topici:

  • alla fine di una lezione a Gorizia, posto dove sono nato e ho vissuto fino a qualche -sette- anno fa, si avvicina un giandone di due metri e mi dice: “Ciao Francesco, forse non ti ricordi di me, sono F., il fratello di F., eravate amici da piccoli”. Quando io e F. ci frequentavamo, F. era piccolo piccolo, e secondo me manco molto sveglio. Non so se adesso sia sveglio, ma mi avrebbe potuto uccidere con una mano. Speriamo che non si ricordi di eventuali mie prese in giro che possano avere turbato la sua infanzia;
  • incontro a Udine; i ragazzi hanno letto un mio racconto che si intitola “Puttana” e parla di un ragazzino la cui madre fa la prostituta, appunto. Una ragazza alza la mano e mi chiede: “Il racconto è autobiografico?”;
  • durante l’incontro a Trieste mi sono portato dietro V. , e l’ho presentato, ridacchiando, come la “mia guardia del corpo”. In una pausa una ragazza viene da me e mi fa: “Ti posso chiedere una cosa? Ma tu e la tua guardia del corpo siete fratelli?”

Ho visto amici a Gorizia, ho sbevazzato allegramente, stimolando la parte friulana che evidentemente da qualche parte alberga (o bivacca) in me. E ho anche mostrato a V. la cassapanca. Mi sono commosso anche io, era anni che non rivedevo il comodo giaciglio.
Sono anche andato al Chocofest di Gradisca d’Isonzo, una cosa quanto meno imbarazzante. Soprattutto la Chocogallery, e il Palachoco. Mi sembrava di stare a Topolinia o nella città dei Puffi. Nel Palachoco la situazione è agghiacciante. Non è né più né meno che un tendone da giardino sotto il quale ballano qualche orripilante melodia discolatina tre elementi. Il Maestro di Cerimonie (M.C.), una mamma e la sua bimba. Il resto della gente guarda e sorride, forse inebetita dalla cioccolata. Mi sposto, ma nella Chocogallery (identica al Palachoco, solo di forma allungata) l’M.C. della situazione urla in un microfono cose come “No alla dieta” (giuro).

La settimana è però iniziata male. Svegliatomi il lunedì mattina, dopo cinque minuti cinque vado in cucina, dove i miei sorseggiano caffè pensierosi. Piccola premessa. Da qui al ventuno dicembre sarò sballottato qua e là come una palla da flipper, saranno giorni intensi e faticosi. Con questo pensiero sono andato in cucina per iniziare questa settimana.
“Ngionno”, faccio io, forse ancora un po’ ubriaco.
“Buongiorno”, dicono loro. E, subito dopo, con dei tempi che manco Ben Johnson quando diceva “Ma che me frega, me pijo anche ‘ste artre pillolette, anvedi che scatto poi”, aggiungono: “Sai, il tuo conto in banca è un disastro”.
Tento di ricominciare da capo, pensando che a volte quando il portatile mi si blocca, basta resettare.
“Ngionno (dicevo)”
“Ma dove li metti i soldi?”
Ho tentato inutilmente di premere alt+ctrl+canc, ma non c’è stato nulla da fare.

Trailer

Vorrei scrivere un po’ di più su questo blog. Ma mi sto rilassando e sto facendo una solitaria battaglia personale contro la legge Fini sulle droghe. Faccio… una sorta di resistenza passiva continuata, diciamo. O qualcosa del genere. E su, che avete capito.
Quindi, ecco alcuni appuntini, disordinati, sparsi, sconnessi.

  • fra qualche ora si laurea F. e andrò a fargli le feste: ma prima mi comprerò il nuovo disco di Tori Amos. Anche la mia adorata è caduta nella trappola del greatesthits? Basteranno i due inediti e il dvd a giustificare l’uscita di un disco? E basteranno i soldi o quelli della banca verranno a casa mia per spezzarmi i pollici?
  • è uscito Let It Be… naked dei miei amati Beatles: ne ho parlato lunedì in radio, e ho fatto sentire dei pezzi, ma vorrei scriverne qui. Seguendo le orme fraterne… Discorso complesso, quello sul disco dei Beatles, liquidato un po’ troppo in fretta, anche nei blog che leggo;
  • devo assolutamente mettere a posto il template del blog: è una schifezza, me ne rendo conto. Se n’è accorto più di qualcuno, e ringrazio per suggerimenti, testate mandate (non nel senso che hanno mandato quelli della banca a prendermi a testate: poco elegante, non trovate?) e quant’altro. Rimane il fatto che a smanettare col template sono uno schifo;
  • sono riuscito a perdere Raiot, domenica (stanchezza, resistenza passiva di cui sopra), ma grazie a qualcuno sono riuscito a recuperare le puntate in rete, le ho scaricate e me le sono viste. Subito dopo ho mandato a raiot@rai.it una mail, in cui semplicemente esprimevo la mia solidarietà per la prevedibile e avvenuta cancellazione “provvisoria” del programma. Se fossi un buon blogger trovereste qua i link per scaricare anche voi le puntate. Se. Inoltre in molti hanno liquidato un po’ bruscamente la puntata. Dirò la mia. Forse;
  • le avventure di Neighbours vi hanno entusiasmato? Dagli stessi produttori, in associazione con ShinyStat, presto la nuova serie: The Referrers. Gente che cerca altro. Ma non preoccupatevi: se non dovesse piacere potrà essere sospesa “provvisoriamente”.

E così mi sono dato i compiti per casa.

Dolore

Ultimamente mi capita spesso di sentire usare questa parola da persone vicine e lontane, con le quali parlo, mi scrivo, scambio pareri. Mi capita spesso. Ovviamente non si tratta di reumatismi, né di ossa rotte e ferite, se non in senso metaforico.
Si parla, insomma, di dolori d’amore, o emotivi in genere. Il dolore invade il mondo.
Mettiamo delle cose in chiaro: ho estremo rispetto per il dolore altrui, e in genere per i sentimenti altrui. Una sorta di pudore. Per cui penso che ogni dolore sia a sé stante, che ogni dolore sia irripetibile e non paragonabile agli altri. Altra cosa: personalmente ho avuto una vita emotiva e sentimentale normale, nella media (sempre che esista una media del dolore). Ho vissuto molto intensamente, e ne sono contento, e ne ho prese di mazzate. L’ultima, lo dico, è stata veramente pesante. Quasi pirotecnica. Ma anche le mazzate, secondo me, servono, alla fine.
Non sto facendo discorsi ottimistici, non mi sento un ottimista. Guardo le cose e le persone che mi circondano e me stesso. E traggo delle conclusioni, ovviamente soggettive, personali e provvisorie.
Sento sempre più spesso parlare di dolore, metaforizzato in vari modi, e rispetto il dolore del prossimo. Però…

Pensate a questo: due persone ferite, spaventate dalla vita, dal dolore possibile, rimangono distanti, non si avvicinano, perché hanno paura. Paura poi di stare male. Nonostante – e questo è il bello – si piacciano, seppure in maniera superficiale, seppure solo istintivamente. E rimangono a guardarsi da lontano.
È una visione che mi atterrisce. Non credo all’anima gemella (e tutto il discorso che sto facendo non è personale, no), però credo (in negativo) alle possibili occasioni perse. E credo profondamente che valga la pena di vivere. Detta così suona molto “Viva la gente // La trovi ovunque vai”. Ma io, con “vivere”, intendo la vita tutta. Sesso, tradimenti, amore, sofferenze, gioia, disperazione, tristezza. Tutto.
Abbiamo sofferto (uso un plurale ecumenico). E/Ma siamo qui. Vivi. Ovvio che non vogliamo, o non vorremmo, soffrire ancora.
Ma per me il gioco vale comunque la candela. Soprattutto quando si tratta d’amor (senza la “e”).
È aperto il dibattito.

Queste forse banali riflessioni nascono anche da un bellissimo scambio di messaggi che ho avuto con il mio amico M., ultimamente pendolare da Piacenza a Milano. Mi dice che sull’interregionale per Bologna delle 1850 c’è sempre qualcuno che piange. E aggiunge: “C’è una concentrazione di infelicità su questo treno mostruosa, trovo qualcuno che piange tutti i giorni. Non c’è tempo per pensare a sé se non in treno”.

Di |2003-11-14T00:28:00+01:0014 Novembre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , , |22 Commenti

Regalo (per voi che leggete)

Se fossi giulio mozzi, vi racconterei per filo e per segno cosa sto andando a fare a Milano per il fine settimana. Anche perché un po’ giulio mozzi c’entra. Invece, siccome me ne sarò via fino a lunedì, vi lascio un dono culinario. No, nessun link da cliccare e poi vi viene fuori dal lettore cd una torta al cioccolato. Ma questo. Che, in parte, c’entra con uno dei motivi per cui sono a Milano.

Pasta col cavolfiore al forno

Dosi per quattro persone: 400 grammi di pasta corta (dipende da quanto mangiate, ovviamente) tipo tortiglioni, penne rigate, sedani; 900 grammi circa di cavolfiore molto fresco; due spicchi d’aglio; sei filetti d’acciuga sott’olio; una manciata di capperi sotto sale; olio e parmigiano quanto basta.

Pulire il cavolfiore togliendo le foglie esterne e il torsolo più duro, tagliarlo a cimette, sbucciare la parte tenera del torsolo e tagliarla a fettine. Mettere tutto a lavare in acqua fredda. In un tegame basso e largo mettere l’olio, i capperi ben lavati le acciughe e l’aglio (non tritato), quindi aggiungere il cavolfiore senza scolarlo troppo. Porre il tegame sul fornello a fiamma media e mescolare per distribuire bene gli ingredienti. Quando l’olio si è ben scaldato, abbassare la fiamma e mettere sul tegame un coperchio. Lasciare cuocere lentamente mescolando di tanto in tanto, badando che non si asciughi troppo. Le acciughe, l’aglio e parte del cavolfiore si devono disfare, ma senza che si spappolino. Assaggiare per regolare di sale (che va messo dopo).
Cuocere la pasta al dente, scolarla e mescolarla al cavolfiore. Ungere una teglia con un po’ di olio, versare la pasta condita, livellare e cospargere di parmigiano grattato. Mettere nel forno caldo e fare gratinare.

Fatemi sapere. Buon appetito e a lunedì.

Francesco prepara il suo famoso piatto, i testicoli di porco flambè, ad una simpatica coppia di clienti nel suo ristorante di Pasadena. O di Seattle. Non ricorda.

Di |2003-11-07T02:15:00+01:007 Novembre 2003|Categorie: I Me Mine, Savoy Truffle|Tag: , , , |7 Commenti

Possibilità

Potrei raccontarvi tante cose, successe in questo fine settimana.
Potrei dirvi che sono contento che qualcuno ci sia (di nuovo).
Potrei dirvi che la “sindrome da clessidra di Windows” continua, per certi versi.
Potrei dirvi che ho conosciuto, grazie all’amica norvegese che ho ospitato nel fine settimana, cose della Norvegia che non sapevo (che ne so, che ha due lingue, che amano mangiare, a Natale, gelatina di merluzzo, che il loro primo ministro è un prete, che lì non fa così freddo come si dice, eccetera eccetera eccetera. Sì, abbiamo parlato molto.)
Potrei dirvi che sono salito per la seconda volta sulla Torre degli Asinelli, e, mentre arrancavo gradino dopo gradino (e sono cinquecento) mi dicevo “fuma, fuma” e poi la vista dall’alto era talmente bella che mi è venuta voglia di sedermi là e fumare una sigaretta (non l’ho fatto).
Potrei dirvi che ho dormito poco, troppo poco e sto crollando dal sonno.

In realtà volevo solo cambiare font, come faccio ogni mese, e cambiare foto (questa è di Tina Modotti, “Le mani di un burattinaio”, 1929).
E anche dirvi che, come al solito, questa notte, o meglio, nella notte tra lunedì e martedì sono in onda, come sempre, sui 96.3 MHz per chi sta a Bologna. E, per gli altri, qui. Tra l’altro vi farò sentire e intervisterò loro. Che sono bravi, secondo me.

Tutto qua.

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