I Me Mine

Senso civico e sociale, "cinnazzi" e discobar(s?)

Piccole osservazioni di ieri sera e stasera.

Ieri sera: vado a vedere Caterina va in città di Virzì. Sulla strada, passo accanto ad una ragazza. Il mio passo, per qualche metro, è identico al suo, quindi, per pochi secondi, camminiamo uno a fianco dell’altra. In quei pochi secondi ci incrocia uno di quei personaggi che girano nella zona universitaria bolognese, e che di solito o ti chiedono una sigaretta o qualche moneta, o ti offrono del fumo o una bicicletta. Invece lui dice:
“Ah, che bella coppia. Preservativi?”

(Usateli, i preservativi, mi raccomando. Non lo si dice mai abbastanza. Poi, fino a che il governo fa pubblicità-regresso come quella che dice “Avete Idea Della Sofferenza”…)

Stasera sono andato con il caro F. a giocare a biliardo nella notasaladabiliardi. Nel tavolo accanto al nostro giocano dei “cinnazzi” (pronuncia: “zinassi”, cioè “ragazzini” o “ragazzotti”) che, di seguito, dicono le seguenti frasi.
1. “Che palle, però, domani, la scuola”
2. “Io l’ho sempre detto: dobbiamo fare un weekend a Brescia, ché lì ci sono fighe troie” (per la citazione esatta ringrazio il caro F.)

Dopo andiamo in un notodiscobar. Una schifezza di posto, ma serve per l’autostima, vero? Cioè, ti guardi intorno e vedi gente impazzita per “Papi Chulo” e stai meglio. Dopo un rum-e-pera (che F. chiama così, per ordinarlo, e la barista lo guarda e gli dice, un po’ stizzita: “waikiki”) e un cuba libre, inizio a guardarmi intorno. Qualcuno si bacia, qua e là. La cosa bella è che penso che, in un posto del genere, si può limonare solo in due casi:
1. hai rimorchiato quella sera, quindi, giustamente, limoni là;
2. il tuo rapporto di coppia è in crisi: chi si sognerebbe di portare la propria donna nel notodiscobar a ballare “Papi Chulo”?

Due note finali. La prima è che, dico veramente, tutto quello che scrivo è vero. La seconda è: ma perché i miei permalink non funzionano e rimandano all’inizio della pagina in cui c’è il post in questione? Aiuto.

Adolescenza

Ogni volta che tengo dei seminari nelle scuole superiori penso sempre che la differenza di età tra me e i miei “alunni” non si senta. Mica vero. Cioè, quando ho iniziato, ormai più quattro anni fa, poteva non sentirsi, ma adesso…

Però è bello vedere gli “zombetti” alle prime ore. Prima ti guardano, poi, siccome (diciamolo) sono un paraculo ruffiano, si rilassano e iniziano a parlottare tra loro, a scambiarsi bigliettini. Allora chiedo che stiano zitti. A quel punto mi obbediscono. Ma la platea che mi trovo davanti è allucinante. Quaranta facce che mi fissano, tra lo stanco e l’annoiato (non sempre, non è che dica delle cose così tremende), assolutamente inerti e silenti. Manichini di vetroresina.
Ma fatti male. Brufoli, orecchie o nasi troppo grandi (soprattutto i maschi), tentativi di trucco non sempre andati a buon fine, scarpe enormi e improbabili, corpi. E si ostinano a darmi del lei.
Mi piace guardarli e tentare di scoprire, nelle poche ore che ho a che fare con loro, chi è il secchione della classe, chi è la bella che fa impazzire tutti, chi, alla fine, potrà essere uno scrittore e chi no. Provo a pensare chi ero io, ormai una decina di anni fa.
Sicuramente non la bella della classe.

Note a margine. Sto per tornare a Bologna, dopo sette giorni e quasi millecinquecento chilometri percorsi in vari vagabondaggi qua e là. A pensarci bene fa una media di più di duecento chilometri al giorno. Accidenti. Ma per il mio notturno radiofonico sarò fresco e pimpante, ve lo giuro. Come al solito, se vi va, nella notte tra lunedì e martedì, dalle 0050 cliccate qua.

Viaggi

Scrivo queste parole su un treno regionale, nel secondo dei tanti viaggi più o meno lunghi che mi aspettano nei sette giorni a venire. A volte penso a quanto tempo devo avere speso sui treni e mi sembra un sacco. Ma in fondo ci sto bene, sui treni. Soprattutto quando viaggio con poche cose. Il che, purtroppo, non capita così spesso. Non mi capita neanche di assistere a particolari avvenimenti, come invece succede a qualcun altro di continuo. Poche volte ho attaccato discorso con qualcuno, altrettanto poche qualcuno ha iniziato a parlare con me. Sarà che ho sempre delle cuffie nelle orecchie. Sono un’ottima cosa, le cuffie nelle orecchie, anche se non sono collegate a niente. Alcune mie amiche sono ossessionate dal fatto che, non appena mettono piede in una carrozza ferroviaria, ecco spuntare il temibile conversatore. Che, a seconda, racconta loro tutta la sua vita (quando va bene) o ci prova con i mezzi più biechi. E io dico sempre loro che basterebbe un walkman, o anche solo un paio di auricolari non collegati a niente. Mi sa che farò dei regali di Natale particolari, tra un po’.

“O forse è che tu sei un maschio normale e loro delle donne carine. Ci hai mai pensato? Regala dei libri, va’”.

Insomma, sarà una settimana di viaggi e viaggi e viaggi.

Mi chiedo anche quanti milioni-di-vecchie-lire (ah, le “espressioni logore e abusate”!) abbia dato alle FFSS ora Trenitalia. A quanto pare non abbastanza. Alla stazione di Mestre mi informo sul viaggio che dovrò fare mercoledì, per andare a Milano. C’è un’offerta per cui l’intercity di prima costa quanto quello di seconda classe, e intendo sfruttarla. Chiedo informazioni in biglietteria.

“Sì, l’offerta è valida”, mi dice l’impiegato con voce annoiata. “Ma se lei ha la carta verde non può accumulare le offerte”.
“Va bene”, dico io. “Allora non importa”. Ma l’uomo non desiste.
“O l’una o l’altra”.
“Va bene, ho capito, grazie” e faccio per andarmene, quando l’impiegato, sempre più annoiato mormora qualcosa che non capisco. Torno indietro.
“Come?”
“No, dicevo, se no a forza di sconti va a finire che dobbiamo noi darle qualcosa”.
Me ne sono andato senza salutare. Oh.

A proposito del cambiamento e del passaggio da pubblico a privato dell’azienda. Sono salito su questo trenino e, non appena è partito, una voce registrata ci ha dato il benvenuto e ha detto che Trenitalia era lieta di ospitarci sull’interregionale, eccetera eccetera. La “sindrome da British Airways”. Insomma, un conto è che tu mi informi del viaggio quando la tratta è intercontinentale e/o quando ti sollevi da terra (che, si sa, un po’ fa sempre effetto). Ma quando sei su un interregionale che fa una tratta di un paio d’ore scarse, beh, quella voce ti sembra proprio una presa per il culo.

Di |2003-10-21T14:28:00+02:0021 Ottobre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , , , |7 Commenti

L'immortalità e Jacopo Ortis

Mi è venuto da pensare alle persone che ho conosciuto, un po’ come il mio fratello di parole. Ma non, come lui, alle persone che ho conosciuto nella vita reale, ma alle persone conosciute in rete. Mi ricordo quando, diciottenne, facevo i miei primi dialoghi nelle chat con mIRC. Mi ricordo delle prime persone che ho conosciuto, ovviamente, non prendiamoci in giro, donne. Donne delle quali pensi, ovviamente, che siano bellissime, interessanti, insomma, la/le donna/e della tua vita. Poi, ovviamente, spesso le cose stanno diversamente. Anzi, sempre, se no la donna-della-mia-vita l’avrei incontrata (a patto che esista). Poi, dopo un po’, capisci che non devi aspettarti niente, se non una piacevole chiacchierata. E ho vissuto questi incontri, negli ultimi anni, con questo stato d’animo. E le cose sono andate decisamente meglio.

Penso anche alle parole che ho donato a queste persone, prima di incontrarle. Parole spesso seducenti, non troppo calcolate (a volte sì, lo ammetto), ma comunque naturali. Non è un paradosso. E mi chiedo quante si ricordino delle mie parole. Quante delle mie parole siano rimaste nel loro animo. Di solito penso poche, poi, magari, mi capita di incontrare queste persone, e invece a volte scopro che molte delle mie parole sono lì, dentro di loro. E la cosa mi porta ad altre riflessioni, in una catena di pensieri che, come dice Zazie, è bellissima perché potenzialmente infinita.

E penso, quindi, a Foscolo e ai Sepolcri. Molti di voi inizieranno a pensare “ma chi cacchio me lo fa a continuare a leggere questo folle montato?”. Invece no. Perché secondo il geniale poeta, la memoria fa sì che le persone sopravvivano alla morte. Mica roba da poco. Highlander. L’immortalità. Roba da fare impazzire Dracula, alchimisti, Liz Taylor. Le persone sopravvivono nella memoria delle persone che hanno loro voluto bene. E penso se le mie parole potranno fare questo (in scala estremamente più ridotta, c’è bisogno di specificarlo?).

Foscolo. Un nome che incute terrore. Colpa del sistema scolastico e degli insegnanti. E invece no, parte seconda. Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Una volta usai questo libro per un seminario di scrittura che tenni in una scuola superiore. I ragazzi, ovviamente, inorridiscono non appena dico loro che useremo quel libro. Ma io mi faccio coraggio (era il primo anno che tenevo dei seminari) e leggo una lettera in cui Jacopo dice di essere innamorato della sua bella. E dice cose come “ma che bella l’erba, anvedi quant’è verde! E il cielo! Ma che meraviglia quanto è grande!”. Insomma, un perfetto deficiente come siamo tutti quando siamo innamorati.
I ragazzi sono rimasti meravigliati, e spero nel mio cuore che qualcuno, poi, si sia messo a leggere Le ultime lettere, di nascosto, come si leggerebbe una copia di “Le Ore Mese”.

Insomma, Jacopo/Ugo era un essere umano, alla fine, come tutti noi. E, come tutti noi, aveva un terrore schifoso di morire. Però io non credo che le cose raccontate ne I Sepolcri fossero un puro palliativo.

Domani si torna a parlare di meteorismo.

La clessidra di Windows: un post inutile. Più degli altri. Concedetemelo.

Sono passati due mesi esatti da quando ho iniziato a scrivere questo diario urbano. Era Ferragosto, ed ero da solo a casa, da solo nel palazzo, probabilmente anche da solo nella via. Una macchia di umidità in cucina ne minacciava la solidità del soffitto, un frigo con molti Bacardi Breezer minacciava la mia sanità mentale, un caldo atroce minacciava punto e basta. Sono passate di qua cinquemila persone. Mi viene da ringraziarle una per una. Come se l’avessi fatto, immagino capirete. Anche perché dovrei ringraziare me stesso un sacco di volte. Poco elegante.

Mi diverto a scrivere qui. Anche se è riduttivo. Perché per me scrivere è divertente, ma è anche qualcosa di più. Molto di più. Ma non mi va, approfondendo l’argomento, di appesantire un post che già andrebbe letto coi piedi di piombo…

“Hai capito? Appesantire, piedi di piombo… Simpaticissimo. Da morire”

D’altro canto stavo riflettendo sui miei post. Ultimamente, me ne rendo conto, sono poco divertenti. Qualche blogger che ho incontrato mi parla dei “Neighbours” come se fossero personaggi di una sitcom. Qualche altro mi vede bere un Martini cocktail e mi fa notare che sia buffo vedermi fare una cosa di cui ho parlato. Sono cose carine da sentire. Mi ha sempre emozionato tantissimo quando le mie parole, per così dire, “hanno preso vita” (espressione da prendere con le pinze – o con il forcipe…).

“Proprio schiavo del calembour. Più che un dono, una malattia: aiutatelo”

Cos’è cambiato, nella mia vita, in questi ultimi due mesi? Direi poco o niente. A parte che ho deciso di prendere decisamente il volo. A parte il fatto che ho scelto una vita che non mi dà certezze, che mi fa stare ore al telefono (niente a che fare con “gay per te ora dal vivo senti e godi”) a inseguire persone più o meno importanti. Spesso con scarsi risultati (niente a che fare con organizzazione eventi o paparazzamenti vari). Non ho certezze di nessun tipo, per quello che mi riguarda. Però ho dei genitori e degli amici meravigliosi. Scusate se è poco.

Ma il punto è che con tutti i tremori, le incertezze, il conto in rosso, la solitudine momentanea, i dolori interiori, il carovita, il fatto che questa città sia sempre più cara e sempre più piccola, l’aumento istat, il padrone di casa stronzo, le delusioni, i telefoni sempre occupati, l’attendere (mi sento spesso come quando si guarda la clessidra di Windows e si pensa: ma sto aspettando e succederà qualcosa o devo tentare l’abracadabra moderno, cioè la combinazione alt+ctrl+canc?) snervante e continuo…

… vado a letto e penso che sono quello che avrei voluto essere in quel giorno di ormai dodici anni fa, quando scrissi il mio primo racconto. O che quanto meno sto percorrendo quella lunga, difficile, accidentata, meravigliosa strada. Mi sento fortunatissimo.

E da domani, giuro, torno a farvi sorridere. Almeno un po’.

“Leggerezza, santiddio, ci vuole leggerezza. Va’, va’ a dormire. Ma guarda questo… Bah.”

Di |2003-10-16T03:04:00+02:0016 Ottobre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , , |15 Commenti

The Riot Yogurt Grrrl

Sono andato a fare la spesa al notosupermercato. Stavo passando vicino al banco latticini e c’era una ragazza che metteva a posto delle scatole su un carrello. Passa un suo collega e butta sul suo carrello dei contenitori vuoti. Lei se ne accorge e dice: “Ma guarda questo se mi deve rompere il cazzo in ‘sta maniera”. Io vedo e le sorrido complice. Lei mi guarda e aggiunge: “Solo perché ha una cosa in mezzo alle gambe si permette di fare quello che vuole”.

Ho smesso di sorridere e me ne sono andato a comprare della passata di pomodoro. Con passo spedito.

Di |2003-10-10T16:30:00+02:0010 Ottobre 2003|Categorie: I Me Mine|Tag: , |5 Commenti

Letture, santoni e colpi di fulmine

Sono stato, oggi, alla Feltrinelli. Dovevo comprare due libri, sono uscito con quattro. Non c’è niente da fare. È più forte di me. Tempo fa quando andavo là con un caro amico, dovevo tenergli il portafoglio, per evitare che comprasse dei libri. Così li compravo io. Con i suoi soldi.

Insomma, la Feltrinelli di domenica è aperta

“Ma si sta rincoglionendo? Che faceva, andava alla Feltrinelli chiusa? Aiutatelo, o voi che leggete…”

ed è piena di gente. Giovini, meno giovini, famiglie

“Sei prolisso, sei. Va’ al punto”

Insomma, vedo una ragazza

“Eccolo qua. E ti pareva”

carina. Ora, per me, come per molti, i gusti musicali e letterari sono importanti. Vedo che guarda un libro del mio amato Carver, lo prende, lo palpa e lo rimette a posto. Sono lì per lì per andare e rimetterle il libro in mano, ma evito. Passa ad un’altra sala, e io rimango dove sono e cerco i libri che mi servono.

Poi vado avanti e la rivedo, china su dei libri, ne ha due in mano. Faccio finta di niente, ma la guardo con la coda dell’occhio. Chissà che prende, chissà che non prende. Fantastico, viaggio con la mente un po’, appena appena. Penso ai nomi da dare ai nostri bambini, cose così. Finalmente prende un libro, tutta soddisfatta e si avvia alle casse.

La seguo e riesco a vedere di che libro si tratta.

A tu per tu con Sai Baba.

Mi immagino in una casa bellissima. Lei, la ragazza, è con me, e anche lei è bellissima. Tutto è bellissimo. Una bambina, bellissima anch’essa, gioca in un giardino bellissimo. Regna l’armonia. Una voce soave, è quella della ragazza, chiama la piccola: “Nitar, vieni dentro, è l’ora della preghiera”.

Mi avvio alle casse sconsolato.

Una sigaretta

A volte mi capita su WinMx di trovare degli utenti che mi fanno scaricare molto velocemente, e allora saccheggio il loro archivio. Una canzone qua, una canzone là. Mi è capitato di recente di scaricare delle canzoni di Fred Buscaglione. Lo conosco da quando ero piccolo, mi ha sempre affascinato. Ma di solito ascoltavo soltanto le canzoni “da duro”. Invece ha inciso e scritto delle canzoni di una tenerezza incredibile. Insomma, trovo, alla fine, nella mia lista di file scaricati, questa canzone.

UNA SIGARETTA

Prima che finisca questa sigaretta
tu mi dirai di si, oppure forse no,
Puoi pensarci bene,
non avere fretta
hai tanto tempo ancor,
il tempo di una sigaretta

Guardo pigramente, le spire profumate
lo vedi,
fumo a piccole boccate
vorrei fermare un poco,
questa punta di fuoco
vorrei fermare il tempo,
ma il tempo passa e va

Vedi si consuma, questa sigaretta
tu mi dirai di si, o mi dirai di no
passano i minuti,
forse troppo in fretta
io guardo gli occhi tuoi,
fumando questa sigaretta

Guarda come brucia questa sigaretta
potevi dire sì, e invece hai detto no!
Muore un dolce sogno,
nato troppo in fretta
io me ne vado amor,
e spengo
questa sigaretta

L’ho sentita e l’ho trovata bellissima. Un racconto bellissimo. Ero convinto di non averla mai sentita prima, questa canzone. Eppure…
Poi mi è venuto in mente di quando l’avevo sentita. Ero piccolo, e i miei mi portavano alle cene con loro, da amici. Mi trovavo bene con loro, ma non sopportavo quando, alla fine del pasto, si mettevano a cantare brani d’opera. Un’amica di mia madre, per me una specie di seconda madre, una sera, in un momento di silenzio si era messa a cantare, da sola, questa canzone. E mi aveva colpito, e qualcosa si doveva essere sedimentato da qualche parte nel mio cervello.
Questa signora non c’è più, purtroppo.

E adesso accendo, appunto, l’ultima sigaretta.

P.S. Mentre scrivevo questo post, il media player mi mandava random alcuni brani nelle cuffie. So che non ci crederete, e nei commenti fioccheranno insulti di piacioneria. Ma è proprio questa canzone che sto sentendo ora. Il caso mi sbalordisce.

Take the A Train

Eccomi a Roma, dal mio fratello di parole che guarda, sorveglia, mi nutre e mi dà da bere dell’ottima tequila. Il viaggio in treno è stato, come al solito, interessante. Basta, a volte, guardarsi intorno e spegnere il walkman. Davanti a me due ragazze carine, che hanno iniziato a parlare tra loro. Una delle due andava a Roma a trovare il ragazzo, ma non era proprio contenta. Infatti, per motivi di lavoro, la andava a prendere la madre di lui (futura suocera?) e lei non è che ne fosse proprio entusiasta.
“Ma hai un buon rapporto con lei?” chiedeva l’altra ragazza.
“Sì, però…”
E continuava dicendo che il ragazzo l’avrebbe portata allo stadio a vedere Roma-Ancona.
“Ho anche preparato lo striscione”, diceva lei. Io e l’altra ragazza abbiamo fatto due occhi così. E lei:
“Ma non con su scritto ‘Forza Roma’. C’è scritto ‘Sono qui’. Sai, è per una mia amica, metti che mi inquadrano a ‘Quelli che il calcio’…”.
Risatine imbarazzate.

Il personaggio seduto accanto a me, invece, non ha tolto gli occhi dalla ragazza seduta davanti a lui per un secondo. Tanto che ho pensato fosse cieco. Mi sono ricreduto quando non ho visto né il bastone bianco, né il cane. Le guardava proprio le tette. Punto. Poi si è alzato, forse stufo della visione, e ha preso un librone. Siccome, mentre io leggevo Linus e il libro che sto leggendo in questo momento, lui non ha fatto altro che guardare, mi sono sentito autorizzato a guardare quello che stava leggendo lui. Un libro-ricordo del corso per allievi ufficiali dei Carabinieri, con foto, ricordi e tutto. Alcune perle: capitoli intitolati: “O capitano, mio capitano”. Frasi epiche che iniziano con: “Immagina una valle verde” (sponsor?). Ma soprattutto il profilo allievo per allievo. Ora forse voi sapete che tra i Carabinieri ora ci sono anche delle donne. Ho quindi letto il profilo di un’allieva e l’ho trascritto sul mio taccuino. Anche questo, come tutto quello che ho scritto finora, è assolutamente vero.

Allieva eclettica, non ha mai nascosto le sue tendenze politiche. Per questo il Maresciallo le ha ordinato di comporre il testo dell’inno del plotone su una melodia “lievemente nostalgica”. Ingoiato il rospo, da vera combattente, si è poi vendicata suonando la canzone di Lady Oscar durante una funzione.

Il mio fratello-di-parole, qui dietro, si meraviglia e continua a chiedermi “Ma veramente?”. Veramente, veramente.

La terza ragazza ha detto di essere fidanzata con un ragazzo di Parigi.
Lo dico così, per completezza.

E domani: la notte bianca. Ma prima… il caldaista ci sveglierà domani mattina alle 815. Scatta un orrendo sorteggio per chi si dovrà alzare. Staremo a vedere…

Everything in its right place

Qualcuno mi ha scritto o mi ha detto che non vedeva l’ora di leggere quanto io sarei stato goffo nel montare i mobili dell’Ikea che mi sono arrivati oggi. Ebbene, mi dispiace deludervi, ma non li ho montati io. Si sono prestati all’opera, infatti, V. e G. detto Peppino (e li ringrazio infinitamente). E si sono divertiti pure. Le persone come me, che sono poco pratiche per la maggior parte delle cose, si incazzano, perdono la pazienza e le viti. Cosa grave, tra l’altro, perdere delle viti dei mobili Ikea, perché ce n’è solo il numero strettamente necessario. Appena l’ho saputo, mi è venuta subito l’ansia. Ci sono altre persone, invece, che ci godono a creare le cose. Io ho avuto successo con il Lego, ma già il Meccano mi faceva incazzare. Tanto per dirvi che persona sono. Io, nel frattempo, preparavo la cena (niente ricetta, solo rigatoni alla salsiccia. Senza panna, ma col pomodoro. E senza semi di finocchio, ahimè, finiti).

Ma il bello è venuto dopo, quando ho dovuto pensare a rimettere a posto libricdcose da me tolti dalla stanza prima, mentre V. e G. detto Peppino giocavano, felici come bambini, con assi, viti, martelli. I cd: facile. Ma i libri? E le riviste? E gli appunti che uso per fare questo e quest’altro? Ad un certo punto ho iniziato a mettere tutto per terra. Poi mi sono seduto sul mio nuovo divanolettofuton, mi sono acceso una sigaretta e ho guardato il mucchio informe di roba. Ho pensato che non ce l’avrei mai fatta, che si sarebbero moltiplicati, gli oggetti, fino a soffocarmi. Poi li ho presi di sorpresa, e, con una certa ripresa (d’animo), li ho sistemati.

Spostare i mobili, fare queste azioni radicali di riordinamento è salutare. Un gesto che a volte serve. Quando invece lo si fa troppo spesso, è sintomo di paranoia schizoide. Sì, conviene chiamare qualcuno. Un dottore, intendo, non un arredatore. Io lo faccio poche volte, pochissime, ma a volte capita di trovare delle persone…

“Ehi, ciao, come va? Che fai?” “Ah, non mi dire. Ho spostato tutti i mobili della stanza” “Ma non l’avevi fatto una settimana fa?” “Sì, ma non mi piaceva la sistemazione. Scusa, hai da accendere?” “Ma non avevi smesso di fumare?” “Sì, vabbè” “E quella bottiglia di gin? Ma che fai, sono le due del pomeriggio…” “Vabbè, se ci siamo visti perché mi facessi la predica, torno a casa. Mi sa che metto un po’ a posto la stanza…”

E ovviamente quando si sistemano le cose, si butta. Via questo, via quello. Ci si rende conto di avere tenuto oggetti e altro che non hanno utilità. E’ liberatorio buttare via. Ma non butto mai  le cose che mi hanno scritto altre persone. Lettere, biglietti… Neanche le parole delle persone che sono passate per caso vanno buttate. Neanche quando una storia finisce malissimo. Non buttatele mai, se vi posso dare un personalissimo consiglio. Piuttosto mettetele in fondo al cassetto. In uno scomparto lontano dai sogni, mi raccomando.

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