Penso che un giorno così non ritorni mai più
Sappiate che se stasera al Covo Howe Gelb suonerà “Nel blu dipinto di blu”, gli accordi glieli ho dati io circa un quarto d’ora fa.
Chiedo scusa a tutti fin d’ora.
Sappiate che se stasera al Covo Howe Gelb suonerà “Nel blu dipinto di blu”, gli accordi glieli ho dati io circa un quarto d’ora fa.
Chiedo scusa a tutti fin d’ora.
Quando sono entrato al T.P.O. ho sentito subito i loro suoni: stavano provando, morti di freddo come le quindici persone assiepate sotto il palco. Poi se ne sono andati, e ho iniziato a pensare a quando li avevo sentiti per la prima volta. Mentre parlavo con i fonici, si è avvicinata una ragazza, e ha chiesto se poteva farsi firmare il cd, dopo il concerto. “Già, un autografo”, ho pensato io. Ma mi sono reso conto di non avere nulla di originale dei Cranes. Tre cassette, quelle sì. Cassette. Quando li ho sentiti per la prima volta? Le cassette registrate. Loved, 1994. Sono passati undici anni. E mi sono ricordato di quando li ho sentiti, sul pavimento in legno dell’enorme casa di C., l’inizio di “Shining Road”, con quell’accordo che da minore passava a maggiore, e la voce di Alison, di quelle che “osiamaosiodia” (banale, ma sentitela, è così).
E poi Population 4, e ascoltare, subito dopo averlo letto, la messa in musica di Le mosche di Sartre, e fare sentire questi dischi alle persone, che dicevano “ma che voce”, con il sorriso in su o in giù, a seconda (“osiama…”).
Infine, dopo più di dieci anni, vederli sul palco, notare che sono invecchiati, che sono passati dieci anni per me e per loro, che fa molto più freddo al T.P.O. che su quel pavimento di legno, ondeggiare sull’accordo iniziale di Shining Road, e perdersi sul ritornello di “Lilies”, facendo finta di non sapere rispondere alla domanda “Where Am I?”.
Dio, che tristezza d’uomo. Che sono. Talvolta. Lavoro e basta. E guadagno poco. No, perché almeno perpetrare la tradizionale propensione al lavoro e al conseguente accumulo di ricchezze del Nordest, che peraltro è un po’ più a ovest da dove provengo, anche se è un posto che sta più a ovest rispetto a dove stava, per dire, Stakanov. E invece no. Mi ammazzo di lavoro praticamente gratis. Mi darò al calvinismo per un posto letto in tripla in paradiso.
Comunque è vero, ho comprato un’agenda. E ci segno le cose che devo fare. Tipo i turni del lavoro. O tipo dare da mangiare al mio Tamaboy. Ma cristo, non muore mai? No, è che sono io che ho un cuoredimamma. Anche se l’ho chiamato “Cojone”.
Recentemente lei mi ha detto: “No, non dirmi adesso quando c’è quella o quell’altra cosa, piuttosto scrivilo sul blog, così mi ricordo.” Detto, fatto.
Domani inizia il Future Film Festival, quindi sarò vita natural durante là in mezzo. I report qua.
Ma domani sera presento per la seconda volta Mi ricordo di Matteo B. Bianchi allo Zo Caffè. Il libro è speciale, davvero.
Invece sabato sarò tutto il giorno qua. Prima o poi devo preparare la mia relazione per quell’incontro. Segnare sull’agenda.
Sotto “dare da mangiare al mio Tamaboy”.
P.S. Ehi, mica mi lamento, non fraintendetemi. Cojone ride che è un piacere. Sono soddisfazioni.
Venerdì mattina sono andato a fare le analisi del sangue, per la prima volta da quando sono a Bologna. Mi sono messo seduto in un corridoio, con altra gente, come me a digiuno. Una voce da un altoparlante chiamava le persone per l’accettazione, per nome e cognome. Quando è arrivato il mio turno sono entrato e mi sono messo di fronte ad un tipo seduto dietro ad una scrivania, che ha preso le mie carte e ha iniziato ad inserire i miei dati nel computer. Poco dopo è entrato nella stanza, senza bussare, un uomo che credo fosse pachistano
– Io otto e cinquanta, ma macchina rotta. Posso lo stesso?
L’uomo dietro la scrivania guarda l’ora.
– Sono le nove e cinquanta.
– Rotta macchina – ripete l’altro.
– La chiamiamo dopo – dice l’uomo, e gli fa segno di uscire. Poi si rivolge a me. – Ne hanno sempre una. Sono sempre in ritardo.
Tento di non reagire.
– Ne hanno sempre una – ripete l’uomo, mentre estrae dei fogli da una stampante e me li porge. – Non sono mai puntuali.
– Gli ariani, invece… – dico io.
L’uomo mi guarda, per la prima volta da quando sono entrato.
– Non è mica per. È che non hanno il senso del tempo.
Mi viene in mente l’immagine del selvaggio con la sveglia al collo. Non dico niente.
– Non è razzismo – continua l’uomo. – Sono loro che…
– Quando mi mandate i risultati delle analisi? – lo interrompo.
– Tra qualche giorno – mi risponde l’uomo. Prende una penna e cancella il mio nome da un elenco.
La cosa che noto sull’autobus è una ragazza, minuta e bionda, seduta dall’altra parte della vettura. Anche lei dà le spalle all’autista. Ha una gonna corta, ma non pare felice di indossarla. La imbarazza, e si stringe in un capo di lana più simile ad uno scialle da vecchia che ad un maglione, come vorrebbe essere. Di profilo è carina, ma non è rilassata. Nell’aria c’è un vago olezzo di alcol, ma non mi va di indagare da chi provenga, sono stanco e voglio tornarmene a casa. Nei pressi di piazza Maggiore l’interno del veicolo inizia ad illuminarsi di tenui luci blu, che aumentano mano a mano che si procede. Vedo le persone dal fondo dell’autobus che si alzano, e vengono avanti, verso di me, come attratte dal lampeggiante. L’autobus è fermo, ormai, e l’autista parla con qualcuno per strada. Non riesco a sentire quasi niente di quello che si dicono, intuisco solo parole come “auto”, “fermo”, “piano”. Lentamente tutti gli occupanti dell’autobus si avvicinano verso il lato opposto a quello su cui sono seduto: la luce blu è forte e fastidiosa. Mi giro ma il finestrino è coperto dalle persone che guardano. Riesco solo a vedere la luce blu che gira, tingendo l’aria ad intervalli regolari. Qualcuno mormora qualcosa con tono interrogativo. Anche la ragazza bionda ha lo sguardo incollato al vetro: si alza, per vedere meglio. Uno degli occupanti ne approfitta e le guarda a lungo il sedere.
L’autobus passa, ritorna ad essere illuminato sempre più fiocamente di blu. Il motore ricomincia a girare e tutti tornano al loro posto.
La ragazza bionda mi guarda, per la prima volta. Di profilo è meglio, penso. Pare che mi stia chiedendo perché sono rimasto fermo al mio posto. Forse crede che io sia facilmente impressionabile. Mentre mi guarda, non riesce a togliere dal suo volto l’aria di disgusto per quello che ha visto sulla strada. Si volta, offrendomi di nuovo il suo profilo. Solo allora mi alzo, per andare verso l’uscita.
6. Musica e cultura
“La dotta” è uno dei modi di nominare Bologna (“la grassa” e “la rossa” sono altri due, delle “tre T” ho già parlato altrove). Ma non si tratta solo di università: la città offre un numero spropositato di eventi culturali ogni giorno, ha il più alto numero di sale cinematografiche in rapporto al numero dei residenti, molti teatri, librerie a profusione. Certo, un cocktail fatto male può costare anche dieci euro, ma che c’entra.
Librerie. La più nota è la Feltrinelli di Piazza di Porta Ravegnana, sotto le due torri. Fornitissima, dotata di commessi di solito scazzati e poco gentili, dentro ci troverete di tutto. Anche dei libri. Il sabato e la domenica è affollata come la riviera romagnola a Ferragosto. Da segnalare anche la Feltrinelli di via dei Mille, aperta anche di notte, meta di intellettuali vampireschi e di pornomani disorientati come le falene dalla luce al neon dell’insegna, e la Feltrinelli International di via Zamboni, dove si possono comprare film, fumetti, libri su cinema e musica. Il paradiso del giovane, insomma. Anche perché ci sono i libri in lingua straniera, e di solito li comprano gli studenti Erasmus quando sono tristi perché gli manca il suolo natio. Quindi deboli. Quindi facilmente colpibili. Oh, io non vi ho detto niente. Fate voi. Da segnalare anche la Libreria di teatro, cinema e spettacolo di via Mentana, gestita anch’essa da un burbero individuo che apre quando cazzo gli pare; la Libreria delle donne, adesso in via San Felice, ma anni fa in via Avesella, sul cui muro campeggiava la scritta/graffito “Un uomo morto è uno stupratore in meno” (ovviamente le donne della libreria delle non c’entrano con la scritta, ma mi veniva un senso di disagio a leggerla…); esisteva anche Mondo Bizzarro, un negozio (con annesso spazio espositivo) in cui potevate trovare letteratura e cultura estrema. Che ne so, fumetti di liceali lesbiche giapponesi con disturbi della personalità, film di commercialisti vampiri, magazine di feticismo del segnale stradale, sadomaso tra sindacalisti. Molto interessante. E i gestori ne sapevano ed erano simpatici. Oh. Se ne vanno sempre i migliori.
E passiamo ai cinema. Ce ne sono tanti, quindi non ha senso che io parli di tutti. Solo qualche dritta. Se siete dei veri cinefili non potete prescindere dalla programmazione del cinema Lumière, dove ci sono retrospettive, rassegne e a volte anche i dibattiti, proprio loro. Il pubblico delle due sale del cinema Lumière, a differenza del pubblico normale, è silenziosissimo durante la proiezione. Ma rumorosissimo prima e dopo. Mentre aspetta che il film inizi, il pubblico del Lumière disquisisce sulla filmografia completa del regista del film in programma, come riferimenti critici accurati. Dopo, commenta il film, proponendo svariate ipotesi di lettura, anche lì con note a margine. Insomma, una rottura di palle. Sempre che non ci sia il dibattito. In tal caso prendono la parola gli individui più assurdi che, dopo avere fatto una domanda-intervento-comizio di mezz’ora, si accasciano al suolo, emozionati perché è una delle prime volte che tante persone paiono attente a quello che dicono, dopo una vita di silenzi e di frustrazioni.
Ma non si vive di soli libri e cinema, no? Ovviamente anche la musica è importante. Quindi, ecco a voi alcuni negozi di dischi e luoghi di concerti. Iniziamo dai negozi di dischi.
Uno dei più noti è Nannucci, in via Oberdan, uno dei primi in Italia a fare vendite per corrispondenza. Ancora adesso è molto frequentato perché conveniente. Le cassiere non sono simpatiche, ma i ragazzi lavoranti ne sanno abbastanza. Ci trovate anche vinili e ragazzi appassionati di musica che non hanno un blog: roba vintage, insomma.
Il Disco d’oro, in via Galliera, è molto fornito, ma è il tempio dello snob. I proprietari ti guardano male se non compri la musica che piace a loro, anzi, sembra quasi che ti facciano un favore a venderla. Ma attenzione: non stiamo parlando di Stevie Wonder versus il rock, come in Alta Fedeltà, ma del peccato estremo (agli occhi dei proprietari) di non conoscere le ultime tendenze della musica elettronica della Sassonia-Westfalia. Imperdonabile.
Ricordi Media Stores, in via Ugo Bassi, è importante per vedere che musica si compra veramente nel mondo, e per ridimensionare ogni snobberia e indifighetteria. Qui ci sono stormi di adolescenti che prendono a manate cd di Limp Bizkit e Christina Aguilera. I calendari di Eminem. I DVD dei Blue. Mica cazzi. Istruttivo, ridimensionante.
Rock Shop: sito in via della Grada, lo segnalo perché è ben fornito, c’è un buon catalogo a prezzi medi, ma soprattutto perché è il primo e unico negozio di dischi a Bologna dove sia stato installato un distributore di bibite. Refrigerante.
Ma dove sentire dal vivo i gruppi di cui avete acquistato il cd? Attenti, perché nei prossimi paragrafi non si parlerà solo di cultura, ma soprattutto di stili di vita, etichette, scena. Sì. Scena. E che volete farci…
Estragon: un tempo c’erano i gruppi ggiovani, e l’organizzazione era legata anche all’ambiente della sinistra universitaria. Dai Modena City Ramblers ai Punkreas: erba ed erbazzone, sentirsi alternativi e diversi, insomma. Da quest’anno dovrebbe ospitare i concerti più grandi della stagione del Covo: e qui apriamo un capitolo importante. Volete essere veramente con la gente che conta? Andate al Covo, soprattutto il giovedì, venerdì e sabato. Usate alcune guide come si fa quando si va all’estero con la Lonely Planet e non stupitevi di quello che sentirete provenire dal palco. È l’indie, cari, termine vago ma adatto a tutte le stagioni. I gruppi indie (ma ne riparleremo) si dividono in tre: ci sono quelli che hanno il nome formato dall’accostamento di due termini apparentemente scollegati (es. Bycicle Roosters, Screaming Trees), quelli che hanno il nome formato da una frase bizzarra (es. Death Cab for Cutie, No Residents Allowed, I Am Kloot) e infine quelli che hanno un nome normale, ma di solito fanno musica triste (es. New Year, Karate, Brainwasher). Fregatevene: imparate tutti i nomi dei musicisti che suonano, ma attenzione: ognuno dei membri di ogni gruppo ha almeno un progetto musicale parallelo, quindi siate completi nell’esposizione. Affermate sempre che il loro primo disco è il migliore, e che hanno suonato meglio nel concerto segreto del Festival del salame caprino di Forlimpopoli, comprate spilline che non avevate il coraggio di mettere neanche alle medie ed passeggiate con sicumera nel Covo. Poi potete anche evitare di vedere il concerto, ma scrivetene una recensione da qualche parte.
Atlantide: si trova alla fine di via Santo Stefano. Imperdibile per sentire le nuove tendenze del grindcore portoghese, dell’hardcore lituano e dell’uso combinato di urla e chitarre distorte. Però c’è la birra a poco.
Cassero: uno dei veri posti di tendenza, è la sede dell’Arci Gay e Arci Lesbica. Queerwave, sculettamenti, ma anche tanti etero che hanno il terrore di essere sfiorati, ma si mostrano lo stesso là in mezzo. I gay e le lesbiche si divertono e se ne sbattono. Anche se a volte la qualità della musica lascia a desiderare.
E siamo arrivati alla fine. Se tutto è andato bene, avete una casa, bei libri, film dischi, la pancia piena, un cannone in mano, un/una partner, non avete dato il vostro numero di telefono ai marxisti-leninisti, quando entrate al Covo vi salutano anche le spine della birra, avete tra pochissimo un appuntamento al 36. Quando ecco che vi sorge un dubbio: ma io non ero venuto a Bologna per studiare?
5. Sesso e relazioni sociali
Un dato fondamentale vi ronza nella testolina, lo so. Novantamila studenti universitari. Diciamo, rispettando le proporzioni mondiali, quarantamila uomini e cinquantamila donne dai diciotto ai trent’anni, mantenendoci larghi. Quindi: Alma mater ormonum. La primavera a Bologna è una stagione considerata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, ma come fare a non limitarsi alla contemplazione di bei giovani e belle giovani? Una cosa fondamentale da scegliere è come gestire la vita universitaria, la scusa per la quale siete a Bologna. Dunque: per coloro i quali fanno facoltà a netta prevalenza maschile, come ingegneria, consiglio di andare a studiare da qualche parte nelle biblioteche di via Zamboni. Ma anche di studiare qualcos’altro: se andate al 36 (ricordate?) con un libro che si chiama Integrated Mechanics and Application in Modern Stuff Building, è decisamente dura farvi passare per un romantico e maledetto studioso di filosofia. Secondo me per questo gli ingegneri sono stressati: perché perdono un sacco di tempo che dovrebbe essere dedicato alla studio andando nelle sale di lettura delle facoltà umanistiche. E poi devono studiare di notte. Non a caso ho parlato di maschi iscritti ad ingegneria. Le ragazze che fanno la stessa facoltà, infatti, sono una ventina, si conoscono tutte per nome, e, indipendentemente dalla loro bellezza o simpatia, sono oggetto di attenzioni vagamente pesanti nei confronti dei loro colleghi, che le guardano come si guarderebbe una pozza d’acqua nel deserto. Sì, con la lingua di fuori.
Ci sono facoltà che storicamente sono dominate dalla presenza femminile: una su tutte Scienze della formazione. Le ragazze di Scienze della formazione, però, hanno un debole per gli ingegneri (e vediamo domani che succede in via Zamboni).
Capita, a volte, di essere fermati per strada da persone a caso. Di solito queste sono di tre tipi, assai accomunabili.
1. ciellino: subdolamente vi offre il suo aiuto, perché sembrate disorientati (e lo siete). “Sono dello Student Office“, dice. Furbetto: chi penserebbe che dietro ad una sigla dal suono tanto ufficiale si possa nascondere un’organizzazione come CL? Del resto anche la setta di Charles Manson si chiamava “La famiglia”. Queste sono scelte azzeccate di marketing, c’è poco da fare. Con la scusa di avere le ultime dispense su cui preparare il temibile esame di diritto privato, il ciellino (o la ciellina) vi attirerà in una morsa di rosari, appartamenti di soli maschi e di sole femmine (questi ultimi hanno sempre destato in me un certo interesse – sociologico, ovviamente), messe cantate obbligatorie alle sei del mattino. Quindi dite “no grazie” e andate avanti. Ma ecco che vi ferma il
2. marxista: siete di sinistra? Bene, Bologna è il posto che fa per voi. Perché le organizzazioni politiche universitarie non si accontentano di distinizioni bipolari, e neanche di schieramenti paralleli all’ordine parlamentare. No. A Bologna potete scegliere tra marxisti-leninisti, trozkisti, internazionalisti, anarchici, stalinisti, socialisti rivoluzionari. E sicuramente mi sfugge qualche gruppo. Ognuno di essi ha la sua rivista (noiosissima, roba che in confronto Il Capitale si legge con la velocità di un Almanacco di Topolino), e, ovviamente, ognuno è in lotta con l’altro. I marxisti-leninisti, in particolare, hanno una tendenza catechista: vi fermano per strada e vi propongono di partecipare a delle “Lezioni di marxismo”. Voi, che vi sentite dei marxisti un po’ parvenu, senza titolo di studio, decidete di partecipare, e lasciate al marxista in questione (o alla marxista) il vostro numero di telefono, sperando che, chissà, con la scusa delle lezioni… Invece no. Quelli vogliono la vostra anima e, se non la ottengono, ve la rompono. Se non andate ad una lezione, vi chiamano a casa, e vi chiedono la giustificazione: dico sul serio. Conosco delle persone che per sfuggire alla persecuzione dei marxisti-leninisti, sono sotto il programma protezione testimoni. Quindi non date il vostro numero di telefono, chiedetelo voi al prossimo. Ehi, marxista-leninista che leggi, non mi sto riferendo a te;
3. punkabbestia: il punkabbestia ha comunque bisogno di un’interazione con voi. O perché vi deve vendere il fumo (ottimo per terreni accidentati, con buon battistrada, ma non eccellente per usi psicotropi), o perché deve chiedervi qualcosa, di solito una cartina (non fate gli spiritosi: non si è perso), o un chilum, o un fazzoletto per pulirlo, o una sigaretta, o degli spiccioli. Voi comportatevi come credete, sta a voi decidere cosa dare e quanto. Ma non vi preoccupate se, ad un vostro rifiuto, il punkabbestia vi urla dietro “borghese di merda” (capita, capita…), anche se avete mandato a fanculo il marxista-leninista: non siete dei borghesi di merda. Basti pensare che i piercing del punkabbestia costano quanto tre mensilità del vostro posto in tripla sopra gli sfiatatoi delle cucine di McDonald’s. Quindi, tirate dritto e andate in sala studio. Lo scopo non è finire il capitolo sulla letteratura cilena, ma rimorchiare la persona a fianco alla quale vi siete seduti. Casualmente, eh.
Nella prossima puntata: musica e cultura.
3. Vitto e alloggio
E qua si apre un capitolo potenzialmente infinito. Nel senso che il vitto, ma soprattutto l’alloggio, sono uno dei problemi che ci si trova ad affrontare da subito. E’ più facile trovare un loft in equo canone a Manhattan che un posto in tripla a Bologna, si dice. Ed è vero. Il consiglio è di guardare gli annunci attaccati sui muri della zona universitaria, anzi, di guardarli mentre vengono appesi. Infatti resistono sui muri più o meno trenta secondi. E nessuno prende un bigliettino con un numero di telefono. Annientare la concorrenza è fondamentale, nella lotta spietata per l’alloggio, quindi è bene memorizzare il numero di telefono e ingoiare per intero il foglio di carta su cui è scritto.
4. Droghe (bici)
Di solito nelle città la disponibilità di droghe è direttamente proporzionale al numero di giovani presenti. Fate conto che a Bologna ci sono 90000 studenti. Ho detto tutto.
Ai miei tempi, diciamo nel 1996, quando si usciva dalle lezioni, si veniva letteralmente invasi dagli spacciatori, che offrivano per lo più del fumo, di qualità media. Adesso come adesso la qualità della roba che si trova per strada è nettamente peggiorata: non compratela, tanto vale fumarvi la ruota di scorta della macchina, e il prezzo più o meno è quello. Se qualcuno vi offre dell’erba, non accettatela. O è talmente piena di ammoniaca che quando ve la fumate vedete la vecchietta dell’Ace che vi insegue, o è imparentata con la marijuana solo in quanto facente parte del regno vegetale. A questo proposito: fumare il prezzemolo o il the non fa alcun effetto. La malva sì, ma di questo, un’altra volta.
A Bologna è abbastanza tollerato che si fumi per strada. O meglio, se alle forze dell’ordine girano i coglioni, vi arrestano anche se rollate una legale sigaretta di tabacco, ma comunque, diciamo che vige abbastanza il fatto di chiudere un occhio. Detto questo, evitate di urlare “Avete un chilum?” per strada, e, soprattutto, non passatelo ai carabinieri. Per quanto per voi possa essere un gesto di fratellanza, loro non la vedono così, inspiegabilmente.
Un’altra cosa. Se qualcuno vi ferma per strada sussurrando “bici”, non vi sta offrendo una pastiglietta magica che vi farà correre come se foste Coppi. Vi sta proprio offrendo un velocipede. In tal caso, comportatevi come se foste a Marrakech: abbassate il prezzo. Tanto poi la stessa persona che vi ha venduto il mezzo, ve lo ruberà e lo rivenderà. A meno che non abbiate la faccia tosta di un conoscente che (giuro) è andato da uno e gli ha iniziato ad urlare in faccia che quella che stava vendendo era la sua bici, e non era assolutamente vero. Il malcapitato, dopo avere tentato una blanda opposizione, ha capitolato, e gli ha ceduto la bicicletta.
La bicicletta è fondamentale a Bologna: scorrazzare su due ruote è bello ed entusiasmante. Tutti vanno in bicicletta a Bologna. Fino a che non viene loro rubata. A me hanno rubato due biciclette, di cui l’ultima era bellissima, legata ad un palo con due lucchetti di sedici chili. Provate i lucchetti da venti.
Ma via Zamboni non è solo fumo e bici: può capitare che vi vengano proposti anche altri oggetti. Negli ultimi otto anni mi sono stati offerti: cellulari, una penna stilografica, un motorino, un casco, un cd portatile, e una chitarra classica. Con custodia. Perché loro alla soddisfazione del cliente ci tengono.
Nella prossima puntata: sesso e relazioni sociali.
1. Orientamento
“Girando ancora un poco ho incontrato uno che si era perduto
gli ho detto che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino
mi guarda con la faccia un po’ stravolta e mi dice “sono di Berlino””.
Lucio Dalla, “Disperato erotico stomp”
Allora, il mio senso dell’orientamento fa schifo. Davvero, una volta mia madre mi ha trovato in cucina che urlavo “dove sono” e preparavo dei bengala per segnalare la mia posizione. Ma a Bologna non mi sono mai perso. Fondamentalmente Bologna è un’ellisse, il cui perimetro è formato dalle mura. I due fuochi dell’ellisse sono le due torri, abbastanza visibili, direi, e piazza Malpighi. L’asse che unisce questi due fuochi è formata dalle vie Rizzoli e Ugo Bassi, al centro del quale ci sta Piazza Maggiore. L’asse è messa in asse con la via Emilia, quindi teoricamente potreste andare da Piacenza fino a Rimini andando sempre dritti, passando per piazza Maggiore. Rispettando i semafori, si intende. Le strade del centro o sono dei raggi che si dipartono dai fuochi e arrivano alle mura, cioè alle porte (dodici), o sono parallele rispetto ai viali stessi. I numeri civici decrescono mano a mano che ci si avvicina al centro.
Facile no?
Bene. Adesso che avete comprato una cartina, potete addentrarvi nel centro di Bologna.
2. Università
Congratulazioni! Vi siete iscritti nella più antica università del mondo occidentale. È per lei che siete a Bologna, almeno ufficialmente. L’università di Bologna, Alma Mater Studiorum (trad.: l’anima de tu’ madre e degli studi), è stata fondata nel 1088 e le cose, a livello organizzativo, non sono poi cambiate molto. Le principali facoltà sono tutte intorno a via Zamboni. Segnatevi questa via, perché, casualmente, intorno ad essa ci sono anche copisterie, librerie universitarie, bar, sale studio, biblioteche, donne e uomini disponibili, spacciatori, biciclette, annunci che offrono stanze e posti letto, birra.
Volete impressionare le persone che incontrate? Ecco un trucchetto.
A Bologna i numeri civici di via Zamboni (intitolata ad un antifascista, non al chitarrista dei CCCP) sono comunemente usati per indicare l’istituto, la facoltà o qualsiasi cosa si trovi a quel numero. Quindi, se qualcuno vi dice “ci vediamo al 36”, vorrà dire alla Biblioteca di Discipline Umanistiche. Il 38 è la Facoltà di Lettere, il 33 la Biblioteca di Arti Visive, e così via. Attenti a non dare un numero sbagliato, o darete un appuntamento in una casa privata o, peggio, in una libreria di zootecnica.
Ovviamente esistono delle superstizioni legate alla carriera universitaria (il compimento della quale è notoriamente uno degli ultimi obiettivi da perseguire nella città felsinea). Per esempio, pare porti sfiga attraversare diagonalmente piazza Scaravilli, quella della facoltà di economia, o anche il portico dei Servi, vicino a Scienze politiche. Si dice anche che salire sulle Torri prima della fine degli studi fa sì che non vi laureiate mai. Io, per sicurezza, non ho fatto nessuna delle cose sconsigliate. Mi sono laureato. E sono quasi disoccupato. Sono cose.
Nella prossima puntata: vitto, alloggio e droghe.
Ho sempre avuto un problema con Gesù. Non un problema personale, ci sarebbero dei problemi ontologici riguardo a questo (dal mio punto di vista), ma un problema di immagine. Niente a che fare con il fashion (se c’è qualcosa che non passa di moda…): parlo proprio di iconicità. L’immagine di Gesù Cristo mi ha sempre fatto paura. Ma dico proprio paura. A differenza di altri traumi, però, so perfettamente da dove viene fuori questa fobia, che si è attenuata solo di recente: dal cinema. O meglio, dal Cinema e dal quasi-cinema-televisione. Due film mi hanno segnato, a questo proposito. Il primo è Carrie, lo sguardo di Satana, capolavoro di Brian de Palma, uno dei film più angoscianti di sempre: la povera Carrie viene rinchiusa dalla madre in uno stanzino, per pregare ed espiare i suoi peccati, al cospetto di un enorme e sanguinolento crocifisso, che la guarda e, soprattutto, ci guarda. Il secondo è Gesù di Nazareth, di Zeffirelli, che mi ha fatto allontanare sin da piccino dalla Chiesa ufficiale, anche grazie ad altri accadimenti. Nel “film” di Zeffirelli, se non l’avete visto, Gesù ha le fattezze di Robert Powell: capello lungo, carnagione slavata e due occhioni blu spiritati fanno del Gesù di Zeffirelli un’icona, qualcosa che rappresenta Cristo come siamo abituati a vederlo, ma senza alcuna pretesa di veridicità somatica, tanto per dirne una. Robert Powell fa miracoli, sgrana gli occhioni, levita, muore e risorge in maniera molto più simile ad un santone che a Gesù. Per di più il libro di religione delle elementari riproduceva sanguinolenti fotogrammi della passione secondo Zeffirelli, spaventando a morte noi poveri piccini. In questo modo la figura di Gesù mi ha iniziato a terrorizzare più del baubau, non riuscivo ad andare nelle chiese, mi sentivo a disagio.
Ultimamente, soprattutto grazie alla visione di un altro film, che ritengo di gran lunga il migliore sull’argomento (e non solo), il mio rapporto con l’immagine di Gesù è migliorato. Tant’è che porto sempre le persone che non conoscono Bologna a vedere una delle opera d’arte più belle che abbia visto in vita mia: il “Compianto sul Cristo morto” di Niccolò dell’Arca. Ma l’altroieri qualcosa è cambiato, a causa di un sogno tremendo.
Davanti a me un cabinotto, piccolo, con una porta pesante e un vetro attraverso il quale posso vedere qualcosa di simile ad una sedia. Vicino a me, Gesù, tremante e terrorizzato, debole e molle come si vede nelle deposizioni o nelle pietà. E io gli facevo coraggio, come ad un amico. Perché stavo accompagnando Gesù, a mio malincuore, sulla sedia elettrica. Mi sono svegliato, come potete immaginarvi, sconvolto e stordito. E non mi sto chiedendo perché abbia sognato qualcosa che farebbe comodo a qualche tremendo illustratore moderno, in cerca di ispirazione per rappresentazioni sacre (a questo proposito, tanto salto di palo in frasca di continuo: la sezione “arte sacra contemporanea” dei Musei Vaticani è quanto di più orribile abbia mai visto in vita mia.)
Potrebbe essere il momento giusto per una svolta mistica? Il mio psichiatra non è decisamente dello stesso parere.