Dagli archivi: Tuxedomoon @ DOM, la Cupola del Pilastro, Bologna – 2 aprile 2014
La band di San Francisco torna a Bologna trentaquattro anni dopo il primo storico live europeo: tre serate sold out per dei concerti da vedere, oltre che da ascoltare, che confermano l’eccellente peculiarità dei Tuxedomoon e rinsaldano il loro legame con la città.
Poco dopo l’inizio della prima delle tre date bolognesi, le uniche in Italia di questo tour, Blaine L. Reininger dice: “Prima di andare further devo dire che siamo tanto tanto felici di essere qui… where it all started”. Nel 1980 infatti la band teneva, proprio a Bologna, il suo primo concerto al di fuori degli Stati Uniti. L’Europa (e soprattutto l’Italia) accolse a braccia aperte questi musicisti che avevano come unico motto quello di fare ciò che gli altri non facevano. Trentaquattro anni dopo lo spirito innovatore e unico dei Tuxedomoon rimane inalterato, così come l’affetto riservato dal pubblico alla band.
Sul palco ci sono tastiere, clarinetto, sax, tromba, flicorno, armonica, violino, basso e chitarra elettrica, suonati alternativamente dai quattro musicisti originali (oltre a Reininger ci sono Steven Brown, Peter Principle e Luc Van Lieshout), ma non solo. Una parte importante dello spettacolo sono i video di Bruce Geduldig, membro del gruppo a tutti gli effetti che trova anche il tempo di declamare in italiano un po’ stentato le didascalie che appaiono sugli schermi. Siamo lontani da un live nostalgico, la band guarda avanti: non è un caso che il pezzo di apertura sia “Dorian”, uno dei brani della sonorizzazione creata recentemente per il cult movie Pink Narcissus, di cui verranno proiettate alcune parti.
Ma il filo conduttore visivo è dato da una creatura bizzarra, fatta interamente di nastro magnetico che, nel corso del live, vedremo da un medico (Principle) che gli diagnostica una “bruttissima ossidazione”, poi perso nei suoi ricordi, alle prese con una bambola, e infine “strafatto” da una sorta di chemio casalinga. Lo spirito ironico, caustico e surreale dell’immaginario della band rimbalza tra il palco, dove i quattro suonano benissimo, dedicandosi alle composizioni più recenti e ripescando poco dagli esordi, e gli schermi, su cui ci sono immagini tratte da filmini amatoriali o video girati ad hoc nella lunga carriera multimediale della band. Un concerto di un’ora e quaranta emozionante e unico nel suo genere che fa capire come mai, alla domanda “Perché vi siete riuniti?”, l’ovvia risposta dei Tuxedomoon sia “Perché nessuno fa quello che facciamo noi”.
Recensione pubblicata originariamente sul numero di maggio 2014 de Il Mucchio Selvaggio
Nel curriculum di Jocie Adams spicca, quasi più della militanza nei Low Anthem, un periodo passato alla NASA come ricercatrice: è il lato inaspettato, bizzarro, ma allo stesso tempo “serio” nella biografia di un’ottima musicista. C’è una sorta di corrispettivo di tutto ciò nel debutto solista a nome Arc Iris: si stende sulle undici tracce del disco, portando l’ascoltatore per mano in un viaggio in cui c’è una vera sorpresa ad ogni passo. Jocie mischia rock, jazz, folk, country, ma evita pasticci, barocchismi e virtuosismi, non forza la mano pur non disdegnando arrangiamenti complessi (basati principalmente su archi, fiati, armonie vocali e pianoforte) e richiami colti (uno su tutti, la musica da cabaret). Traccia la strada mentre la percorre e il paesaggio coloratissimo che si snoda canzone dopo canzone davanti ai nostri occhi muta di continuo, rivelando scorci inaspettati che fanno sobbalzare il cuore.
Il secondo disco dei portoghesi Paus nasce sotto l’egida del prestigioso Primavera Sound, che ha ospitato per due edizioni di seguito i musicisti di Lisbona e che fa uscire questo album sotto la sua etichetta. Il quartetto ha una peculiarità: ci sono due batteristi che suonano lo stesso set (“siamese”, con la cassa in comune) uno di fronte all’altro. Clarão, però, non è un disco di puri ritmi, sebbene i battiti siano al centro delle dieci tracce che lo compongono. E non è neanche un album strumentale, per quanto le voci siano filtrate, spezzettate, usate come suoni in mezzo a chitarre, bassi e synth.
Dieci anni fa un ep, quindi l’album I’m the Creature, premio Fuori dal Mucchio per il migliore esordio. Poi nulla fino allo scorso giugno, quando è comparsa “Volunteer”, ora posta a chiusura di A S I M O / I, l’atteso ritorno dei MiceCars. “You should not play with my heart tonight / And praise our love with another lie”, dice la canzone: le parole e il cantato in falsetto rimandano al 2004, ma Little P. e Peter T. (che suonano insieme ad Andrea Mancin, Oliviero Farneti, Pasquale Citera e Marco Caizzi) sono ancora più disillusi e amaramente ironici sin dall’apertura “Mutual Destruction Assistance”, che riporta alla sfera intima e relazionale l’annientamento reciproco paventato nell’era nucleare richiamato dal titolo.
