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La posta di A Day in the Life

Mi scrive M., che mi dice:

In una settimana ho visto dirigenti di una multinazionale fare il trenino su una canzone dei Lùnapop, ho cenato con una ex-letterina e un comico televisivo, ho mangiato pasticcini con un’ex-presentatrice di Fuego e con un veejay, sono con un’amica alla festa della Redbull; di notte leggo Bergson per salvarmi l’anima e sta arrivando Natale. Mi sparo o stermino il mio prossimo?

Caro M., la soluzione al tuo quesito non è semplice. Hai due strade. La prima è attualizzare tutto ciò che vedi facendolo, oppure fare un passo avanti nelle frequentazioni. Mi spiego. Inizia a cenare con le letterine e le presentatrici, e sii tu ad aprire il trenino, ma non su una canzone dei Lùnapop (chi li ascolta, ormai?), bensì su qualcosa di più attuale. Non ti limitare a mangiare pasticcini con un veejay, fatti ospitare a Total Request Live, e pretendi i pasticcini in camerino. Non andare ad una festa: sii tu ad organizzare un Bacardi Breezer Party (e, in tal caso, chiamami). In questo caso, però, dovrai lasciar perdere Bergson, e lui potrebbe averne a male.
Hai però un’altra strada: continua a studiare Bergson, sfoderalo nei momenti più impensabili e sorprendi i tuoi commensali, spiegandogli magari anche le sue influenze sulla teoria del cinema di Deleuze. Per fare questo basta introdurlo come un precursore degli Air o dei Noir Desir. Li lascerai a bocca aperta, e potrai così sfilare loro il portafogli, magari aiutato dalla confusione del trenino. Se la tua opera di persuasione funziona, potrai anche far sì che, per esempio, una letterina si iscriva a filosofia, o che un veejay si trovi ad aprire una puntata di MTV on the beach, parlando del senso del tempo.

Scherzavo: sterminali tutti. Ma ricorda che l’unica cosa veramente inevitabile dell’elenco che mi hai scritto è l’approssimarsi del Natale.

Resoconto emotivo di una settimana intensa

Mi è arrivata una mail da un amico dei miei, dal nulla. Non lo vedo da anni, ma mi è sempre rimasta un’immagine vivida di lui, del suo umorismo, della sua casa. Adesso ho anche un’immagine vivida di qualcos’altro.

Caro Francesco, ti ricordo con tanto affetto per le tue risate a crepapelle.
Era quel tempo, quando si giocava a tombola, a casa mia.

No, voi non siete obbligati a commuovervi, ma credo che queste siano tra le parole più belle che abbia ricevuto.

Mercoledì ci chiama in diretta un ascoltatore entusiasta di quello che facciamo, la sua felicità è incontenibile e, per un momento, i tempi, la diretta, i volumi, scompaiono. Ci godiamo la sua meravigliosa e spontanea gioia. Sì, gioia.

Vedo la Beatles Anthology, e sento Ringo che parla di quando lui, Paul e George si sono rivisti per registrare “Free as a bird“. Ringo dice che, per evitare di farsi prendere dall’emozione, pensava continuamente che John fosse in pausa, a prendere un caffè o fuori, a farsi un giro. E poi aggiunge: “Perché John non c’è, è in Paradiso”. E indica seriamente il cielo con un dito.

Oggi, passeggiando per la città intasata dall’ansia consumistica, sento riecheggiare le note di “I Feel Fine”. Un gruppetto, per strada, sta suonando delle canzoni dei Beatles. Presto intorno a loro si raduna un sacco di gente, e tantissimi bambini piccoli, avvolti in strati e strati di giubbottini e cappelli e guanti. Tutti, e dico tutti, sorridono beati.

Ma la chiusura di questo resoconto è lo scambio che ho avuto ieri sera con un ascoltatore di una ventina di anni più vecchio di me. Mi dice: “Ma siete così cinici in radio, poi uno vi vede dal vivo e…”. Si ferma. Io provo: “E abbiamo la faccia da bravi ragazzi?” Lui non pare convinto. Riprovo: “Sembriamo dei coglioni?”. Lui pare convinto.

All work and no play

Qua non si aggiorna il blog, e me ne rendo conto, care e cari. Ma praticamente sto passando tutto il mio tempo, anche quello libero, quello part e quello pieno, in radio. Nel frattempo vi segnalo quello che sto facendo, e rivelo così la mia identità segreta: ebbene sì, non c’è crisi in questo paese, perché io lavoro (da pronunciare come fa Beyoncé nella pubblicità de L’Oreal).

Da oggi e fino a giovedì in Neon Metrò troverete un mio speciale sui blog, con interviste a Giuseppe Granieri, Francesco Mollo, Massimo Mantellini e Paolo Valdemarin.

Il marketing e l’arte della manutenzione radiofonica

Ce l’abbiamo fatta anche questa settimana a mettere in piedi un’altra puntata di Monolocane. Il titolo del post è solo in parte sconclusionato, nel senso che parlerò con lui, l’unico blogger che lavora per una multinazionale, di cosa significa veramente fare il mestiere che fa. Ovviamente domani il nostro sarà licenziato e citato in giudizio per miliardi.
Inoltre, se ce la faccio a prepararla, vi faccio sentire un’intervista con Faso, sì, proprio il suonatore di chitarra basso di Elio e le storie tese, che ci parla di “peer to peer” e di quando sarà possibile scaricarsi sul computer di casa una riproduzione della Venere di Milo.
Come al solito, dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz stereo di Città del Capo – Radio Metropolitana, se siete a Bologna. Se siete in qualsiasi altro posto, ma avete un collegamento internet, potete dilettarvi con non uno, bensì due streaming.
Se no, niente.

Update. Stasera telefoneranno a Monolocane i Micecars. Oh.

Ecco l’intervista a Faso!

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"Seni, senini, seni!"

È stato il mio latitante (per ora) fratello di parole a leggermi per la prima volta dei passi da Seni, di Ramón Gomez de la Serna, e sono rimasto già allora affascinato contemporaneamente dalla leggerezza e dall’ardore della trattazione. Non ricordo di quali seni avessi sentito parlare, ma ricordo il misto di eccitazione, dolcezza e ironia che pervadeva la descrizione. Così, quando ho visto una vecchia edizione del libro su un banchetto di libri usati, l’ho preso immediatamente, e mi sono gettato a capofitto nella lettura. Proprio nello stesso modo in cui si immerge la faccia tra i seni, godendone del calore, della pienezza, dell’asimmetria, delle loro pulsazioni vitali.
Per me è strano, perché non sono un grande fan delle tette. Nel senso che a volte manco mi accorgo se una ragazza ha il seno grosso o meno. Guardo altro. No, non gettiamoci nella trita diatriba tette/culo. De la Serna sicuramente era un appassionato di tette, non c’è dubbio: solo una grande passione, infatti, permetterebbe descrizioni così esaurienti ma non sterili, precise ma non tassonomiche. Ed era meravigliosamente acuto ed intelligente, perché Seni è un libro ironico e gentile allo stesso tempo.
Le parole di Seni sono tante, ricche e spesso barocche, come nella migliore tradizione della letteratura spagnola, tendenti al surreale. Ma non hanno quasi mai alcunché di artificioso, anzi, individuano profondamente l’origine vitale e naturale dei seni, apprezzandone la varietà e le imperfezioni, in modo molto distante dalla standardizzazione-da-terza-abbondante che ci pervade. Sono belli i seni delle serve, delle monache, delle cantanti d’opera, delle giovinette, delle portiere e delle loro figlie, delle dame, delle danzatrici, proprio perché sono diversi tra loro. I seni si vendono, si comprano, si mangiano, si consumano, si offrono, si suonano, si prendono in giro, si gioca con essi. Vivono, insomma. Sentite qua:

Quel giovanotto aveva la mania di fare con lei lo scherzo del campanello dei seni, e schiacciando il capezzolo con il dito diceva:
– Trin.
– Trin.
– Trin.
Finché un bel giorno il campanello dei seni suonò davvero.

Seni è un atto d’amore poetico e surreale nei confronti delle donne, uno dei più belli che siano mai stati scritti. Perché i seni sono belli proprio perché distanti e diversi da tutto ciò che è maschile. E noi, fanatici o meno delle tette, li guardiamo, li adoriamo, li vogliamo, corriamo loro dietro.

Allorché i seni fuggiranno da noi, ci lasceranno sempre i seni della corsa, i seni della fuga, vaghe siluette di seni come stampi di fumo.

Di |2004-12-06T23:05:00+01:006 Dicembre 2004|Categorie: Paperback Writer|Tag: , , , , |3 Commenti

Come volevasi dimostrare…

Lunedì scorso, tornato da un fine settimana nel profondo nordest, sono stato preso a parolacce da B. “Hijo de puta”, mi ha detto. “Ho letto tuo blog.”
La scena me l’ha raccontata V., ed è stata geniale. Dunque.
Sabato scorso, V. e B. sono andati ad una festa a CasaLogic. Il giorno dopo V. ha mostrato a B. il blog di CasaLogic, pensando di trovarci le foto della festa. A quel punto, B., lasciato alla stato brado, ha iniziato a spulciare i link del loro blog, e si è trovato davanti un post che parlava di un basco appassionato di ciclismo. Strabuzzando gli occhi (presumo), ha chiamato V. e gli ha chiesto delucidazioni.

Risultato? Ovviamente anche B., adesso, ha un blog. Sapete dove mandare le vostre ragacce.

Di |2004-12-03T15:30:00+01:003 Dicembre 2004|Categorie: I Am The Walrus|Tag: , , , , , |5 Commenti

Preparàti al micidiale?

Questa sera a Monolocane un’intervista esclusiva con Alessandro Bergonzoni. Esclusiva nel senso che c’eravamo solo io e lui, questa mattina, nella sala di registrazione della radio. Mi dicono che stasera c’è anche la finale del Grande Fratello. Siccome la “Redazione GF” di Monolocane sarà molto probabilmente assente, ospito opinionisti a caso. Chiamate, scrivete, fate (voi).
Dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz di Città del Capo – Radio Metropolitana, se siete nella città delle tre t. Se siete altrove, o se le consonanti non corrispondono, potete sentire il tutto in streaming dal sito della radio o su RadioNation.

Ecco l’intervista!

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Referrers – Gente che cerca altro -10

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
10. frasi collega pensione

Gli dispiaceva che il Biraghi se ne andasse in pensione. Se lo meritava, eh, dopo trentacinque anni in quel posto, se lo meritava. Ma sentiva che gli sarebbe mancato, dopo quasi venticinque anni passati vicini. “A te non ti mancherà”, gli aveva detto pragmatica sua moglie. “A te ti scoccia che questo vuol dire che anche tu, dopo il Biraghi, te ne andrai in pensione.” E con un perfetto sillogismo, aveva aggiunto: “Il Biraghi se ne va in pensione perché è vecchio, tu senti che questo vuol dire che anche tu tra un po’ andrai in pensione, quindi anche tu sei vecchio.” “Tra un po’”, aveva aggiunto lui, sottovoce. Ma la frase fu coperta da un forte colpo di tosse della moglie, che proiettò delle goccioline di saliva nella minestra che gli stava mettendo nel piatto. “Comunque, se io sono vecchio, anche tu…”, disse, ma non riuscì a finire. “Ci siamo sposati che io avevo ventidue anni, e tu ventisei, ricordi? Bene, fanno quattro anni di differenza. Io avrò sempre quattro anni meno di te. Ah!”, concluse sua moglie, sedendosi davanti a lui con un sorriso di vittoria.
Mangiò la sua minestra e pensò a che regalo fare al Biraghi. “Un pensierino, un biglietto, qualcosa.”
Chiese a suo figlio di mostrargli come funzionava internet. “Ci trovi tutto in rete”, gli aveva detto con una strana espressione. Lui sapeva a cosa suo figlio si riferiva, ma per quello aveva le pubblicità erotiche di notte, che a volte riuscivano anche a risvegliargli qualcosa là. “Usa gugl” aveva aggiunto suo figlio, e, osservando l’espressione del padre, gli aveva pietosamente mostrato il funzionamento del motore di ricerca.  “Quando hai fatto, dimmelo”, gli disse. Poi uscì dalla stanza. Rimasto solo si sentì vecchio. Suo figlio gli aveva rivolto una frase che era più adatta per un anziano genitore che non poteva più badare a se stesso. O per un bambino piccolo che aveva bisogno di aiuto per il post vasino. Guardò per qualche secondo il monitor, poi digitò qualcosa.

Alla festicciola organizzata per il Biraghi, le persone si dividevano in due gruppi: quelli che pensavano “uno in meno”, e quelli che si dicevano “tra un po’ tocca a me”, con un senso di triste sollievo. Quando venne il suo turno, gli si avvicinò con un biglietto in una busta. Biraghi ringraziò e lesse il biglietto: era scritto fitto, con tantissime istruzioni e parole come “template”, “link” e cose del genere.
“Oh”, disse il Biraghi. “Ma che è sta roba?”. “Leggi, leggi, c’è scritto tutto. Apri un blog – me l’ha spiegato mio figlio – e scrivi quello che fai, così non ti annoi, io ti leggo dall’ufficio, magari commento, ci teniamo in contatto, insomma…”
Silenzio.
“Grazie”, disse il Biraghi. Ma si vedeva che non ci aveva capito nulla.

Il treno dei desideri…

Svegliarsi relativamente presto anche la domenica mattina e prendere l’ennesimo treno non è il modo migliore per finire la settimana – se siete cristiani – o per iniziarla – se credete in Film TV o in qualsiasi rivista di programmi televisivi. Ma tant’è, mi preparo ad oltre quattro ore di viaggio.

Il treno è poco affollato, e, nonostante il rincoglionimento, riesco a sentire i discorsi dei miei vicini, tutti di una certa età. Non mi concentro sulle voci, per cui il loro chiacchiericcio diventa un magma indistinto.

– Dove va, signora?
– A Mestre.
– E com’è?
– Bellissima. Poco traffico.
– Ma signora, dove c’è traffico? Ormai…
– Certo che Venezia…
– Ah, sì, Venezia. Mi piacerebbe viverci.
– A chi non piacerebbe… Ci viveva mio cognato, sa.
– Ci viveva? Non c’è più?
– No, se n’è andato, è morto ormai un anno fa.
– Mi dispiace.
– Macchè, uno stronzo tremendo.
– Sa che a Venezia ho mangiato veramente male, l’ultima volta che ci sono andata.
– Signora mia, in Italia si mangia male. Meglio andare all’estero, guardi.
– Ha ragione da vendere.
– Guardi, guardi fuori dal finestrino. Ai miei tempi era tutto identico, Facevo questa strada per andare al lavoro.
– Lei che cosa fa?
– Sono in pensione.
– Ha una bella pensione?
– Sì, non mi posso lamentare. Poi, con questi prezzi bassi… Ieri ho comprato dodici chili di zucchine: sa, costavano così poco.
– Le zucchine costano sempre pochissimo. Anche quando sono fuori stagione.
– A proposito, stiamo proprio vivendo un bell’autunno, no?
– Già, un autunno proprio autunnale, come ogni autunno, del resto.
– Guardi che sole, guardi. Tutto merito di questo governo.

Mi sono svegliato di soprassalto, ansimando.

… coi miei pensieri all’incontrario va.

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