I Me Mine

La Cina è vicina (e gratta insieme a noi)

Qualche giorno fa ho sognato di essere a Pechino. Per strada una marea di gente stava intorno ai televisori esposti nei negozi di elettronica, accesi sui Giochi Olimpici. Un po’ alla volta tutti hanno iniziato a battere le mani a ritmo, come per sostenere gli atleti in gara, sempre più forte, sempre più forte.
Mi sono svegliato, ma il rumore è rimasto.
Erano i muratori che grattavano la facciata del palazzo.

Considerando che siamo vicino a Natale e non ho i soldi per fare i regali, che numeri mi gioco?

Fatto cose, visto gente

Riemergo dalla latitanza con un orrendo post a punti. Ecco che ho fatto negli ultimi giorni:

  • sono tornato all’insegnamento, dopo qualche anno, e ho constatato orrendamente che il luogo comune che stiamo peggiorando in regressione geometrica è orrendamente vero;
  • ho lavorato al sito di Maps, con molta soddisfazione: approfittatene e scaricatevi l’impossibile;
  • ho lavorato a questo (e ancora ce n’è da fare, prima del 24);
  • ho visto La terza madre: ma tanto il mio “senso del brutto” è crollato prima perché sono andato a vedere anche Profondo Rosso – Il musical (per la serie: facciamoci del male);
  • ho ricevuto una lettera che, in sostanza, diceva che avrei dovuto pagare entro la metà di dicembre, per spese varie, esattamente la stessa cifra che sto cercando di mettere da parte con lavori e lavoretti vari; visto che il numero è di tre cifre, li divido e mi gioco un ambo al lotto, che dite?
  • ho visto un concerto bellissimo, con due band in gran forma…

… e se penso a quel post, che funge quasi da paletto, beh, ho appena iniziato. Sono a pezzi per la stanchezza, ma proseguo.

Se

Se dovessi elencare tutte le cose che sto facendo in questi giorni, non basterebbero mille righe.
Se tutto quello che sto ideando, pensando, progettando, rifinendo, chiudendo in questi giorni dovesse andare in porto, potrei diventare ricco&famoso, addirittura.
Se non sapessi come possono andare male le cose, scriverei questo post in corpo 72, e avrei un sorriso meno dolce di quello che ho adesso.
Se le giornate fossero di trenta ore, avrei comunque poco tempo per fermarmi a respirare.
Se amici e conoscenti si sposassero con il ritmo con cui stanno convolando a nozze tutti in questo periodo, passerei i fine settimana in giro per matrimoni e basta.
Se avessi lo spazio mentale di pensare a qualcos’altro rispetto alle mille cose che sto facendo, scriverei qualcosa di diverso, qui.
Se non continuassi ad amare la scrittura visceralmente come faccio, avrei fatto passare qualche altro giorno prima di aggiungere delle parole a questo blog.
Se avesse un sito, ve lo segnalerei: ma comunque, anche senza sito, lunedì prossimo alle 16 parte la nuova trasmissione del pomeriggio su Città del Capo – Radio metropolitana. Si chiama Maps, e altro preferisco non dire.
Se fosse qualcun’altro a condurla, mi sperticherei in lodi preventive, ma ai microfoni ci sarò io, e quindi non mi pare carino.

Vi aspetto, però. In streaming qui o sui 96.250 e 94.700 MHz a Bologna e provincia.

Se sapessi dove sono diretto davvero, vi darei un appuntamento alla meta.
Ma intanto, vado.

Tema: "Le tue vacanze"

Sono stati giorni splendidi, oh, sì. Ecco quello che ho fatto:

  • dormito;
  • mangiato (da ricordare dello splendido tonno alla brace e delle salsicce incredibili);
  • bevuto (il Bordeaux, anche quello di qualità, costa pochissimo perfino in Corsica, e ho quasi imparato a fare i mojito);
  • andato al mare (se volete farvi del male, date un’occhiata al pur sempre valido A Pic in the Life o alla mia immancabile pagina di Flickr);
  • letto due libri: una raccolta di tre atti unici di Woody Allen, Sesso e bugie (qualsiasi cosa faccia Woody Allen mi fa stare bene e mi dà senso di familiarità, anche quando, come in questo caso e altri, non c’è nulla di nuovo) e una biografia di Frank Zappa che mi ha fatto capire, ancora una volta, che per comprendere il genio e l’opera di Zappa ci vuole una vita. C’è qualcuno di voi che lo conosce bene e mi dà delle lezioni?
  • sentito un bel po’ di dischi e musica: niente di nuovo, a dire il vero, a parte il programma della BBC per celebrare il quarantennale di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, andato in onda agli inizi di giugno. Hanno chiamato delle band britanniche (manco le migliori o le più in vista, a parte rari casi) e hanno detto loro: oh, se volete registrate una traccia del disco, ma, eheh, con i mezzi e gli strumenti di allora. Pare che molti abbiano gettato la spugna. Il risultato finale non è male, anche se sono davvero poche le cover degne di nota. Potete sentire il tutto in streaming qui;
  • giocato con la mia nuova macchina fotografica: in un giorno di pioggia ho realizzato il mio primo squallido filmino in stop motion, Reperibilità. Quindi pregate che il mio autunno sia soleggiato e molto impegnato. Sulla seconda caratteristica, però, potrei scommetterci.

Corsi e ricorsi

Finalmente parto, me ne vado. Esattamente come nell’estate di quattro anni fa, quando aprii il blog, raggiungo la Corsica. Nel 2003 il viaggio era stato un giro completo dell’isola pernottando in diversi campeggi. Quest’anno io e i miei tre compagni di avventure siamo talmente distrutti che, come le civiltà più evolute, abbiamo optato per l’essere stanziali, abbiamo affittato una casa e non ci muoveremo da Saint Florent. Ma credo che trascorrere otto giorni nel posto che vedete raffigurato in foto non sarà male.

Ho bisogno di ricaricarmi, di rimettermi insieme, di recuperare energie: mi aspetta un nuovo inizio a settembre, un po’ come fu qualcosa di nuovo aprire questo blog, che festeggia il suo compleanno, ancora una volta, in mia assenza.

Statemi buono.

Di |2007-08-10T15:11:00+02:0010 Agosto 2007|Categorie: I Me Mine, There's A Place|Tag: , , |5 Commenti

Love (Hate Love) Street

In questi giorni di caldo torrido, quando le finestre sono aperte soprattutto di notte, mi accorgo di una peculiarità della strada dove abito. È una piccola traversa, molto vicina a grandi piazze e grandi vie del centro di Bologna, e questo suo essere defilata e allo stesso tempo centrale, la rende una specie di retroscena naturale di ciò che accade sul palcoscenico della città. In particolare per quanto riguarda drammi e commedie romantiche.

Sì, è una via in cui la gente si ama o si odia, senza mezze misure. Capita di vedere quelli che sembrano essere primi baci, altri che sembrano sancire unioni clandestine, altri ancora che preludono ad una serata-che-è-tutto-un-programma. In questo caso si sente poco, si vedono ombre abbracciate e appoggiate ad una colonna, sussurri tra un bacio e un altro. Ma nella mia strada le coppie si lasciano, litigano, urlano contro qualcuno dall’altra parte della cornetta o a pochi passi da loro. La strada è stretta, e anche se sono in casa, le voci rimbalzano e raggiungono tutte le finestre aperte, facendo penetrare in camere e salotti dolore, sarcasmo, spesso pianti e grida. Capita che io e i miei vicini ci affacciamo alle finestre, quando le urla si fanno talmente forti da rendere roche le voci e da bruciare le gole. Tuttavia spesso non vediamo da dove vengono, queste grida, nascoste dai portici, e aspettiamo, con apprensione e tenerezza, che vengano soffocate da un bacio riappacificatore e che tutto torni quieto, dopo qualche bisbiglio.

Di |2007-07-30T19:24:00+02:0030 Luglio 2007|Categorie: I Me Mine, I've Just Seen A Face|Tag: , , , , , , |5 Commenti

Strangers in a strange land

Affrontiamo oggi un argomento scottante, ma che in questo periodo di saldi è quanto mai di attualità. Sto parlando dell’accompagnare una donna a fare shopping. Il contesto è uno di quelli in cui le parificazioni tra i sessi non contano nulla: in un negozio di abbigliamento femminile (che venda scarpe, intimo o burqa) l’uomo e la donna stanno su due piani radicalmente e indissolubilmente differenti. Alla donna interessa quello che sta facendo, all’uomo no.

Nei negozi di intimo si possono creare situazioni spiacevoli, che non accadono, per dire, nelle corsie riservate all’intimo di un grande magazzino. Caratteristiche del negozio di biancheria intima sono la sua peculiare dimensione, visto che di solito è grande come uno sgabuzzino, e il fatto che – incredibile – la maggior parte della clientela è di sesso femminile ed è lì per comprare biancheria intima. Fino a che l’uomo sta vicino alla donna può consigliarla, con estrema malizia, facendo battute sconce, cercando di non indicare reggiseni sovradimensionati rispetto al petto della partner. Ma soprattutto gli uomini possono perdersi negli sguardi delle modelle delle gigantografie, modelle che di solito vestono sì e no con 12 grammi di acrilico in tutto. Se si guarda intorno, l’uomo inevitabilmente verrà accusato di fare confronti con altre donne presenti nel negozio. Il che, beninteso, è assolutamente vero: d’altro canto, in un contesto del genere, è difficile non fantasticare su sconosciute in biancheria intima. Basta spostare i reggiseni dalle loro mani che soppesano elastici e controllano coppe, alla loro naturale posizione, ben visibile, peraltro, in questa stagione.
Il dramma avviene quando la donna, contenta delle sue scelte, va a provare la biancheria. L’uomo, in quel momento, è solo, e sbaglia comunque, qualsiasi cosa faccia. Se rimane immobile, ecco che tutte pensano che sia un feticista del pizzo. Se si guarda intorno, palpando la merce, questo pensiero si fa certezza. Non può neanche cercare complicità negli altri uomini, a differenza di quanto accade in altri negozi. Se accompagnati, gli altri uomini saranno presi da una giustificata gelosia, visto che l’uomo in questione, come loro stessi hanno fatto, starà fantasticando sulle donne presenti nel negozio vestite solo di autoreggenti e baby doll. Se soli, potranno scambiare lo sguardo-da-richiesta-d’aiuto come una perversa forma di rimorchio omosessuale decontestualizzato. Disperato, l’uomo tenta di avvicinarsi ai camerini, per sollecitare la donna a muoversi, ma non appena si avvicina alle cabine, viene cacciato di malomodo nel negozio, ponendo fine ai suoi problemi.

Nei negozi di abbigliamento la situazione è meno drammatica. Sono più grandi, è più facile passare inosservati, e soprattutto si viene a ricreare quella ancestrale forma di solidarietà maschile che anni di progressismo hanno tentato di cancellare, senza risultati. Come in uno spogliatoio, in un bar o in una trincea, nei negozi di abbigliamento femminile gli uomini fanno subito amicizia. Seguendo istinti di sopravvivenza si attaccano l’uno all’altro, trovano sicurezza in individui simili a loro che seguono passo passo donne che li usano come attaccapanni, e li riempiono di borse, sciarpine, foulard, gonne e camicette. Nei negozi di abbigliamento si sentono cori maschili che intonano parole come “Ti sta benissimo”, con voce priva di tremori, perché sanno che un’incertezza nel giudizio richiesto può costare cara. Nelle corsie ricolme di top, uomini di tutte le età si guardano e si dicono silenziosamente “E che dobbiamo fare”, guardano furtivamente l’orologio, si muovono come le oche di Lorenz dietro a donne in vena d’acquisti senza fare domande, senza fiatare, sopprimendo ogni dissenso, zitti e mosca.

Gli uomini che accompagnano le donne nei negozi di abbigliamento, umiliati, ridotti a reggiabiti e a dispensatori di complimenti, soffrono. Ma resistono come soldati, spinti da un’unica speranza: che almeno quella sera, poi, si riesca a trombare.

Cinematografo musicale

Non è la prima volta che mi capita di vedere un film muto musicato dal vivo: l’attività della Cineteca di Bologna è ed è stata molto ricca da questo punto di vista. Ma il primo film concerto di Chapliniana di ieri, al Teatro Comunale, è stato davvero particolare. Non tanto per la qualità delle proiezioni: il restauro delle pellicole nel Progetto Chaplin è straordinario, e il bianco e nero di A Dog’s Life, Shoulder Arms e The Pilgrim era splendente come se i film fossero appena stati girati. E neanche per la qualità dell’orchestra del Comunale. Nonostante la bravura del direttore Timothy Brock, un uomo che potrebbe tranquillamente stare in un film di Chaplin, l’esecuzione non è stata perfetta (e lo scrivo con enorme rammarico).

No, la serata è stata particolare per il pubblico in sala. Persone eleganti e vestite sportive, giovani e vecchi, uomini e donne, che ridevano a crepapelle, con risucchi, singulti, singhiozzi e borbottii, senza il minimo pudore, come se le comiche fossero state lì solo per loro. E soprattutto i bambini: ne ho visti due in particolare, due bambine che sono entrate nel teatro e da come si guardavano intorno era evidente che fosse la prima volta. Ho pensato alla fortuna che avevano, di entrare per la prima volta in un teatro per vedere tre mediometraggi di Chaplin musicati dal vivo da un’orchestra sinfonica. Queste bambine hanno avuto un saggio di cos’era il cinema, e io l’ho capito dai loro occhi, enormi e curiosi, e dal loro sguardo sognante, che avrebbe commosso per primo Charlot.

Back from the New York Groove

Sono tornato. Martedì scorso, per la precisione. Ma ho avuto da fare.
In molti mi hanno chiesto “com’è andata, che hai visto, che hai fatto”, ma le parole che trovo sono poche, ripetitive, legati a piccoli episodi.

Quindi, per il momento, andate a vedere A Flickr in the Life, aperto appositamente per ospitare una selezione del mezzo migliaio di foto che ho fatto tra NYC e Boston con la cara vecchia Rollei e con la macchinetta digitale con cui scatto le foto di A Pic in the Life. Fatemi sapere che ne pensate.

Le parole verranno, sperando siano all’altezza della meraviglia che ho vissuto per dieci giorni.

Ten Days in the Life

“Capitolo primo. Adorava New York. La idolatrava smisuratamente”. No, no, è meglio “La mitizzava smisuratamente”, ecco. “Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero, e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin”. Ahhh, no, fammi ricominciare da capo. “Capitolo primo. Era troppo romantico riguardo a Manhattan, come lo era riguardo a tutto il resto. Trovava vigore nel febbrile andirivieni della follia e del traffico. Per lui New York significava belle donne, tipi in gamba che apparivano rotti a qualsiasi situazione”. Eh, no… stantio, roba stantia… di gusto uhm… Insomma, dai, impegnati un po’ di più. Da capo. “Capitolo primo. Adorava New York, anche se per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea. Com’era difficile esistere in una società desensibilizzata dalla droga, dalla musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia”. Troppo arrabbiato. Non voglio essere arrabbiato. “Capitolo primo. Era duro e romantico come la città che amava. Dietro i suoi occhiali dalla montatura nera, acquattata ma pronta al balzo, la potenza sessuale di una tigre”. No, aspetta, ci sono. “New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata”.

Ci rivediamo tra una decina di giorni.

Di |2007-04-19T22:54:00+02:0019 Aprile 2007|Categorie: I Me Mine, There's A Place|Tag: , , , |17 Commenti
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