I’m Happy Just To Dance With You

Un altro offMaps

Domani a Bologna dovevano esserci gli Happy Mondays, ma niente, il concerto è stato annullato. Siamo però qui pronti a darvi un’alternativa: a Leggere Strutture, in via Ferrarese, con la complicità dell’Officina Letteraria Ultima Sigaretta, ci sarà un nuovo appuntamento con offMaps. Si tratta di una “trasferta” della trasmissione radiofonica che conduco ogni pomeriggio: rimane la formula della chiacchiera libera e del minilive, ma tutto viene fatto dal vivo, e non irradiato. Insomma, o siete là presenti, dalle 21 circa, o ciccia.

L’ospite di offMaps@Leggere Strutture sarà Marco Parente, che da qualche mese ha pubblicato il suo disco La riproduzione dei fiori. Chiacchiererò con lui del suddetto disco e di altre amenità, e lui suonerà dei brani del disco in una speciale versione acustica, con voce, chitarra e piano. Marco sarà ospite di Maps domani pomeriggio.
Insomma, siateci. Gli Happy Mondays, comunque, non vi meritavano.

La prima volta di “Smells Like Teen Spirit”

Devo avere sentito la canzone cardine degli anni ’90, per la prima volta, intorno alla fine del 1992: i dischi arrivavano lentamente in provincia, come tartarughe spiaggiate. Ma, oltre ai Nirvana e al loro entourage, altri esseri umani la sentirono per la prima volta nell’aprile del 1991, il 17 per la precisione, in un concerto all’OK Theatre di Seattle, mesi prima dell’uscita di Nevermind.

Se i miei ricordi rispetto al primo incontro con “Smells Like Teen Spirit” sono confusi, non penso possano esserli quelli degli spettatori che si vedono nel video qua sotto.

Sì, lo so che era meglio scrivere questo post il 17 di aprile, ma fate che sia lo stesso, eh.

Electroche?

Nella foto: il Roland TB-303, ciò da cui tutto (o quasi) ebbe inizio.

Frequento in vari modi la musica da quando ero piccolo, ma non posso di certo dire di saperne di musica. Conosco bene alcune cose, moltissime in maniera approssimativa e altrettante mi sono quasi del tutto ignote.

Per questo mi sono divertito molto (e ho imparato un sacco) da questo link che mi ha passato S.: si tratta di una “guida alla musica elettronica” dalle origini ad oggi. Ci sono canzoni da sentire, mappe da navigare, collegamenti interessanti e, se avete voglia di mettervi a leggere, un “tutorial” (che in realtà è un’introduzione all’argomento) a tratti spassoso.

Quarto viaggio di Maps negli USA

Se il post di ieri si chiudeva con “Signora mia, sono soddisfazioni”, questo si dovrebbe aprire allo stesso modo.

Dopo la comparsa di Maps su Pitchfork nel dicembre 2007, marzo 2008 e marzo di quest’anno, ecco che qualche giorno fa la session registrata nei nostri studi a novembre con i Male Bonding è finita qua.

Ma la cosa che davvero mi e ci inorgoglisce è la definizione che l’articolo dà della radio nella quale lavoro da dieci anni: “one of the largest independent radio stations in Italy”.

Arrossisco.

Tutto fatto a mano


Dopo cinque anni è una certezza: parlo dell’Handmade Festival, creato con amore e gioia da bei guaglioni per onorare, con concerti, cibi e divertimento, la Festa del Primo Maggio. Andateci: c’è il meglio della musica che si può ascoltare in giro. Gratis.

Qua le informazioni su MySpace, qua su Facebook.

Vita e miracoli di John Grant

John Grant

Spero che nessuno mai decida di fare un film su John Grant: la storia, purtroppo, sarebbe già pronta. Un giovane cresciuto nel Michigan religioso e silenziosamente intollerante forma una band, con la quale pubblica sei dischi. Nel frattempo affronta lo scontro tra l’educazione che ha ricevuto e la sua omosessualità. Con questa spina nel fianco, manda a rotoli tutto, stacca la spina agli Czars (questo il nome del gruppo) e si perde tra droghe e alcool.
Infine, un paio di anni fa, scopre che i Midlake (altra band da tenere d’occhio) sono suoi grandi fans e i ragazzi (che hanno una decina d’anni meno di Grant) lo convincono a tornare alla musica: lo aiutano a produrre il disco, che viene registrato con la loro diretta collaborazione nel loro studio. Esattamente un anno fa esce Queen of Denmark, un capolavoro, che conquista critica e pubblico e diventa il disco dell’anno per la rivista Mojo.

Capirete con quale trepidazione sia andato martedì sera a vedere John Grant in concerto in una chiesa fuori Bologna: è stato semplicemente eccezionale. Accompagnato solo da un pianista, con una strumentazione composta da sole tre tastiere, Grant ha raccontato se stesso come nel suo album. Sedici brani tratti da Queen of Denmark, ma anche inediti e altri recuperati dai dischi degli Czars, ognuno dei quali è stato introdotto da qualche parola. Se la “Little Pink House” che ha chiuso il live è la casa dove la nonna di Grant ha vissuto per 70 anni (un record per una statunitense, come lui stesso ha sottolineato), “It’s easier” è un omaggio a certa musica degli anni ’80 e “Chicken Bones” si interroga sulla contraddizione che Grant ha vissuto quando ha percepito del razzismo nei suoi comportamenti, nonostante la sua omosessualità in teoria dovesse renderlo tollerante per primo. Attraverso ogni canzone, un pezzo di vita, un trasloco, un’amica lontana, un amore non corrisposto, un luogo frequentato da bambino. Quando poi è stata la volta di “JC Hates Faggots” John Grant non ha potuto non notare, con sottile ironia, che a 42 anni è arrivato a cantare quella canzone in una chiesa…
Un’ora e mezzo stupenda, quella di martedì sera, impreziosita da nuovi arrangiamenti creati per i brani in scaletta: non c’erano le chitarre e le armonie vocali dei Midlake, nella piccola chiesa che ha ospitato il concerto, ma le linee di sintetizzatore e le parti per pianoforte sono state efficaci e hanno fatto risaltare ancora di più la splendida, ferma e commovente voce baritonale di Grant.
Speriamo che nessuno faccia un film sulla vita e il miracolo di John Grant: sarebbe comunque inferiore a come lui stesso si racconta, in maniera intima, diretta e sobria, ad ogni concerto.
John Grant: live in Castenaso, Bologna, Italy. Setlist: You Don’t Have To – Sigourney Weaver – Where Dreams Go To Die – Marz – Outer Space – Chicken Bones – Silver Platter Club – It’s Easier – JC Hates Faggots – TC and Honey Bear – LOS – Drug – Queen of Denmark – Fireflies – Caramel – Little Pink House.

Due geni molto diversi tra loro

La cosa sorprendente di questo video che ritrae due miti del Ventesimo secolo è che ci dà la prova che Zappa, e la sua precisione, pignoleria, considerazione di sè, genialità, possono essere battute dall’anarchia surreale di uno dei più grandi comici mai esistiti, John Belushi. Una manciata di minuti di godimento puro che ho provato a caricare su Youtube, ma che il sistema ha rifiutato. Poco male. Ce li ha Dailymotion.

http://www.dailymotion.com/swf/video/x3cqe
Frank Zappa – John Belushi di samithemenace

Record Store Day, ovvero: un'altra scusa per parlare di musica e ricordi

Sabato si celebra (soprattutto nei Paesi anglosassoni, a dire il vero) il Record Store Day: una ricorrenza probabilmente necessaria, visto che oggidì è assai bassa la percentuale di musica che ascoltiamo nelle nostre case che arrivi effettivamente da un negozio di dischi.
Gli amici di Vitaminic mi hanno chiesto di scrivere un post su questa peculiare giornata, e io non ho potuto fare a meno di pensare al Music Shop di Gorizia, la mia città natale.

Negli anni ’90, quando montò in me e nei miei amichetti, la passione per la musica suonata, sentita, illustrata, c’erano diversi negozi di dischi a Gorizia: ma sentivamo che il gestore del Music Shop era il solo che ne capisse effettivamente di musica. Era un tipo allampanato e gentile, alto e magro, con gli occhi azzurri ma perennemente arrossati e la barba sempre incolta. Oggi, col famoso senno di poi, avrei almeno una decina di ipotesi per passare una serata affinché questo aspetto governi la faccia di chiunque per il giorno successivo, ma allora le caratteristiche fisiche del gestore erano tutt’uno con quelle del suo negozio: la disposizione dei dischi negli espositori, l’odore dell’aria, il tintinnio del campanello che segnalava l’entrata o l’uscita di un cliente.
Di certo il gestore del Music Shop aveva dei suoi gusti precisi, che lo portavano a disapprovare in silenzio molte delle cose che compravo: d’altro canto ero un ragazzino dai gusti (allora come oggi) molto eclettici, che un giorno comprava la cassetta di Icon dei Paradise Lost e qualche giorno dopo cercava A love supreme di Coltrane in cd.
Ma ci sono due dischi legati in maniera indissolubile a quel negozio: due dischi usciti entrambi nell’annus mirabilis 1994, tra i miei 15 e 16 anni. Il primo è Live through this delle Hole, il secondo Unplugged in New York dei Nirvana. Comprai il secondo disco delle Hole e fu una delusione, non tanto per la qualità dei brani, ma per il rapporto quantità/prezzo: trentasettemila lire per trentotto minuti di musica. Ci rimasi malissimo e la delusione bruciò a tal punto che, ancora oggi, quando lo sento non riesco a non immaginare un contatore con la faccia della Montessori che cambia, rimanendo identica a se stessa, una volta ogni sessanta secondi e rotti.
Il secondo, invece, fu lungamente atteso: passavo e ripassavo per vedere se era arrivato (ma vi immaginate una cosa del genere oggi?), finché una volta entrai nel negozio e il gestore lo tirò fuori da una scatola. Il testamento di Kurt Cobain, morto qualche mese prima, era nelle mie mani. Lo portai a casa, lo scartai e venni invaso dall’odore di carta del libretto, ruvido, composto da foto e illustrazioni con i colori saturi, che stridevano con la tristezza del disco.
Lo annuso sempre, quel cd e, credetemi, l’odore di carta c’è ancora, solo un po’ affievolito dagli anni.
E c’è ancora il Music Shop, a Gorizia, e mi hanno detto sia gestito dalla stessa persona, ma non ci sono più tornato da quando, nel 1996, ho lasciato la mia città natale. L’ultima volta che sono stato a Gorizia era chiuso, ma ho evitato di sbirciare l’interno del negozio, per non sapere. Alla prossima occasione farò tintinnare il campanello, varcherò la soglia del Music Shop  e mi proietterò di nuovo nel 1994. Mi piace immaginare che tutto sia rimasto identico, a parte, forse, il mio sguardo un po’ più consapevole che incontrerà quello (ancora arrossato, ci potrei giurare) del gestore, prima di iniziare a parlare, con una scusa qualsiasi, di musica.

Tre colpi di Calibro 35

Questa sera, al Cinema Teatro Perla di Bologna, i Calibro 35 suoneranno dal vivo la colonna sonora del film Milano odia: la polizia non può sparare, cupissimo poliziesco di Umberto Lenzi del 1974, una delle colonne del “noir” italiano.

Con mio sommo godimento, nel pomeriggio di oggi i Calibro saranno nella trasmissione che conduco per la terza volta per un live in diretta negli studi di Città del Capo – Radio metropolitana, a partire dalle 1530.
Sarà difficile che riusciate a sentire un live migliore in radio, dico davvero. I video delle precedenti esibizioni a Maps che riporto qua sotto dovrebbero confermarvelo.

[youtube=http://youtu.be/RD-VkVppMnQ]

[vimeo http://www.vimeo.com/18006296 w=500&h=281]

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