Paperback Writer

"Seni, senini, seni!"

È stato il mio latitante (per ora) fratello di parole a leggermi per la prima volta dei passi da Seni, di Ramón Gomez de la Serna, e sono rimasto già allora affascinato contemporaneamente dalla leggerezza e dall’ardore della trattazione. Non ricordo di quali seni avessi sentito parlare, ma ricordo il misto di eccitazione, dolcezza e ironia che pervadeva la descrizione. Così, quando ho visto una vecchia edizione del libro su un banchetto di libri usati, l’ho preso immediatamente, e mi sono gettato a capofitto nella lettura. Proprio nello stesso modo in cui si immerge la faccia tra i seni, godendone del calore, della pienezza, dell’asimmetria, delle loro pulsazioni vitali.
Per me è strano, perché non sono un grande fan delle tette. Nel senso che a volte manco mi accorgo se una ragazza ha il seno grosso o meno. Guardo altro. No, non gettiamoci nella trita diatriba tette/culo. De la Serna sicuramente era un appassionato di tette, non c’è dubbio: solo una grande passione, infatti, permetterebbe descrizioni così esaurienti ma non sterili, precise ma non tassonomiche. Ed era meravigliosamente acuto ed intelligente, perché Seni è un libro ironico e gentile allo stesso tempo.
Le parole di Seni sono tante, ricche e spesso barocche, come nella migliore tradizione della letteratura spagnola, tendenti al surreale. Ma non hanno quasi mai alcunché di artificioso, anzi, individuano profondamente l’origine vitale e naturale dei seni, apprezzandone la varietà e le imperfezioni, in modo molto distante dalla standardizzazione-da-terza-abbondante che ci pervade. Sono belli i seni delle serve, delle monache, delle cantanti d’opera, delle giovinette, delle portiere e delle loro figlie, delle dame, delle danzatrici, proprio perché sono diversi tra loro. I seni si vendono, si comprano, si mangiano, si consumano, si offrono, si suonano, si prendono in giro, si gioca con essi. Vivono, insomma. Sentite qua:

Quel giovanotto aveva la mania di fare con lei lo scherzo del campanello dei seni, e schiacciando il capezzolo con il dito diceva:
– Trin.
– Trin.
– Trin.
Finché un bel giorno il campanello dei seni suonò davvero.

Seni è un atto d’amore poetico e surreale nei confronti delle donne, uno dei più belli che siano mai stati scritti. Perché i seni sono belli proprio perché distanti e diversi da tutto ciò che è maschile. E noi, fanatici o meno delle tette, li guardiamo, li adoriamo, li vogliamo, corriamo loro dietro.

Allorché i seni fuggiranno da noi, ci lasceranno sempre i seni della corsa, i seni della fuga, vaghe siluette di seni come stampi di fumo.

Di |2004-12-06T23:05:00+01:006 Dicembre 2004|Categorie: Paperback Writer|Tag: , , , , |3 Commenti

Da grande farò il pompiere! Nel frattempo presento libri scritti da altri…

Il detentore di questo blog vorrebbe scrivere. Diciamo che un po’ lo fa. Ma ultimamente è molto richiesto per presentare i libri degli altri, come è già successo recentemente.
Intanto stasera ho l’onore di introdurre quella che più che una serata sarà una sessione di ricordo collettivo. Alle 22 qui presenterò il gioiellino di Matteo B. Bianchi Mi ricordo.
Lunedì tocca al libro-di-cui-tutti-parlano, proprio La notte dei blogger. Presenti numerose guest star allo Zo Caffè.
Venerdì 12 un gradito ritorno: si torna dentro l’ascensore di Blackout, concepito dal vecchio Moroz. Letture suggestive con musica dei miei amati Nine Inch Nails, sempre in quel di Villa Serena.
Per essere completi in questo disegno cosmico, ripresenterò Blackout lunedì 22 allo Zo Caffè.

E per concludere logicamente dovrei presentare La notte dei blogger a Villa Serena. Oppure Mi ricordo allo Zo Caffè. E invece no. Il ventisette andrò ad una presentazione a Trieste, ma come co-autore. Che disdetta.

"Poiché ecco, era là"

Lo vedevo quasi ogni giorno, nella libreria, che mi guardava in maniera discreta. Ma io facevo finta di niente. “Insomma”, mi dicevo, “mica posso leggerlo quando capita: è un libro importante, uno di quelli di cui si parla ancora tanto, di una delle autrici fondamentali del ventesimo secolo. Ci vuole il momento propizio per iniziarlo.” E non lo leggevo mai, come è facile immaginare.
Poi l’ho preso, l’ho aperto, ho riconosciuto con un sorriso la prima nota frase (“La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei”), l’ho guardata e non l’ho letta e sono entrato nel romanzo, esattamente con la stessa emozione con cui ci si tuffa nell’acqua: farà freddo, il corpo reagirà allo shock, si fluttuerà poi tra le parole.
L’acqua era piacevolmente calda, più del previsto.
Non è stata una lettura complessa, perché mi sono dimenticato subito di avere a che fare con un Capolavoro: ero troppo impegnato a seguire i pensieri dei personaggi, anche se “impegnato” non è la parola giusta. Diciamo meglio: “scorrevo” con i pensieri dei personaggi, su e giù, dentro e fuori, come nell’acqua e le parole mi urtavano e mi facevano rotolare e mi rimettevano in piedi, per urtarmi di nuovo.

Volubile, tremebondo, l’orologio in ritardo spandeva la sua voce nella scia del Big Ben, il grembo pieno di minuzie. Battuti, sbaragliati dall’assalto dei carri, dalla brutalità dei furgoni, dall’avanzare impaziente di legioni di uomini angolosi, di donne sfarzose, dalle cupole e dalle guglie di caseggiati e di ospedali, come la spuma di un’onda esausta, gli ultimi avanzi di quella grembiulata di minuzie parvero infrangersi sul corpo di Miss Kilman, che sostava un istante immobile in strada per mormorare: “E’ la carne!”.

Ho atteso anche io la festa della signora Dalloway, e ho cercato di scambiare qualche parole con ciascuno degli invitati, mi sono emozionato (c’era il Primo Ministro, lo sapevate?), ho ammirato la compostezza della padrona di casa. Sono impazzito con Septimus, ho pianto con Peter Walsh. Sembrano frasi fatte, ma non lo sono. Quando si sta nell’acqua ogni movimento ed emozione è naturalmente spontaneo e aggraziato.
Poi ho finito il libro. E ho percepito la fine di Virginia Woolf.

… e si sentì sopraffare da una pena che sorse come una luna vista da una terrazza, che l’ultima luce del giorno morente inondi di spettrale bellezza.

Di |2004-10-12T15:19:00+02:0012 Ottobre 2004|Categorie: Paperback Writer|Tag: , , |23 Commenti

Càpita

Mi capita, a volte, di mandare degli scritti in giro.
Mi capita spesso che questi scritti non vengano considerati.
A volte capita che vengano pubblicati.

Ma spero che ciò che mi è accaduto ieri capiti una tantum.
Tempo fa mando delle mie poesie ad una rivista letteraria, o sedicente tale. Non ricevo alcuna risposta, fino a che, qualche giorno fa, trovo una mail intitolata: “E’ uscito il primo numero di Rivista”. Il testo della mail è formattato malissimo: al posto di ogni accento e ogni apostrofo, un punto interrogativo. “Curioso”, pensai. “Simbolico”, penso ora. Ma andiamo con ordine. Leggo il testo della mail e trovo il mio nome tra gli autori pubblicati. “Però almeno una mail personale per avvisarmi…” In fondo alla selva di “?” ci sono le indicazioni per avere la rivista. “Manco gratis?”, mi chiedo. Costa cinque euro a copia. Scrivo per chiedergli come mandare i soldi e se ci sono spese di spedizione. La risposta è breve e concisa, come un comunicato dell’Anonima Sarda.
Nessuna spesa di spedizione. Appena arriva l’ordine spediamo. Nascondi il dinero (sic) e scrivi il motivo della spedizione.
E poi una firma, con il solo cognome di uno dei redattori della rivista.
Metto i cinque euro in una busta e aspetto.
La rivista arriva ieri. Ha un’impaginazione, una carta e una qualità di stampa pessima. Ma passino, queste cose. Hanno pubblicato due poesie tra quelle che più mi piacciono, ma:
– di una hanno tagliato l’epigrafe, senza ovviamente chiedermi niente né avvisandomi;
– dell’altra hanno stampato l’ultimo verso nella pagina successiva;
– hanno sbagliato a scrivere il mio cognome.

Mi capita, a volte, di incazzarmi come una bestia.

Sospensioni: una brutta storia di rumori molesti, soldi e ventiseienni che attendono

Regolarmente, accade di nuovo. Forse vivo in una strada di Bologna particolare, ma sembra che i palazzi qui intorno necessitino sempre di lavori. Alle otto e trenta precise, sento un rumore sordo e lontano. Poi sento vibrare leggermente il letto, e tento di non pensare al rumore e di farmi cullare dalla vibrazione.
A quel punto mi immagino un capo cantiere che, come un direttore d’orchestra, dà il via alla sezione degli scalpellini. Ogni colpo di martello mi penetra nel cranio. Nessuna piacevole vibrazione, in quel caso. A volte mi riaddormento, a volte no. Quando non mi riaddormento mi alzo e tento di focalizzare da dove provenga il rumore. Vado nell’altra stanza, mi affaccio in strada, niente. E quando sono completamente sveglio, il rumore cessa. Sono tentato di tornare a dormire. Ma rimango sospeso, sentendo ancora vibrazioni che non esistono più.

Il bancomat mi guarda. Io lo guardo. Poi infilo la tessera a tradimento.
Non è possibile effettuare prelievi.
Cazzo devo prelevare? Il saldo, per favore.
Oh, Cristo. Ma sei di coccio, eh? Già ne abbiamo parlato.
Il saldo, porca puttana.
No, non mi va. Prova qui a fianco.
Ptui. La tessera esce, il bancomat distoglie lo sguardo.
Lo sportello accanto è più simpatico nei modi. Ma mi conferma che ancora non mi hanno pagato.
Telefono a chi mi deve pagare. Mi dicono che hanno fatto il pagamento, ma c’è da aspettare qualche giorno.
I miei quattrocento euro sono sospesi, da qualche parte, tra la scuola in cui ho insegnato e il mio conto corrente. Sono immobili a mezz’aria, loro, non vibrano.

Iniziano ad arrivare i primi pareri sul romanzo, da parte dei selezionatissimi lettori. Sono buoni. L’Editore non si fa sentire, è troppo presto. Il punto è che deve piacere a lui. Non si pubblica un libro per consenso popolare, purtroppo. Aspetto.

Mercoledì inizio la formazione per un lavoro. Contratto di un anno. Part time, ovviamente. Passo le mie ultime giornate da non lavoratore ascoltando The Winding Sheet in continuazione. Mica sto male, no. Solo, aspetto, sospeso, che un altro tassello di quella che chiamano età adulta mi si appiccichi addosso. Bevo e fumo. Stasera sarò in vicolo Bolognetti. Mi riconoscerete. Sono quello che fluttua.

Comunicazioni di servizio. Stanotte non sono in onda. Ma dalla prossima settimana, si inizia alle ventidue e trenta. Scatti di carriera: il prime time si avvicina.

Prima stesura

Ci ho messo molto, moltissimo a leggere Underworld. Verso la fine ho sentito, più che con altri libri, il senso di dispiacere per l’approssimarsi della fine, del distacco.
Quando ci si separa allo stesso modo dalle proprie parole, invece, c’è un senso diverso. Non l’ho mai chiesto a mia madre, ma sono sicuro che stiamo provando cose simili: lei che mi vedeva andare a scuola per la prima volta, io che guardo il mucchio di fogli accanto a me, pronti per essere spediti all’Editore.
Nessuna tristezza, un misto di gioia per la procreazione e normale, genitoriale preoccupazione.

Di |2004-06-17T02:56:00+02:0017 Giugno 2004|Categorie: Paperback Writer|Tag: , , , , |13 Commenti

"Barthelme era il nostro eroe, ragazzi!"

Era da un sacco che lo vedevo, quel libro, poggiato lì in mezzo agli altri, alla Feltrinelli. Ma non mi sono mai deciso a comprarlo, chissà perché. Me l’ha comprato una splendida fanciulla e me l’ha fatto messo nello zaino a tradimento. Vedo spuntare questo libro arancione e lo inizio.
Beh, ragazzi… Che libro, Ritorna, dottor Caligari. La frase virgolettata del titolo del post è di Carver (e te pareva), ma non c’è scrittore più distante da Carver di Barthelme (ah, la pronuncia è con l’accento sulla prima “a”). Eppure, come Carver, sento che Barthelme diventerà uno degli autori della mia vita.
Fissiamo delle date: il libro esce negli Stati Uniti nel 1964. In quell’anno i Beatles fanno uscire A Hard Day’s Night (disco e film), Carver ha gli stessi anni che ho io adesso, lo show radiofonico The Goons è finito da quattro anni, Kennedy è morto da un anno, il telefilm di Batman, quello con Adam West e i vari “SBANG!” “CRASH!” “ZING!” a tutto schermo, andrà in onda dopo due anni, nasce Bret Easton Ellis.
Perché questi riferimenti passati, contemporanei e futuri alla data di pubblicazione di Caligari? Perché in questo libro c’è tutto questo e anche di più. Lo stile demenzial-britannico tipico dei Goons e, per filiazione, dei Beatles (nei film sono incredibilmente folli e divertenti) e dei Monty Python; l’attenzione alla realtà americana di quegli anni, quella in cui si formerà Carver; la maniacale focalizzazione su status sociale, prodotti, marchi e tutto quanto stava succedendo negli USA ricchi, benestanti, ma terrorizzati dal loro potere e dalla loro posizione: Ellis, seppur distante come autore, non può non averla presa in considerazione. E poi Batman: c’è un racconto (forse il più divertente di tutta la raccolta) che si intitola Il più grande trionfo del Joker che sembra una sceneggiatura di una puntata di una delle serie più pop che siano mai state realizzate. Pensate solo che nella Batmobile c’è un pulsante per tutto, per farsi un cocktail, per le sigarette, per avere del ghiaccio… E c’è una descrizione della personalità del Joker che devo riportare per intero (sperando che quelli della minimum fax non mi facciano causa):

“Consideralo a ogni livello di comportamento”, disse lentamente Bruce, “a casa, per strada, nelle relazioni interpersonali, in carcere: c’è sempre una straordinaria contraddizione. È sudicio e ossessivamente pulito, appartato e disperatamente socievole, entusiasta e accigliato, generoso e taccagno, un elegantone e uno spaventapasseri, un gentiluomo e uno zotico, portato a eccessi di felicità e di disperazione, singolarmente capace di applicarsi e in grado di sciupare una vita intera perseguendo cose banali, urbano e sconveniente, gentile e crudele, tollerante eppure aperto alle più esagerate forme di bigotteria, un grande amico e un nemico implacabile, amatore e odiatore delle donne, delicato e osceno nel parlare, libertino e puritano, gonfio di superbia e ossessionato dal senso di inferiorità, reietto e arrampicatore sociale, malvagio e filantropo, barbaro e mecenate, innamorato della novità e rigidamente conservatore, filosofo e sciocco, repubblicano e democratico, generoso d’animo e terribilmente meschino, distaccato e traboccante di impulsi di amicizia, bugiardo inveterato e incredibilmente rigido quando si tratta di quisquilie, avventuroso e timido, fantasioso e stolido, malefico eversore e piantatore di alberi il Giorno della Festa degli Alberi: te lo dico francamente, quell’uomo è un casino.”

E poi racconti su persone che fanno l’analisi grafologica della personalità di un mendicante partendo da come ha scritto il suo cartello di aiuto, conduttori radiofonici che trasmettono solo l’inno nazionale e racconti di vita per ricordare alla donna che li ha lasciati i momenti più belli passati insieme, un assicuratore di trent’anni e passa che si ritrova alle scuole elementari ed è sedotto dalla maestra.
Inclassificabile come solo i capolavori sanno essere, Ritorna dottor Caligari è un libro spesso complesso, talvolta anche difficile da leggere, ma meravigliosamente arguto, divertente, volgare e raffinato. Spettacolare. E poi c’è una frase splendida, in uno dei racconti, che penso mi farò scrivere su una maglietta, o tatuare sul petto: “Prenditi il tuo amore e ficcatelo su per il cuore”.
Barthelme è anche il mio eroe, ragazzi.
(Se volete, potete scaricare il primo racconto qui.)

Era una notte buia e tempestosa…

Agosto 1999.
“Pronto, Edizioni?”
“Sì, sono Editore.”
“Ecco, io le avrei mandato dei racconti, qualche tempo fa. Non so se ricorda…”
“Sì”. Seguono trenta secondi di critica feroce.
“Va bene, grazie lo stesso.”
Click. Sigh.

Agosto 2003.
“Pronto, Editore?”
“Ciao Francesco.”
“Allora, hai ricevuto gli altri racconti?”
“Sì, non male, davvero, mi piacciono”
“Bene”
“A-ha”, dice lui. Visto che penso non si riferisca a loro, vado avanti, canticchiando mentalmente “Take On Me” per darmi coraggio.
“Che ne dici, magari potremmo pensare ad una raccolta, visto che un paio li hai pubblicati, qua e là.”
“No, dai. Ci vorrebbe qualcosa di più lungo.”
“Un romanzo.”
“Ecco, per esempio. Anche perché di poemi epici in versi noi non ne pubblichiamo.”

Febbraio 2004
Finite per il momento lezioni e seminari, inizio finalmente a scrivere questo romanzo. Appassionante, divertente, difficile, faticoso. Scriverlo, dico. Non “il romanzo”. Se no avrei già in mano un bestseller, soprattutto se eliminassi “difficile” e “faticoso”. Diciamo che appena avrò “un numero buono di pagine”, le manderò all’Editore, il quale vedrà cosa farne di me e del buon numero di pagine.

Nel frattempo amici, coinquilini e altri figuri che passano davanti alla mia stanza, mi vedono più o meno così.

Così come? Eh, chissà. I link muoiono…

P.S. Editore o Redazione, se per caso leggi queste righe: sto scrivendo, sì. Per il blog uso una ghost-writer. Si chiama Melissapì. Brava, solo che devo sempre tagliare parti di quello che scrive, mette il sesso ovunque. Lo so che fa vendere, ma in un blog… No, nel romanzo non ce n’è molto, di sesso. Ah, lo metto? Comincio da capo, allora, ma l’inizio lo lascio così com’è, mi piace: “Era una notte buia e tempestosa…”

Di |2004-02-16T01:23:00+01:0016 Febbraio 2004|Categorie: I'm A Loser, Paperback Writer|Tag: , , , , |7 Commenti

A perfect trip

Ho trovato finalmente il tempo di esaudire un mio piccolo desiderio. Sentire l’ultimo disco di Lou Reed, The Raven. E che ci vorrà mai, direte voi?

Dunque: questo disco è ispirato a Poe, Lou Reed ha riscritto e/o messo in musica poesie e racconti di Poe. Poco dopo l’uscita del disco ho saputo che Riccardo Duranti, il bravo traduttore di Carver per minimum fax, stava traducendo per la stessa casa editrice i testi di The Raven. Quindi: disco e libro. Io adoro Poe. Perfetto. Quello che mi era sempre mancato, finora, era il tempo.

Ho ascoltato The Raven in treno. Il primo disco – primo atto – durante la tratta Bologna-Mestre. La seconda parte tra Mestre e Gorizia. Senza mai fermarmi, né di sentire, né di leggere. Vivendo le storie raccontate e musicate con un rapimento tale che mi ha riportato a quando, da bambino, sentivo le fiabe in cassetta. Raccontare e sentire raccontare storie è una delle cose più belle del mondo, secondo me. Mi emoziona, mi fa stare bene, è come un abbraccio.

Il disco, peraltro, non è perfetto. Però è mastodontico, splendidamente suonato (tra gli altri suonano e recitano: David Bowie, Ornette Coleman, Steve Buscemi, Willem Defoe e Amanda Plummer), torrenziale, vivo. Si seguono le storie, le vicende, si rabbrividisce e ci si emoziona. Quando è comparsa la voce di Bowie in “Hop Frog” mi è venuto un sorriso largo così.

Ripeto: il disco non è perfetto. Ma vi assicuro che sentire The Raven guardando fuori dal finestrino la pianura padana con la nebbia al crepuscolo è una delle cose che mi porterò dentro per un bel pezzo.

Io e Carver

Sono emozionato. Scrivo quando ho finito di vedere da pochissimo un documentario sul “poeta, scrittore di racconti, saggista” americano, edito in un cofanetto insieme al libro Io e Carver di Tess Gallagher, sua moglie e molto di più, nonché scrittrice anch’essa. La mia passione, la mia riconoscenza, il mio amore per Carver non è mai stato esplicitato in queste pagine. E non saprei come farlo. Potrei scrivere un post lunghissimo. Raccontare tutto, raccontare di questa persona che non ho mai conosciuto, eppure è stata fondamentale per la mia vita. Raccontare di quando ho letto le sue cose per la prima volta. Parlare del mio incontro con il suo traduttore italiano e di quanto mi ha emozionato sentirlo parlare di Ray. Potrei dirvi che Raymond Carver smise di bere esattamente un anno prima della mia nascita. E che morì meno di due mesi dopo il mio decimo compleanno.

Invece per ora lascio solo qui le sue parole. Chi le conosce potrà rileggerle. E spero che possano donare una nuova emozione a chi non le conosce.
“Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, «creature di sangue caldo e nervi», come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita.”

Un pomeriggio

Mentre scrive, senza guardare il mare,
sente la punta della penna che comincia a vibrare.
La marea si ritira sulla ghiaia.
Ma non è per quello. No,
è perché lei sceglie proprio quel momento
per entrare nella stanza senza nulla addosso.
Insonnolita, neanche tanto sicura di dove si trova
per un momento. Si scosta i capelli dalla fronte.
Si siede sulla tazza con gli occhi chiusi,
il capo chino. Le gambe allargate. Lui la vede
dalla porta. Forse
sta ricordando cosa è successo la mattina.
Perché dopo un po’ apre un occhio e lo guarda.
E sorride dolcemente.

(Blu oltremare, Roma, minimum fax 2003. Traduzione di Riccardo Duranti)

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