bologna

Circondato dai Massimo Volume

Il caso ha voluto che due dei quattro Massimo Volume (che suonano domani all’HanaBi a Marina di Ravenna) saranno intorno a me oggi.

Questo pomeriggio dalle 1530, nell’ambito delle “Prestigiose co-conduzioni femminili dell’ultima settimana della quarta stagione di Maps”, sarà con me ai microfoni Vittoria Burattini, la batterista della band.

Questa sera, invece, metto i dischi (insieme a Enzo “aggiusta i medi” Polaroid) al Bolognetti on the Rocks dopo il concerto di Egle Sommacal, uno dei due chitarristi dei Massimo Volume.

Ascoltate, venite, ballate.

Ho decisamente bisogno di una pausa

E la prova è che l’altro giorno ho preso in mano l’ultimo numero di “Jam”, l’ho sfogliato, e mi sono ricordato solo vedendo la mia firma in fondo a un pezzo che era uscita la recensione del concerto dei Black Heart Procession a cui ho assistito a fine maggio.

Come al solito, potete comprare il giornale o leggere a scrocco l’articolo cliccando sull’immagine sopra. Ma comprate “Jam”, che è bello, su.

“Ghiaccio, non rocce!”

È quello che ci vorrebbe in questi giorni, anche nella rassegna Bolognetti on the Rocks, che vede me e i miei colleghi della radio mettere i dischi prima e dopo alcuni dei concerti ospitati dal quadriportico bolognese.

Domani sera io e la cara Eleonora cercheremo di farvi danzare (con sudata moderazione) dopo il live di Be My Delay e Father Murphy. Chi indovina la citazione del titolo può venire a dirmela al mixer e gli/le offro da bere. Davvero. Dei due dj sono quello con la barba. Più facile di così…

Anticipare l’estate


Come dice l’immagine qua, questa sera c’è la festa dell’estate della radio: per inaugurare la rassegna “Bolognetti on the Rocks” tutti noi dj di RCDC ci alterneremo dietro la consolle, dalle 20 alle 2. L’ingresso è gratuito e la gioja si spande nell’aria. Non siate stupidi, veniteci!

John e Dylan su Jam

Il nuovo numero di Jam ospita due mie recensioni: la prima è una rielaborazione del post che ho scritto sul meraviglioso live di John Grant, l’altra, invece, riguarda Dylan Carlson e gli Earth, che sono passati dal Locomotiv di Bologna qualche settimana fa.

Come al solito, se cliccate sull’immagine qui a fianco potete forse leggere qualcosa. Se no, comprate il giornale!

Il futuro del libro

Quale sarà il futuro del libro, tra costi crescenti per l’editoria, formati elettronici e e-publishing? È su questi temi che ruota una due giorni organizzata dal Laboratorio Crash qui a Bologna che inizia domani.

Le giornate sono state create anche con la collaborazione della radio per cui lavoro, e avrò il piacere di moderare gli incontri di domenica pomeriggio insieme a Paola Papetti.

Secondo me sarà interessante: partecipatecivisi.

Vita e miracoli di John Grant

John Grant

Spero che nessuno mai decida di fare un film su John Grant: la storia, purtroppo, sarebbe già pronta. Un giovane cresciuto nel Michigan religioso e silenziosamente intollerante forma una band, con la quale pubblica sei dischi. Nel frattempo affronta lo scontro tra l’educazione che ha ricevuto e la sua omosessualità. Con questa spina nel fianco, manda a rotoli tutto, stacca la spina agli Czars (questo il nome del gruppo) e si perde tra droghe e alcool.
Infine, un paio di anni fa, scopre che i Midlake (altra band da tenere d’occhio) sono suoi grandi fans e i ragazzi (che hanno una decina d’anni meno di Grant) lo convincono a tornare alla musica: lo aiutano a produrre il disco, che viene registrato con la loro diretta collaborazione nel loro studio. Esattamente un anno fa esce Queen of Denmark, un capolavoro, che conquista critica e pubblico e diventa il disco dell’anno per la rivista Mojo.

Capirete con quale trepidazione sia andato martedì sera a vedere John Grant in concerto in una chiesa fuori Bologna: è stato semplicemente eccezionale. Accompagnato solo da un pianista, con una strumentazione composta da sole tre tastiere, Grant ha raccontato se stesso come nel suo album. Sedici brani tratti da Queen of Denmark, ma anche inediti e altri recuperati dai dischi degli Czars, ognuno dei quali è stato introdotto da qualche parola. Se la “Little Pink House” che ha chiuso il live è la casa dove la nonna di Grant ha vissuto per 70 anni (un record per una statunitense, come lui stesso ha sottolineato), “It’s easier” è un omaggio a certa musica degli anni ’80 e “Chicken Bones” si interroga sulla contraddizione che Grant ha vissuto quando ha percepito del razzismo nei suoi comportamenti, nonostante la sua omosessualità in teoria dovesse renderlo tollerante per primo. Attraverso ogni canzone, un pezzo di vita, un trasloco, un’amica lontana, un amore non corrisposto, un luogo frequentato da bambino. Quando poi è stata la volta di “JC Hates Faggots” John Grant non ha potuto non notare, con sottile ironia, che a 42 anni è arrivato a cantare quella canzone in una chiesa…
Un’ora e mezzo stupenda, quella di martedì sera, impreziosita da nuovi arrangiamenti creati per i brani in scaletta: non c’erano le chitarre e le armonie vocali dei Midlake, nella piccola chiesa che ha ospitato il concerto, ma le linee di sintetizzatore e le parti per pianoforte sono state efficaci e hanno fatto risaltare ancora di più la splendida, ferma e commovente voce baritonale di Grant.
Speriamo che nessuno faccia un film sulla vita e il miracolo di John Grant: sarebbe comunque inferiore a come lui stesso si racconta, in maniera intima, diretta e sobria, ad ogni concerto.
John Grant: live in Castenaso, Bologna, Italy. Setlist: You Don’t Have To – Sigourney Weaver – Where Dreams Go To Die – Marz – Outer Space – Chicken Bones – Silver Platter Club – It’s Easier – JC Hates Faggots – TC and Honey Bear – LOS – Drug – Queen of Denmark – Fireflies – Caramel – Little Pink House.

Alla ricerca dell'uomo

Su questo blog si è parlato davvero di tutto, in questi sette anni abbondanti, ma mai (credo) di arte contemporanea. Questo perché chi vi scrive ne sa di arte contemporanea più o meno quanto di fisica elettromagnetica. Per evitare la possibile noia del secondo argomento, ho deciso di parlarvi oggi di arte contemporanea, e in particolare di una mostra che si è aperta al MAMbo, il Museo d’Arte Contemporanea di Bologna, a gennaio e che chiude ai primi di maggio. Quando uno dice il tempismo.

In search of… è il nome dato alla prima personale europea di Matthew Day Jackson, un giovane (ha 37 anni) e talentuoso artista americano. Tutto parte da un video, ricalcato sulla serie statunitense “In search of”, andata in onda tra il 1976 e il 1982: da quel che ho capito, si trattava di una “collana” di documentari tra lo scientifico e lo pseudoscientifico. Una specie di “Quark incontra Voyager, ma Piero Angela si distrae”, dove però il narratore era Leinard Nimoy. Comunque, una puntata creata ad hoc è parte integrante dell’esposizione: in essa si parla di civiltà perdute, di misteriosi manufatti di provenienza aliena e della scomparsa di… Matthew Day Jackson. L’artista, infatti, ha inscenato la sua scomparsa, lasciando nel suo Volkswagen abbandonato solo degli appunti e delle fotografie. Quarantotto, per la precisione, ognuna delle quali scattate in uno stato “continentale” degli USA e raffigurante una forma “umana” colta in un profilo roccioso, in una collina, su un masso.
Si comprende, quindi, che ciò che interessa a Jackson è l’indagine sull’uomo: forse per questo è uso mettere in ogni sua mostra uno scatto che lo raffigura cadavere, con una didascalia che reca l’età a cui è avvenuto il decesso, cioè quella della mostra stessa. Questo levarsi di torno può essere visto come un fare tabula rasa per ricominciare, ma anche come un modo per mettersi da parte, per osservare meglio l’uomo eliminando l’impiccio di rischiare di confondere osservato con osservante.
La ricerca di Jackson corre su diversi binari: la serie di teschi, sempre più stilizzati, di “The Way We Were”, si contrappone per essenzialità alla mediazione della conoscenza tramite manufatto della carcassa di automobile chiamata “Chariot II” o attraverso il reperto monumentale di “The Tomb”. La volontà dell’artista rimane indagare sull’uomo, sui suoi modi di vivere, di agire e di creare. Certo, l’autoironia di Jackson (e, conseguentemente, l’ironia tout court) è palese: la prima lettura rimanda quindi a un secondo livello, quello dell’ironia, appunto, spesso declinato sui concetti di falso, di commistione, di rielaborazione e di contrapposizione di elementi popolari, di massa.
Alla fine della visita qualcosa in noi è cambiato: abbiamo riflettuto su noi stessi, ci siamo visti dall’esterno, come potrebbe osservarci una civiltà aliena, appunto. Ci siamo immedesimati nell’oggetto di un possibile documentario appartenente a qualche altro mondo, in cui un presentatore ci guida alla ricerca di noi stessi.

Mixare le carte in tavola

La serata di oggi sarà all’insegna delle commistioni: Grazia Verasani, che è stata anche mia co-conduttrice “guest star” a Maps, tiene un concerto a Teatri di Vita. Lei, che è conosciuta come scrittrice, in realtà canta (e anche bene). Ma state certi che ricorderà con piacere anche i gemiti “regalati” a “Essere donna oggi” di Elio e le storie tese. D’altro canto all’epoca Grazia doppiava film porno e di gemiti e ansimi ne sapeva.
Dopo il concerto ci sarò io a mettere un po’ di dischi. Sto cercando di capire quali siano le musiche più adatte dopo un live teatrale di una cantante-scrittrice ex-doppiatrice di porno. Suggerimenti?

Attraverso passaggi alla libreria Golconda

Vi ho parlato altre volte de “L’ultimo battito”, il racconto scritto per una serata a Modena di un po’ di tempo fa, musicato da Egle Sommacal e, infine, inserito in Attraverso passaggi, un annuario di Malicuvata.
Be’, questa sera alle 1830 (puntuali!) lo presentiamo alla libreria Golconda, a Bologna, in via Nosadella. In programma chiacchiere e letture, senza eccessive lungaggini e pesantezze.
Se vi va, passate. Se no, trovate tutto il meritevole volume in download gratuito sul sito di Malicuvata.

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