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Gente non troppo gradevole, un po' come gli operai

Vi ricordate questo post?
Beh, ho chiamato quella società di consulenza, come se fossi un piccolo imprenditore e…
Ho sentito cose che voi umani potrete sentire domani sera, a Monolocane. Come al solito dall 2230 all 0030, su Città del Capo – Radio Metropolitana. E se non siete a Bologna c’è lo streaming, tranquilli.

(Nel  caso finissi dentro, le arance mi piacciono molto, davvero)

Update: per oggi il servizio non va in onda. Il diretùr ha per ora sospeso salomonicamente la decisione.

Ricapitar, infine, nella Capitale

Dall’arguto titolo, lo avrete intuito, me ne vado a Roma. “Ma come”, dice, “te ne vai a Roma adesso? E la paura degli attentati?” Fatevi un giro dal mio fratello di parole, che, oltre ad ospitarmi, ha scritto un post proprio su quello che potrebbe succedere a dei terroristi a Roma.
Incontri previsti: sciampiste in via del Corso, Pulsatilla, che ha millantato di portarmi a mangiare il migliore tiramisù d’a Capitale, due miei cugini, di cui uno straordinariamente rassomigliante a Silvio Orlando, lei, e… chiunque altro voglia aggregarsi alla compagnia mi scriva.

Ah, importante. L’intervista a Tori Amos andrà in onda in tutto il territorio italico durante la puntata di lunedì 18 di “30° all’onda“, dalle 14.30 alle 15.30. Qui e qui le istruzioni per ascoltarla. Statemi bbuono.

Update. Se ve la siete persa ieri, potete sentire l’intervista qui, in streaming.

Ma l’intervista è anche qua!

Pretty Good Day

La stazione di Modena alle tre del pomeriggio di domenica è deserta. Anche Modena è deserta, tanto che si fa fatica a trovare qualcuno che ti dia un’indicazione su dove sia questo maledetto Parco Novi Sad. Quando lo trovo, anche il parco è coerentemente deserto. Eppure l’appuntamento con Keith, il tour manager di Tori Amos, uno che ogni volta che lo senti al telefono ti chiede prima come stai e solo dopo ti rendi conto che non è ben sicuro dell’identità della persona con cui sta parlando, l’appuntamento, dico, è alle quattro e manca poco. L’unica persona che vedo vicino all’arena è un uomo, africano o afroamericano, con la camicia della security. Gli spiego in inglese che ho un’intervista con Tori Amos e non ci crede. Mi chiede come mi chiamo, gli mostro il tesserino, dico che ho un appuntamento con Keith. “Chiamalo”, mi dice. Lo chiamo. “Ehi, come stai? Ah, sì, stiamo arrivando. Intanto chiedi di Jojo e fatti dare i pass.” Chiudo la telefonata. “Mi ha detto di cercare un certo Jojo”, un nome per me assolutamente plausibile, beatlesiano come sono. “Ah, Giorgio”, mi dice l’uomo con perfetto accento italiano. Scopro poi che viene dalla Costa d’Avorio, che lavora in una tv locale e che vive in Italia da anni. Mah.
Comunque, arriva Jojo accompagnato dall’altra promoter del concerto (molto bellina) che mi dice “L’artista non è ancora arrivata”, accomodati pure. Mi siedo, quindi, aspettando l’artista. E penso che è dieci anni che aspetto questo momento, quindi “Fate pure con comodo”, aggiungo sincero. Rimangono tutti colpiti dalla mia accondiscendenza. Come se uno dicesse “Eh, no, e che cazzo, l’appuntamento era alle quattro, scusate ho da fare, grazie e arrivederci.”

Poi mi chiama Keith. Mi alzo in trance e vado nel backstage. La promoter carina mi accompagna in una stanza, poi dice “no, andiamo in un’altra che c’è il ventilatore”, mi offre da bere, ci manca solo che mi faccia un massaggio.
La prima “cosa” di Tori che vedo è la sua meravigliosa bimba cinquenne, Nathasya o Tash. Mi gironzola attorno un po’, fino a che la bambinaia le dice che la mamma deve fare un’intervista in quella stanza. Tash, a malincuore, se ne va, con io che le faccio ciao-ciao con la mano.
Tori arriva e ci sorride. “Hi guys, please, let me stay for one minute with my daughter.” E allora capisco. Capisco che il fatto che il personaggio centrale della sua autobiografia sia la figlia non è un caso. Prima di qualsiasi cosa Tori, adesso, è una mamma. E quindi deve rassicurare la figlia che tornerà, comunque. Io sono già commosso, il cuore ha smesso di battermi da un paio di minuti buoni. Dopo un altro paio di minuti (e di pulsazioni), Tori arriva, mi sorride ancora, mi stringe la mano ed entriamo nella stanza. Keith mi ammonisce: “Tra dieci minuti busso”, e mi verrebbe da dire “ma come, ieri al telefono avevi detto quindici, oltre a chiedermi come stavo”, ma lascio correre. Che mi frega, sono seduto davanti a Tori Amos, io e lei in una stanza, con lei che è pronta a rispondere alle mie domande, che mi frega. Respiro e vado con la premessa all’intervista, che ho preparato più dell’intervista stessa. Mi confesso. Insomma, le dico che è vero, io sono lì in quanto giornalista, ho le domande pronte, dieci minuti, Keith, sì, sto bene, ma. Ma per me tu, Tori, la tua musica, insomma, sono importanti. Quindi c’è in me un dualismo. Da una parte il giornalista con un occhio al cronometro, ma dall’altra c’è il diciassettenne che si fa consolare da Under the pink e che sussulta ogni volta che sente la tua voce, Tori, e questa parte qua devo farla venire fuori. Facciamo un minuto solo dopo l’intervista, ok?
Tori ride, poi sorride e dice “Ok.” E inizio.
La mia mano sinistra, che regge il microfono, smette di tremare dopo qualche minuto. La voce di Tori è stanca, lei sembra stanca, ma mi fissa negli occhi, quando parla. Ora voi, miei piccoli lettori, mi direte: “Ma come, ti fissa negli occhi e tu riesci a scrivere queste cose? Dovresti essere morto più di ventiquattro ore fa”. E invece no. Perché è come si dice, ve lo giuro. Questa donna è speciale. Ti mette a suo agio senza apparentemente fare niente, anche se è stanca è attenta a quello che le viene detto, ci pensa prima di rispondere ad una domanda (e per quanto mi sia sforzato, è improbabile che le mie domande le risultino del tutto inedite). Tant’è che mi sblocco dal mio mutismo adorante e inizio a conversare con lei, e la sento vicina come l’ho sempre sentita. (Ogni tanto una voce mi ripete “Ma ti rendi conto? Tori Amos è seduta qui davanti a te e state parlando”, ma le dico che deve studiare per il compito di mate e lei torna buona nei miei diciassette anni.)
Quando finisco le domande, il contatore del minidisc segna i dieci minuti. Allora prendo Under the pink e glielo faccio firmare. Poi le dico “Foto?” e ce la facciamo, e poi io penso sia finita. E invece no. Inizia lei a farmi delle domande, e finiamo a parlare della traduzione della sua autobiografia, di Bologna, e poi bussa Keith. “Ho finito”, gli dico. Lui sorride e richiude la porta. Le chiedo scusa. “Mi sento stupido, sai, dopo l’intervista, questa parte da fan sfigato…” Lei sorride (sì, ancora), mi dice che è normale, anzi, le fa piacere, e mi fa i complimenti per l’intervista.
Ora, giornalisti che state leggendo. Quante volte qualcuno che avete intervistati vi ha fatto i complimenti per le domande che gli avete rivolto? A me non è mai capitato, davvero. E lo so, maliziosi, che pensate che lei lo dice a tutti. Ma lasciatemi questo regalo, su. Stronzi.
Usciamo nel caldo torrido. Lei mi abbraccia. “All the best to you.” E se ne va.
Torna la promoter. “Tutto bene?” “Arsadsgasvb”, dico, confidando che lei capisca dal sorriso che voglia dire “sì.” Non contenta, mi regala due biglietti per il concerto. Ma niente massaggio.

E poi, il concerto, ma che ve lo dico a fare. Potrei mai essere obiettivo dopo un pomeriggio del genere? No. Quindi, visto che si è fatta una certa, vi dico solo due cose. Che a metà di ogni spettacolo di questo tour, il concerto si trasforma nel Tori’s Piano Bar. Ricordando il suo passato di pianista di piano bar, appunto, Tori suona un paio di cover. La prima è per me sconosciuta. Nella pausa tra una e l’altra, penso che vorrei urlare e dire “I’m on fire”, e lei sicuramente ci farebbe una battuta sopra. Non riesco a finire il pensiero che inizia a suonare proprio la canzone di Springsteen. Ho le lacrime agli occhi, davvero.
E le ho di nuovo quando penso che non ho mai sentito “Pretty Good Year” dal vivo, nonostante questo sia il terzo concerto che vedo, e lei la fa come primo bis. Il diciassettenne che è in me torna alla ribalta, e pensa a collegamenti psichici da abbraccio, a lei che ride, al rumore dei cubetti di ghiaccio nel suo bicchiere, a Greg che scrive lettere. Non ho maniche su cui si poggiano le mie lacrime*, ma sono sicuro che ci sono.

Quindi, lettori del mio blog, sappiate che state leggendo le parole di un ragazzino che ha realizzato uno dei sogni della propria vita. Perdonate l’eccesso di entusiasmo, la mancanza di arguzia e di senso critico. Una volta tanto tutte queste cose belle e intelligenti possono andare a farsi fottere. Ora vado a ripassare, perché domani ho il compito di latino.

* Sì, è una citazione, ad uso e consumo di chi leggendo queste parole sentirà un nodo allo stomaco.
Un grazie particolare a C., che mi ha sopportato (anche) in questi giorni così intensi.

L’intervista.

Livin' in a radio (show)

Certe volte mi diverto a cercare il nome della trasmissioncina su Google, e scopro cose buffe. Come, per esempio, il fatto che la cara Runrig vive nel mio programma radiofonico da un bel po’, ormai. Si nasconde bene, evidentemente.
Siamo alla puntata meno tre, ragazzi, a fine giugno si conclude la stagione e con i botti.
Questa puntata, al limite, potete anche perdervela, ma le prossime due, no. Se volete allenarvi, iniziate a farlo da stasera, sui 96.3 e 94.7 MHz di Bologna e provincia, oppure in streaming dal sito della radio o da Radionation.

Di |2005-06-16T15:38:00+02:0016 Giugno 2005|Categorie: Eight Days A Week|Tag: , , , |3 Commenti

Appuntatevill'

Com’è già successo, uso squallidamente il blog come agenda.

Si inizia oggi pomeriggio alle 18 al Castello Estense di Ferrara, dove ci sarebbe una lettura di Davide Bregola e Gianluca Morozzi. Solo che, siccome quest’ultimo ha deciso di dedicarsi solo alla scrittura, come sempre sarò io a leggere le sue cose. Se continua così la gente crederà che io sono Morozzi, e quindi lui diventerà me e, finalmente, leggerà le sue cose.

I Laghetto in un elaborato travestimento.

Si continua stasera, con Monolocane. Ospiti i Laghetto, che presenteranno il loro nuovo disco Pocapocalisse. Inoltre sono previste discussioni sulla decaduta del ninja nell’immaginario occidentale e corsi di cucina creativa on air. Come al solito, potete sintonizzarvi sui 96.3 o 94.7 MHz, se siete a Bologna. Se siete altrove, o non avete una radio, in streaming qui o qui.

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Infine, una cosa per la settimana prossima. Martedì 3 maggio alle 21, alla biblioteca di Villa Spada a Bologna, Morozzi, stanco di stare lì a far nulla mentre io sputacchio parole, suonerà la chitarra, mentre io leggerò brani suoi, miei e di altri. Per non scontentare nessuno.

RicordaRivoluzioni

Sento per bene solo adesso, dopo mesi dalla sua uscita, il disco d’esordio degli Offlaga Disco Pax, Socialismo tascabile (prove tecniche di trasmissione).
I richiami musicali sono evidenti: senza sforzarsi troppo, viene subito in mente lo stile dei CCCP, quello più parlato e meno legato al punk. Ma il richiamo è solo superficiale, e non può andare più a fondo, se vogliamo guardare bene, perché sono passati degli anni importanti.

I CCCP suonano sentendo nell’aria la caduta del blocco sovietico: descrivono il mutamento in atto sotto i loro occhi, cosa difficilissima, e tentano di fissarne alcuni punti, tra un pezzo e l’altro dei loro dischi.
Gli ODP iniziano a suonare quando l’89 è passato da un pezzo. La loro operazione, quindi, è dichiaratamente un recupero della memoria, dell’Italia socialista (e quanto è difficile ormai associare il nostro paese a questo aggettivo senza pensare a Craxi bersagliato di monetine fuori dall’hotel Raphael, almeno per chi, come me, è nato alla fine degli anni ’70), dell’Emilia rossa, la stessa regione – ma decisamente non gli stessi luoghi – nella quale vivo da quasi dieci anni. Cavriago, un paese alle porte di Reggio, come capitale dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Italiane. Cavriago e la sua via Carlo Marx, e il busto di Lenin, tuttora sindaco onorario del paese.
L’infanzia aromatizzata al cinnamon, i racconti di partigiani narrati dagli stessi partigiani, il partito comunista al 70, ma anche 80 per cento.
Gli ODP sanno che tutto questo non esiste più, non si rifugiano nel ricordo, lo evocano, con oggetti, sapori, frasi, toponomastiche, in un’operazione che non può non ricordare quella di Matteo B. Bianchi (e di altri prima di lui). E non si vergognano di usare parole come socialista, nel senso vero del termine, di chiamare la figlia del sindaco “compagna”, ma senza il sorrisetto ironico che usiamo “noialtri”, nati irrimediabilmente post.
Ma non pensiate che gli ODP siano seriosi: come tutte le persone intelligenti usano l’ironia nelle giuste dosi, quando più serve, e, prima che suonare, scrivono dei racconti bellissimi che hanno forza evocatrice per tutti. Anche per me, così lontano da tutto questo.

Penso a me, da piccolo, nella sezione del Partito comunista, in una città che rimarrà sempre e comunque democratico-cristiana, anche quando il primo di questi due termini perderà irrimediabilmente di significato. Penso a me più grandicello, che raccolgo firme nel corso della cittadina e prendo insulti, o, quando va bene, occhiatacce. Penso a me, che sogno l’Emilia cantata dai CCCP, e invece mi trovo a due passi qualcosa che sta cambiando, la Slovenia, della quale non riesco ad avere un’occhiata approfondita e critica, perché tutto è troppo veloce, rapido, e si muove al ritmo schizoide, fatto di esaltazione e depressione, delle droghe sintetiche che sono così diffuse tra i miei coetanei “di là dal confine”. Penso a me a Bologna, appena arrivato, e a come sguazzo in quello che apparentemente mi sembra un “mondo giusto”, ma che in realtà è, anch’esso, drammaticamente in fase di rapida mutazione.

Penso che, di un sacco di cose, non ho i miei ricordi, ma quelli degli altri.
Grazie, Offlaga Disco Pax, perché mi avete regalato una nostalgia di cui posso appena distinguere i contorni.

Se non conoscete gli ODP, manderò qualche loro pezzo stasera a Monolocane. In diretta dalle 2230 sulle frequenze di Città del Capo – Radio Metropolitana, o in streaming qui o qui.

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Ani Difranco a Monolocane!

Stasera, a Monolocane, riproporrò l’intervista telefonica che ho fatto martedì a Ani Difranco, già andata in onda a Patchanka. Una chiacchierata di una decina di minuti, in cui si è parlato molto di Knuckle Down, l’ultimo disco di Ani, ma anche della difficoltà di rendere poetica l’espressione “corporazione multinazionale”.
Dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz di Città del Capo – Radio Metropolitana, se stasera siete nei regi confini bononiensi. Se no, potete sentire il tutto in streaming dal sito della radio o su RadioNation.
(Se stasera andate a sentirla a Milano, beati voi. Potrete recuperare l’intervista da venerdì sulla pagina del programma, come al solito.)

Ora qui!

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Nicoletti reloaded: waiting for the (blog) revolution

Stasera a Monolocane, intervista con Gianluca Nicoletti, l’uomo che fece incazzare i bloggers. Cioè, spero di intervistarlo. Nel senso che ho un appuntamento telefonico intorno alle undici, quindi tra meno di due ore. Se avete domande, suggerimenti di domande o risposte, fatevi sotto nei commenti.
A stasera, quindi. Dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz di Città del Capo – Radio Metropolitana, se vivete a Bologna. Se no, potete sentire il tutto in streaming dal sito della radio o su RadioNation.

Aggiornamento. Sulla pagina del mio programma potete sentire l’intervista completa, in Real Audio.

Ecco l’intervista!

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Tutta la Farina del suo sacco (sapevo che non avrei resistito)

Stasera a Monolocane, intervista esclusiva (sì? Mah, non so, mica sono il primo che lo intervista…) a Geoff Farina, il leader dei Karate. Una decina di minuti di chiacchierata, in cui abbiamo parlato, tra le altre cose, di Bob Dylan, Ernest Hemingway, Chris Brokaw, Leonard Cohen, Frank O’Hara, del concetto di “indie”, della soluzione al non saper cantare.
Dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz di Città del Capo – Radio Metropolitana, se per voi Sirio non è solo una stella. Se no, potete sentire il tutto in streaming dal sito della radio o su RadioNation.
Ah, per voi che non potete sentire la trasmissione in diretta, ma vi piacerebbe tanto sentire l’intervista: tranquilli. Entro un paio di giorni sarà pubblicata qua.

Ecco l’intervista!

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Bla bla bla zum zum zum

Mi rendo conto che, se prestassi sempre la dovuta attenzione alle cose che capitano intorno a questa radio, la maggioranza dei miei post avrebbe contenuti simili a questo.
Insomma, è capitato di nuovo. Suonano intorno all’ora di pranzo, in radio non c’è quasi nessuno. Vado ad aprire: è una ragazza di un corriere postale che deve consegnare un pacco. Dopo le solite formalità (“Dove devo firmare?” “Dove c’è scritto ‘firma’”), la ragazza mi fa la fatidica domanda, se possibile in forma ancora più astratta: “Ma voi siete una radio?” “Sì” “Ma proprio una radio?” “Eh, sì”
Dopo un momento di riflessione, aggiunge: “Quindi, diciamo, trasmettete bla bla bla…”
Io, dopo un momento di riflessione, concludo: “Sì, ma ci mettiamo della musica in mezzo.”

Bla bla bla e zum zum zum è il contenuto della puntata di stasera di Monolocane. Dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz di Città del Capo – Radio Metropolitana, se siete dalle parti della città felsinea. Se siete altrove, potete sentire il tutto in streaming dal sito della radio o su RadioNation.

[mixcloud https://www.mixcloud.com/Monolocane/monolocane-18-febbraio-2005/ width=100% height=120 hide_cover=1]

Di |2005-02-17T10:35:00+01:0017 Febbraio 2005|Categorie: Things We Said Today|Tag: , , , |3 Commenti
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