Paperback Writer

Il futuro del libro

Quale sarà il futuro del libro, tra costi crescenti per l’editoria, formati elettronici e e-publishing? È su questi temi che ruota una due giorni organizzata dal Laboratorio Crash qui a Bologna che inizia domani. Le giornate sono state create anche con la collaborazione della radio per cui lavoro, e avrò il piacere di moderare gli incontri di domenica pomeriggio insieme a Paola Papetti.
Secondo me sarà interessante: partecipatecivisi.

Attraverso passaggi da Malazeni

Continua il “tour” (uh!) di “L’ultimo battito”, il racconto scritto per una serata a Modena di un po’ di tempo fa, musicato da Egle Sommacal e, infine, inserito in Attraverso passaggi, un annuario di Malicuvata.
Questa sera intorno alle 18 lo presentiamo, insieme agli altri racconti del volume, da Malazeni, in via Mascarella 84/d, qui a Bologna.
Come al solito, se vi va, passate. Se no, trovate tutto il meritevole volume in download gratuito sul sito di Malicuvata.
Però ci divertiamo di più se passate e scaricate il libro.

Le scoperte che ti cambiano il fine settimana (che sia santo o no)

Ok, è vero che sono stato io a introdurre B. a Perle ai porci, la striscia di Stephan Pastis pubblicata ogni mese da Linus. Ma lei mi ha fatto scoprire i cartoni animati tratti dal fumetto: sono qui.
Passo la Pasqua a vedermeli tutti.

[youtube=http://youtu.be/szkmA9gfcXc]

Attraverso passaggi alla libreria Golconda

Vi ho parlato altre volte de “L’ultimo battito”, il racconto scritto per una serata a Modena di un po’ di tempo fa, musicato da Egle Sommacal e, infine, inserito in Attraverso passaggi, un annuario di Malicuvata.
Be’, questa sera alle 1830 (puntuali!) lo presentiamo alla libreria Golconda, a Bologna, in via Nosadella. In programma chiacchiere e letture, senza eccessive lungaggini e pesantezze.
Se vi va, passate. Se no, trovate tutto il meritevole volume in download gratuito sul sito di Malicuvata.

Libri di passaggio

Mi sono reso conto, cercando il post a tal proposito, che sono passati quasi tre anni da quando ho scritto del primo libro di Kevin Canty che mi sia passato sottomano, Tenersi la mano nel sonno. Rileggendo quelle parole ho percepito nuovamente la reale emozione che quel libro mi aveva dato. Dei racconti brevi e perfetti, come amo leggere e come raramente si trovano.
Appena ho saputo dell’uscita, sempre per minimum fax, della nuova raccolta, mi sono precipitato a comprarla: ma ho concluso la lettura di Dove sono andati a finire i soldi solo ieri. Tra quando ho comprato il libro e quando l’ho finito, ho scoperto che Canty scrive anche romanzi. E che è il fratello di Brendan, il batterista dei Fugazi.
Il secondo elemento mi ha fatto sorridere, il primo, invece, mi è tornato in mente leggendo la nuova raccolta: il romanziere Canty si percepisce nell’arco di lettura. Mi spiego.
Gli uomini protagonisti di tutti i racconti vivono situazioni diverse, oltre ad essere descritti con tratti differenti. Sono però quasi tutti sopra i quaranta e si trovano nei guai: o meglio, noi li conosciamo quando si rendono conto della situazione difficile in cui si trovano. Li incontriamo mentre riaffiora il pensiero di un tradimento che si credeva sepolto, quando una difficoltà diviene un problema concreto e potenzialmente cronico, quando le cose si turbano all’improvviso, ma prevedibilmente, se uno ci avesse pensato.
Lo stile di Canty lega i personaggi, tanto da pensare che prima o poi questi si incontrino, magari per uscire dai momenti che le parole dell’autore rendono in maniera talvolta angosciante, ma sempre lucida e precisa. Si spera che si incontrino e che stiano bene, ma la maggior parte delle volte i finali delle storie che compongono la raccolta mi hanno fatto pensare a un’unica cosa. Che se fossi stato lì, con l’uomo che la maestria di Canty mi aveva fatto conoscere così bene in una manciata di pagine, sarebbe stato mettergli una mano sulla spalla e dirgli guardandolo negli occhi “Mi dispiace, davvero.”, trattenendomi dal pronunciare un’altra ovvietà: il rassicurarlo che, prima o poi, tutto sarebbe andato bene.
C’è qualcos’altro che, però, lega i racconti tra loro: l’attenzione che Canty ha per la descrizione dei paesaggi, quasi mai metropolitani. Dalle nevi della foresta boreale ai deserti del sud degli Stati Uniti, gli elementi naturali giocano un ruolo fondamentale anche in questo libro: tant’è che, in uno dei racconti più belli, dove questa dimensione è più assente, ti viene da pensare che il bambino figlio del protagonista, che ha iniziato a morsicare estranei e compagni di classe, sia un animaletto da curare, che segue un istinto insopprimibile ma che non può convivere con la società. Non è una caso che il racconto si intitoli “Non c’è posto per te a questo mondo”.
Una raccolta di racconti, dove si passa da uno all’altro senza interruzione: forse meno intensi di Tenersi la mano nel sonno, ma che dimostrano ancora una volta l’eccellente livello di Canty e che sembrano proiettare il lettore verso un romanzo che non esiste, o che forse, semplicemente, non ho ancora letto. La cosa buffa è che l’inizio del libro è affidato al racconto che dà il titolo alla raccolta: un vero e proprio trait d’union (o così mi voglio immaginare) tra la raccolta precedente e questa: sul sito di minimum fax si può scaricare per intero, qua.

Di |2011-04-08T08:00:00+02:008 Aprile 2011|Categorie: Paperback Writer|Tag: , , , |2 Commenti

Carver Country

Quando tenevo i miei corsi di scrittura, si finiva spesso per discutere della delusione che solitamente provoca la visione di un film tratto da un libro che abbiamo amato. L’immagine, si può dire, ri-inquadra l’immaginario evocato dalla semplice lettura o ascolto di un racconto, talvolta assecondandolo, talvolta tradendolo, ma comunque “inscatolandolo” per lungo tempo. Io, per esempio, non ho mai letto un libro di Harry Potter, ma mi risulta difficile immaginare che un lettore della saga della Rowling, dopo aver visto il primo film, abbia mantenuto la “sua” fisionomia per il maghetto.
Forse è per questo timore che, nonostante abbia tutto quello che ha scritto Carver, e anche di più, ho comprato solo la scorsa settimana Carver Country, uscito negli Stati Uniti vent’anni fa: si tratta, infatti, di un libro fotografico di Bob Adelman sui luoghi dove lo scrittore ha vissuto buona parte della sua vita, principalmente nello stato di Washington, accompagnato da suoi racconti e poesie (già pubblicate altrove).
Il libro è stato ristampato da poco dalla Contrasto e ha una brutta fascetta con frase ad hoc di Baricco e “La biografia fotografica di Raymond Carver” come “strillone”: per fortuna è altro.
Comincia tutto da una lettera dello stesso Carver ad Adelman: il via al lavoro del fotografo è una sorta di guida personale dell’area di Yakima, dove lo scrittore ha vissuto per i primi vent’anni, per poi iniziare una serie di americanissime girovagazioni per il Paese e tornare, infine, a morire duecento chilometri più a ovest, a Port Angeles. Adelman inizia a girare nei dintorni e scatta foto a torrenti e radure a cui si accenna in una poesia o un racconto, ma immortala anche abitazioni e strade: è strano vedere “come sia fatta” la casa di Chef o il tratto di un torrente immortalato in qualche racconto. E’ difficile riconoscere i luoghi, si sorride senza che nulla venga in realtà smosso.
Poi, però, compaiono i volti: non solo parenti e amici dello scrittore, ma anche passanti, meccanici, operai. Compare anche Carver stesso: quasi sempre da solo, spesso intento a scrivere (sarà stata una posa? E lui, si sarà divertito a mantenerla?), sorridente e con lo sguardo nell’obiettivo per la maggior parte delle volte. Così simile, nei tratti, ai volti di quei pensionati, infermieri, cameriere.
E si capisce che il Carver Country è tutto in quelle facce, spesso segnate dal tempo o dalla fatica: ma sembra che quelle rughe e pieghe della pelle servano ad orientarsi, che siano lì apposta per percorrerle e che, anzi, dettino l’unica strada possibile per scoprire quella persona: e subito vuoi conoscerne la storia.
Si innesta quindi un prezioso e raro cortocircuito: le parole rafforzano le immagini che, a loro volta, ti fanno tornare sulle parole. Una prova in più dell’incredibile potere della scrittura di Carver e, per me, la scopterta della bravura di Adelman: sembra che scatti con precisione ma, allo stesso tempo, guardando il mondo ad altezza d’uomo, senza porsi su un piedistallo, né tantomeno atteggiandosi in maniera servile nei confronti dei soggetti. C’è pudore e rispetto, negli scatti. C’è, insomma, tutto lo stile narrativo di Carver.

Fa un freddo porco

No, il blog non si è ancora tramutato del tutto in un ricettacolo di luoghi comuni e discussioni di stampo meteorologico, anzi: segnalo due cose che uniscono due tra i piaceri della vita.

Il primo, rimaniamo su temi recenti, è la scrittura. ISBN Edizioni lancia un concorso chiamato “Io sono febbraio”, ispirato al titolo di una delle ultime uscite della casa editrice milanese, firmata da Shane Jones. Si può partecipare con un racconto, un video, una foto e mille altre cose, fino alla fine del mese: ma il freddo dell’inverno, in qualche modo, deve esserci negli elaborati. Qui tutte le informazioni.
Il secondo è il cibo: è partita infatti da alcuni blog culinari l’ennesima “azione web” contro le porcate dei nostri governanti. Entro il sei febbraio “Liberiamoci del maiale”. Nel senso che, entro domenica, tutti sono invitati a postare sul proprio blog una ricetta a base di carne suina. Questa iniziativa non cambierà niente, ma ce ne sono talmente tante vacue e stupide, soprattutto su Facebook, che almeno qui qualcosa di utile viene fuori.
Parteciperò? Con il poco tempo che ho a disposizione ultimamente, direi che il risultato migliore sarebbe un racconto per ISBN che racchiuda una ricetta con carne di maiale. Ho scritto qualcosa di simile, anni fa, e mi è pure andata bene: il racconto fu pubblicato. Prima di andare a Milano alla premiazione di questo concorso, in effetti, scrissi sul blog una ricetta. Eccola. E il cerchio si chiude.

Tre dei miei fantasmi

I reading, accidenti. Sembra una cosa facile, scegliere dei brani da leggere: se si ha a cuore l’essere umano (in forma di pubblico del reading stesso) e la sua sopravvivenza, be’, non è cosa semplice. Quando, quindi, Malicuvata mi ha chiesto di metterne in piedi uno, io mi sono trovato in difficoltà. I miei padrini Egle e Gianluca non erano disponibili, e quindi… (Riceviamo e pubblichiamo)


Tre dei miei fantasmi
nasce dalla musica, o meglio, dalla mancanza di musica che volevo avere con me per questa mezz’oretta di letture. I musicisti che mi hanno accompagnato finora nei reading erano occupati: l’ho scoperto proprio mentre riascoltavo Ghosts I-IV, la monumentale opera strumentale di Trent Reznor, forse la cosa più vicina all’ultima premiatissima colonna sonora per The Social Network che Reznor ha scritto con Atticus Ross. Ho pensato che quella poteva essere la musica giusta per la lettura. Quindi ho scelto tre dei miei racconti che, in qualche modo, parlassero di fantasmi, sebbene non nel senso classico del termine. “Il biglietto” e “La guerra in cucina” sono stati ripubblicati recentemente nella mia ultima raccolta di racconti. “La rottura del ghiaccio sottile”, invece, ha visto la luce in un’antologia edita da Manni e credo sia la prima volta che viene letto in pubblico.
Domani sera allo Zammù, via Saragozza 32, Bologna, dalle 2130. Essiateci, se vi va.

Tornare a leggere e a scrivere

È un po’ che non si parla, da queste parti, della mia scrittura e di conseguenza delle mie eventuali letture in giro per il mondo. Be’, si ricomincia. I giovini della Casa Lettrice Malicuvata, infatti, hanno scelto un mio racconto per il loro prossimo Annuario (ne vedete la copertina in anteprima, ma non è ancora pronto fisicamente). Per presentarlo, domani da Zammù, in via Saragozza 32/a, a Bologna, dalle 2130 in poi c’è Circus delire: attraverso passaggi di periferie, con letture da Racconti di periferie (l’antologia di Malicuvata del 2010) e Attraverso passaggi (di cui vi ho parlato sopra).

Insomma, siateci domani. Insieme a me Simone Rossi, Dario Falconi, Alfio Génitron, Marta Casarini, Elena Marinelli, Chiara Reali.

"Solo lo scrittore"

Esattamente cinque anni fa scrivevo di Lunar Park: era una svolta nella carriera di Bret Easton Ellis, ma nel senso di una sterzata che ti fa pensare “E ora?”. L'”ora” è uscito qualche mese fa, ma sono riuscito a leggere Imperial Bedrooms solo oggi: talvolta le influenze – intese come malanni stagionali – servono a qualcosa. Guardando il libro pare che la risposta alla domanda “E ora?” sia contenuta nella fascetta: “Meno di zero venticinque anni dopo”, recita, richiamando il romanzo d’esordio dell’allora ventunenne Ellis. E lo stesso autore ha definito questo ultimo romanzo un sequel. Ma possiamo essere certi delle dichiarazioni di uno dei più grandi (e manifestatamente pazzi) tra gli autori americani contemporanei? Certo, tanto quanto ci si può fidare della veridicità delle battute che fa pronunciare ai suoi personaggi.

Ci sono, nel nuovo romanzo, gli stessi protagonisti del primo: Clay, il narratore, è un mediocre sceneggiatore. Trent ha sposato Blair, Rip è completamente rifatto e predilige ragazze barely legal, Julian continua a pensare che soldi e sesso vadano a braccetto, sebbene si sia ripulito. Il panorama è la Los Angeles del mondo del cinema, tra residence di lusso, feste di produttori e provini. E già sfumano, o quantomeno non sono più così fondamentali, i legami con Meno di zero: si rafforzano, invece, quelli con Lunar Park, soprattutto nel momento in cui Clay parla dello scrittore del romanzo che, venticinque anni prima, vedeva lui e i suoi amici al centro dell’intreccio. Ecco che ritorna la molteplicità di strati del libro uscito cinque anni fa. Ma allora, cosa c’è sotto Imperial Bedrooms? Prima di tutto c’è la volontà di proseguire un discorso importante nella bibliografia di Ellis, ben evidente anche in Glamorama: la riflessione intorno alla paranoia. Attraverso le descrizioni dei deliri (“in contesto di lucidità e con capacità cognitive integre”, come dice la definizione del termine) dei protagonisti degli ultimi tre romanzi, Ellis fa emergere il vero tratto distintivo dell’inconscio collettivo americano. Anzi, lo rende quasi esplicito in un passaggio in cui descrive un comportamento di Rain, la ragazza di cui Clay a suo modo si invaghisce.

(…) noto come la guardano i colleghi, e anche parecchi altri uomini che vagano per i negozi, e anche lei se ne accorge e cammina svelta, tirandomi per mano, mentre fa finta di parlare del più e del meno al telefono, una forma di autodifesa, un modo per combattere quegli sguardi facendo finta che non esistono. Quegli sguardi sono il triste e continuo promemoria della vita di ogni bella ragazza di questa città (…) (pp. 48-49)

Essere al centro dell’attenzione, sempre e comunque: una condizione nella quale gli Stati Uniti, spesso per la loro stessa volontà, hanno vissuto da secoli. Questo porta a vulnerabilità, soprattutto quando si scopre di non essere invicibili, e che attacchi come quello di Pearl Harbor possono essere replicati in forma anche più distruttiva e subdola. Scatta immediatamente, quindi, la mancanza di fiducia (un’altra parola ricorrente in filigrana nelle pagine di Ellis) e, di conseguenza, un comportamento velatamente o esplicitamente paranoico, che dà luogo alla paura costante. In Imperial Bedrooms il protagonista è spesso fisicamente impaurito: gli tremano le mani, si piscia addosso, gli manca il respiro. Ma il suo primo istinto è quello di non sapere, di costringersi a fare finta di niente, o meglio di continuare a credere che le cose vadano come dovrebbero andare. E di annegarsi in droga e alcol per trovare una dimensione confortevole: un comportamento che, in effetti, lega i personaggi dello scrittore americano da venticinque anni a questa parte. “We know who you’re with and where you are”, recita “Imperial Bedroom”, di Elvis Costello (sua è anche una canzone che si intitola “Less Than Zero”). Quindi, Imperial Bedrooms è l’ennesimo trattato sulla paranoia di un Paese sull’orlo del collasso. O no?
Secondo un altro dei personaggi del romanzo, le persone si rivolgono a Clay perché “è uno che aiuta gli altri”. Che “gli altri” siano sempre delle giovanissime attrici, attraenti e disponibili, fa logicamente pensare che alla fine Clay pensi fondamentalmente ai fatti suoi. Un concetto che si esplicita anche alla fine del libro: “Le persone mi fanno paura”, dice il protagonista, concludendo il romanzo su una parola di cui abbiamo sottolineato l’importanza. Ma attenzione: Clay è uno sceneggiatore alle prese con i provini per un film che ha scritto e di cui sarà il produttore: il titolo è The Listeners. Torniamo al vero Bret Easton Ellis: due anni fa è uscito The Informers, un film tratto dalla raccolta di racconti omonima (tradotta in italiano con il demenziale titolo Acqua dal sole). Dopo avere lavorato con passione alla sceneggiatura, Ellis si è visto stravolgere il progetto da un cambio di regista: il risultato pare che sia catastrofico. Allora, forse, Imperial Bedrooms è molto più “egocentrico” di quanto potesse sembrare: esattamente come Ellis ha tentato di scrivere la sua storia per poi vederla danneggiata dalla produzione, Clay cerca disperatamente di seguire uno schema nella sua vita, di mantenere un ordine o quanto meno una logica degli eventi plausibile, mentre tutti gli altri personaggi rimaneggiano e rimodellano la trama di cui fa parte. Ellis, scontrandosi con il mondo del cinema, scopre che il suo ruolo è subordinato ad altri, nonostante sia lui, lo scrittore, a fornire la materia prima della narrazione, sia essa pur svolta per immagini. Ma gli altri, tutti gli altri, contano di più.

– Voglio stare con te, – dico.
– Non succederà mai, – dice, voltandosi dall’altra parte.
– Per favore, smettila di piangere.
– Non faceva parte dei piani.
– Perché no? – chiedo. Premo due dita su entrambi i lati della bocca e costringo le sue labbra a sorridere.
– Perché tu sei solo lo scrittore.
(p. 134)

Forse Ellis sta solo raccontando nuovamente se stesso, o ci sta solo dicendo che non ha fatto altro, oppure è davvero un fedele cantore del collasso degli Stati Uniti. O forse ci sta solo prendendo in giro, con buona probabilità di riuscirci. In fondo, noi siamo solo i lettori.
La traduzione del romanzo, edito da Einaudi, è di Giuseppe Culicchia.

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