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Dalla prima all'ultima carrozza – Express Festival 2009

Sette concerti in dodici giorni, band diverse tra loro, due location e infiniti cambi di temperatura. Ehm, cercherò di essere breve. Se cliccate sulle fotine, ne potete vedere delle altre. Pensate un po’.

Lydia LunchDal 1977 con amore – Lydia Lunch (20 maggio)

L’avevo intervistata nel pomeriggio a Maps, e aveva concluso la telefonata dicendo letteralmente “portatevi le palle, perché avrò il pisello di fuori”. Questa è Lydia Lunch. Un personaggio che è entrato a gamba tesa nella no wave newyorchese e che lì è rimasta, ben sapendolo. Una carriera fatta di dischi fondamentali e altri decisamente meno riusciti. Sul palco del Locomotiv dice “siamo nel 1977”: prendere o lasciare. Vestita in maniera improbabile, tortura la sua chitarra, ma tira fuori uno spettacolo divertente e consapevole di essere qualcosa di altro, che viene da un altro tempo. Pubblico variopinto e composito, ma quelli, anzi, quelle più truccate non erano nate quando la giovane Lydia faceva comunella con James Chance. Decisamente un bell’inizio.
Sweat, sex, rock’n’roll – Boss Hog e Micragirls (21 maggio)
Cristina MartinezSeconda giornata del Festival all’insegna del sesso e del sudore. Le Micragirls sono tre finlandesi giovanissime, che fanno un garage rock sghembo e scanzonato, divertente. Poi salgono sul palco i Boss Hog: Cristina Martinez non si risparmia, così come Jon Spencer e gli altri della band. Pantaloni di pelle, repertorio preso dai dischi dei Boss Hog, con canzoni che sembrano non vedano l’ora di uscire da bocche, chitarre e tamburi, dopo otto anni di assenza della band dai palchi. Uno dei migliori concerti dell’anno. Giudizio che, lo ammetto, potrebbe derivare anche dal fatto che l’ho seguito tutto in prima fila, a una spanna di distanza da quella meraviglia che è (ahimè) la moglie di Jon Spencer. Eccezionali.
Genesis P-OrridgeMutations – Psychic TV (28 maggio)
La band di Genesis P-Orridge inaugura la seconda tranche dell’Express, all’Arena Puccini. Come nel caso di Lydia Lunch, siamo trasportati altrove, in una dimensione altra, data prima di tutto dall’ormai avvenuta mutazione di Orridge nella sua scomparsa signora. Caschetto biondo, occhi perennemente sgranati, movenze che tentano di essere sexy e provocanti. Ms Genesis ce la mette tutta, e così la sua band. Quello che tirano fuori è uno spettacolo divertente, ma sfuggente, talvolta poco compatto. Rimane, però, una sensazione di divertissement, di intrattenimento che, alla fine, ripaga. Certo, un po’ più di energia non avrebbe guastato, ma in fondo la signora ormai ha una certa età, sebbene sembri comunque più a suo agio a fare le mossette su un palco che a servire il te delle cinque.
Torsten KinsellaSpace Trip – God Is an Astronaut e Nicker Hill Orchestra (29 maggio)
La Nicker Hill Orchestra suona un post rock diligente e ben fatto, ma forse deve ancora acquisire forza e compattezza per risultare efficace. Dopo di loro, finalmente vedo la band irlandese, al chiuso del Locomotiv Club. Ed è uno dei live che vale la pena di vedere in quanto concerto dal vivo. Mi spiego: i tre tirano fuori sul palco dei suoni infinitamente migliori che su disco, e danno ancora senso all’abusata espressione “post rock”. Non lasciano un attimo di tregua, affascinano e coinvolgono, senza avere paura di cadere, in certi momenti, in squarci di riff e ritmi quasi-metal, per poi risollevarsi eterei su nel cielo, portandoci un po’ dove vogliono loro. Quando, dopo un’ora e passa, il concerto finisce, si è quasi storditi, e si vorrebbe fare un altro giro, subito. Un solo appunto: è lodevole l’idea dei God Is an Astronaut di associare dei visual ad ogni brano, è buona parte dello spettacolo, ma molti dei video sembrano davvero visti e rivisti. Peccato, no?
Matmos liveMinimalia – Matmos e Macchine sonore (30 maggio)
Macchine sonore è un progetto di Dario Neri, che, usando materiali industriali (telai, ruote di acciaio, martelletti) e vari pedali, crea loop ipnotici e affascinanti. Forse la location dell’Arena Puccini, in questo caso, non ha aiutato, ma comunque il progetto è da tenere d’occhio. Dario rimane sul palco anche quando ci salgono i Matmos. Il duo è spiritoso, simpatico e decisamente a suo agio. Il set che propongono, però, si rivela alla fine un po’ noioso. Certo, i Matmos riescono a tirare fuori suoni davvero da tutto: il momento davvero memorabile del concerto è una partita a dadi (con dadi da venti, i nerdacci che sono) che diventa una base per un brano musicale. Ma non mi basta, che vi devo dire?
Akron/Family liveIndiegestione – Akron/Family, Women e His Clancyness (31 maggio)
Penultimo giorno del Festival dedicato più di altri alla musica indie, qualsiasi cosa questo termine ormai voglia dire. A patto che voglia dire qualcosa. Del progetto di Jonathan dico solo bene: ormai ha acquisito una sua forma e dimensione, con brevi brani sognanti e eterei, che si reggono bene sulle trame di chitarra e voce e su loop di batteria. Ma la vera sorpresa sono i Women. La band canadese, lo ammetto, su disco non mi aveva convinto gran che. Brani che sembravano essere complicati ad hoc, con suoni creati apposta per tenere a distanza l’ascoltatore. Dal vivo i Women si riscattano ai miei occhi: la sezione ritmica è semplicemente incredibile, e anche le canzoni sembrano concedersi un po’ di più, senza perdere la loro complessità. Pubblico entusiasta, e credo che questa soddisfazione sia derivata davvero, più che da “ehi, dopo avere ascoltato il loro disco d’esordio mille volte me li vedo finalmente dal vivo”, da un “ma chi accidenti sono questi? Ehi! Vado a scaricarmi il disco (siamo nel 2009, facciamocene una ragione)”. Infine, Akron/Family. Beh, partiamo dal presupposto che non li ho mai amati molto, è la prima volta che li vedo dal vivo e mi fanno una certa impressione. Sono eccezionali a suonare, hanno una coesione invidiabile tra di loro, ma dopo un’ora di concerto sono semplicemente stanco. Stanco, sì, non ho più voglia di seguirli, hanno dato a sufficienza in sessanta minuti. Invece lo show dura per altri venti, almeno. Che i fan della band non me ne vogliano, ma qua bisogna togliere, avere il coraggio (sempre a mio parere) di fare set più corti, e magari più efficaci.
Sunn O))) liveOmbre e nebbia – Sunn O))) (1 giugno)
L’Express Festival si conclude di nuovo dentro il caro, vecchio Locomotiv Club, con uno dei concerti più attesi dell’anno. I Sunn O))), che hanno appena pubblicato Monoliths and Dimensions, per me già uno dei dischi dell’anno, tornano in Italia con un tour che celebra i dieci anni dall’uscita di The Grimmrobe Demos, rifacendo il disco per intero dal vivo. Lo potete vedere dalle foto: il Locomotiv completamente ricolmo di fumo, le figure incappucciate di Stephen O’Malley e Greg Anderson che si intravvedono appena sul palco, l’aria che risuona di accordi bassissimi e potenti per più di un’ora. I Sunn O))) portano all’estremo l’idea di concerto, e forse anche di musica: assistere a un loro concerto, chiamiamolo così, è davvero un’esperienza sensoriale, fisica, che prova e sconquassa. E’ qualcosa di vicino a una performance di arte contemporanea, più che altro. Ma i due sanno decisamente il fatto loro: ascoltare l’ultimo disco per credere (o per ricredersi). Una serata memorabile.
Ecco qua, insomma. Le ultime parole di questo lungo post vanno, però, al Locomotiv, il posto dove ho passato, anche quest’anno, un sacco di tempo, dove ho messo i dischi, visto concerti, bevuto e chiacchierato. Dove mi sono divertito e consolato. E quindi grazie a tutti quelli del Locomotiv, a Gabriele, Michele e i ragazzi del bar, e i fonici, e tutti, davvero: perché ci vuole coraggio, di questi tempi, in credere in quello che fate. Bravi. Non vedo l’ora che sia settembre per ricominciare.

L'antica arte del fare le liste musicali di fine anno

Visto che tanto tra un po’ comparirà anche sul sito di Maps (in forma più ricca), anticipo qui le due liste musicali del 2008, dischi e concerti. L’anno scorso me l’ero cavata non mettendo dischi e concerti in ordine di importanza, quest’anno non posso usare quell’escamotage, quindi…

I dischi del 2008
Una nota: per lavoro, da gennaio a oggi, ho considerato qualcosa come 200 e rotti dischi. Questo vuol dire, in media, ascoltare un disco per un giorno e mezzo e poi basta. Ovviamente capirete che questo è impossibile. I dischi sono troppi, davvero. Ma ecco la mia decina:

1. Fleet Foxes – ST (SubPop/Bella Union)
2. Portishead – Third (Island)
3. TV on the Radio – Dear Science (4AD)
4. Bon Iver – For Emma, Forever Ago (Jagjaguwar)
5. Nick Cave & the Bad Seeds – Dig! Lazarus! Dig! (Mute)
6. Vampire Weekend – ST (XL)
7. MGMT – Oracular Spectacular (Columbia)
8. Black Mountain – In the Future (Jagjaguwar)
9. Why? – Alopecia (Tomlab)
10. Blake/e/e/e – Border Radio (Unhip)

I concerti del 2008
Altra nota: siccome sono maniacale, so esattamente quanti concerti ho visto in questi dodici mesi. Sono quarantaquattro. Per il sito di Maps ne ho selezionati cinque, qui mi allargo a dieci (ma venti sono davvero da ricordare, il che non è male, no?). Tra parentesi, come da tradizione, link a set fotografici, recensioni, video.

1. Bruce Springsteen & the E-Street Band (Stadio Meazza, Milano, 25.06.08) (foto, video, video, blog)
2. Fleet Foxes (Magazzini Generali, Milano, 15.11.08) (foto, blog)
3. Portishead (Saschall, Firenze, 31.03.08) (foto, video, blog)
4. Battles (Estragon, Bologna, 07.05.08) (foto)
5. Singer (Knitting Factory, New York, 29.04.08) (foto, blog)
6. Einstürzende Neubauten (Estragon, Bologna, 12.04.08)
7. Mondo Cane (Piazza Santo Stefano, Bologna, 18.07.08) (foto)
8. Explosions in the Sky (Estragon, Bologna, 26.05.08) (foto, blog)
9. R.E.M. (Futurshow Station, Bologna, 26.09.08) (foto, video)
10. Massimo Volume e Blake/e/e/e (Estragon, Bologna, 07.11.08) (foto, foto, blog)

Et voilà. Scannatevi nei commenti, dai.

Il vecchio e il nuovo

Per chi, come me, è arrivato a Bologna a metà degli anni ’90, i Massimo Volume sono stati una presenza costante, voluta o meno. Io credo anche di essere andato ad un loro concerto, probabilmente intorno al 2000, o anche prima, nella vecchia sede del Teatro Polivalente Occupato, quando stava in via Irnerio. Poi per lungo tempo, non ho ascoltato, se non sporadicamente, i Massimo Volume.

PaoloMolti mi hanno parlato, negli ultimi anni, dei Franklin Delano: devo avere ascoltato qualche loro canzone, ma non li ho mai visti dal vivo. Poi, quest’estate, chi ha registrato il “loro” nuovo disco, mi ha detto: “Il nuovo progetto dei Franklin Delano è davvero bello.” Un paio di mesi dopo è arrivato un promo in radio, firmato Blake/e/e/e, intitolato Border Radio. Amore al primo ascolto.

Blake/e/e/e e Massimo Volume sono stati protagonisti del concerto di venerdì scorso all’Estragon, i primi come band di spalla dei secondi, che si sono sciolti nel 2002 e adesso si sono riformati. Sono due band diverse, davvero molto diverse: i Blake/e/e/e lavorano sulle suggestioni della musica, usano tanti strumenti, dal banjo alla chitarra, dalla steel drum alle percussioni. Quando li ho ospitati in Maps hanno detto che il loro disco è decisamente sifone-friendly*, ed è vero. Ma è un disco che affascina, intriga. È un lavoro in cui ogni canzone suona nuova e sorprendente, che mischia suoni e tendenze diverse tra loro, che richiama i modi tonali orientali senza sembrare ruffiano, che usa accorgimenti della musica indiana senza che ti venga da dire “E basta con ‘sti fricchettoni”. E tutte queste promesse sono mantenute dai Blake/e/e/e anche dal vivo: mezz’ora ipnotica e bellissima, che ha attirato e fatto ululare anche molto del pubblico che venerdì era all’Estragon solo per i Massimo Volume.

Mimì closing eyesI Massimo Volume, invece, spostano il peso del corpo tra le bellissime parole di Clementi e le musiche dei validi elementi che hanno fatto parte della band negli anni. L’aggiunta di questa reunion è quella di Stefano Pilia, uno che conosco da anni, e che ho visto suonare numerose volte, ma di cui non avevo mai veramente intuito lo spirito rock da animale da palco (espressione logora e abusata? Guardatelo dal vivo e poi ne riparliamo). Perfetti Egle Sommacal e Vittoria Burattini, scatenato Pilia, come dicevo, e Clementi che ci crede. Ecco, forse, il segreto. Crederci, veramente e in maniera assoluta. Ma credere a quello che si dice, che si canta e si suona, senza pensare ad altro. La scommessa era quella di vedere, dopo le tonnellate di riff, rullate e altro che ci siamo sorbiti dal 2002 ad oggi, se la musica dei Massimo Volume fosse ancora valida. Lo è. L’altra scommessa era verificare se le parole di Clementi, le sue visioni urbane dei sentimenti, colpissero ancora. Vinta anche questa.

Il risultato è che il concerto di venerdì è stato non solo uno dei più belli, ma soprattutto uno dei più sinceri che abbia mai visto. E credetemi che di sincerità, nel mondo della musica come in altri, non ce n’è mai abbastanza.

Blake/e/e/e live@Estragon: set fotografico
Massimo Volume live@Estragon: set fotografico

Nel suo giardino – Cristina Donà @ Estragon 15.12.07

La legge di Murphy colpisce sempre, in tutte le sue varianti, compresa quella dei concerti: “Se per una volta andrai in ritardo ad un concerto, sarà all’unico concerto dell’anno che inizia in orario.”
E infatti così è stato per quello di Cristina Donà all’Estragon, dove, giusto un mese fa, ho aspettato per un’ora e mezzo l’inizio del concerto degli Okkervil River.

Comunque. Era la prima volta che vedevo la Donà dal vivo, e avevo nelle orecchie solo voci di gente che mi diceva delle gag che faceva dal vivo. Ora, mi era stata molto simpatica quando era venuta in radio (qui trovate, oltre ad un’intervista, anche una bellissima versione di “Universo” per voce e chitarra), ma non pensavo che fosse così divertente come in effetti è stata all’Estragon.
La Donà ha cambiato registro tutto il tempo: si è presa in giro per un suo profilo molto new age apparso su una rivista femminile, ha fatto le vocine, ha introdotto con aneddoti surreali le sue canzoni, e ha interagito meravigliosamente col pubblico.
Ad un certo punto del concerto lei era da sola con la chitarra sul palco, e due ragazze hanno iniziato a vociare dalle prime file. Il punto era che dovevano prendere la macchina per tornare a casa, perché lavoravano il giorno dopo. E ancora non avevano sentito “Invisibile”. “Ma io faccio quella canzone alla fine della scaletta, con tutta la band”, ha finto di protestare la Donà. Il resto scopritelo in questo video.
Ed è andata così fino alla fine. Ecco, quando un’artista riesce a parlare in maniera intima e scanzonata allo stesso tempo, per me raggiunge qualcosa che molti altri musicisti che ho visto su quel palco e in tanti altri posti non sfiorano neanche. La consapevolezza di sè, della propria bravura e dei propri limiti, ti porta davvero dentro la musica che sta suonando. E si svolazza tutti insieme, ben sapendo che, anche se si dovesse atterrare di culo, ci sarebbe una risata a separarci dal prossimo decollo.

Foto
Cristina Donà – Invisibile – live acustica (video)
Cristina Donà – Mangialuomo – live acustica (video)
Cristina Donà – Goccia – live (video)

E chi l'avrebbe mai detto…

…di vedere Tool e Nine Inch Nails sullo stesso palco? E di vederli per la seconda volta nel giro di una manciata di mesi? Eppure.

L’Independent Days Festival di quest’anno si è ridotto, per me, ai concerti degli headliner di cui sopra. Delle altre band, lo confesso, non me ne poteva fregare di meno. Sono arrivato all’Arena Parco Nord alle sette e mezzo, ho visto i Maximo Park salutare il pubblico, pubblico che indossava solo magliette dei Tool e dei NIN, peraltro, e mi sono sistemato sulla collinetta davanti al palco. Una posizione da anziani, lo ammetto, ma il mio corpo aveva dato abbastanza a stare nelle prime file qualche mese fa.

Il set dei Tool è stato meraviglioso. La band di Maynard Keenan, si sa, è una macchina perfetta e si è presentata a Bologna in forma smagliante. Addirittura Maynard ha detto una decina di parole, introducendo i Nine Inch Nails e prendendo in giro il cappello nuovo di Jeordie White, che il bassista dei NIN ha avuto la decenza di non mostrare, però. Il concerto è stato potente, compatto, senza mezza sbavatura, decorato da scenografie stupende e da giochi di luce meravigliosi, con tanto di laser verdi sul pubblico. E su “Lateralus” un jam stupenda che valeva da sola tutto il concerto.

I NIN hanno seguito più o meno le scalette dei concerti del tour di Year Zero. La scaletta di Milano è stata più ricca di classici (ricordo ancora, allora, una “Reptile” da brividi), ma si sono superati in quanto ad allestimento del palco. Il vero motivo, a parte l’età che avanza, per cui mi sono messo a una certa distanza dal palco è stato proprio quello di vedere le luci e gli effetti sul palco dei Nine Inch Nails. Nel loro ultimo dvd, Beside You In Time, è possibile rendersi conto dell’apparato scenico che accompagna alcuni pezzi: è sbalorditivo il lavoro che viene fatto e la precisione con cui lo staff di Reznor e soci agisce sul palco, in perfetta coordinazione con dei musicisti pazzeschi. Ho letto di sospetti di playback, ma sinceramente non credo siano fondati. Reznor è un perfezionista e difficilmente si accontenta di performance mediocri da parte di musicisti e tecnici. Ecco spiegata l’enorme livello della performance dei NIN. E poi hanno fatto “Dead Souls”!
Unica nota negativa, il pistolotto pro-file sharing, diligentemente tradotto per il gentile pubblico dall’italico tastierista Alessandro Cortini: citando Valido, allora regalaceli in allegato con un giornale, i dischi.

Ah, no, c’è un’altra nota negativa, ma riguarda l’organizzazione del festival in sè: una volta entrati nell’arena non si poteva uscire. Avete letto bene. Una specie di reclusione forzata, con le migliaia di persone presenti obbligate a fare la fila per un (1) bagno e due (2) punti ristorazione. Il tutto nel mezzo della Festa Nazionale dell’Unità, ricolma di cessi e crescentine. Mah.

Tool setlist: Jambi – Stinkfist* – Forty six and 2 – Schism – Rosetta stoned – FLOOD – Lateralus – Vicarious
NIN setlist: Hyperpower!* – The Beginning of the End* – Heresy* – Terrible Lie – March of the Pigs – Closer – Survivalism – Burn – Gave Up* – Me I’m Not – The Great Destroyer (Slave Screams interlude) – Eraser – Only – Wish – The Good Soldier – No You Don’t – Dead Souls* – The Hand That Feeds – Head like a Hole –
Hurt

Dei pezzi con l’asterisco trovate i video sulla mia pagina di YouTube, e qui ci sono diverse foto.
La posizione centrale-su-collinetta ha diversi vantaggi, oh yeah.

As a Rose

Qualche anno fa avevo scritto un post su Bologna di domenica, su come i non italiani che ci abitano vedessero davvero quel giorno come una giornata di riposo, durante la quale uscire e stare in giro.
L’estate, fondamentalmente, è un’enorme e lunghissima domenica (sarà per questo che non mi piace?), e in questo periodo mi rendo conto di come i non italiani occupino spazi e tempo, di come si trovino fuori, insieme, di come vivano la strada e la piazza. Dei modi che ormai sono diffusi solo tra gli italiani che vivono nei piccoli paesi.

Ma ultimanente una cosa mi ha colpito più delle altre. Quando vado al lavoro passo sempre vicino ad un enorme supermercato, circondato da un prato, che dà direttamente sulla via Emilia. Non esattamente un luogo ameno. Nonostante ciò, ho visto innumerevoli volte sostare sull’erba, sotto la scarsa ombra degli alberi giovani e piantati da poco, gruppi di pakistani, cingalesi, ucraini, russi, albanesi. Stanno là, si tolgono le scarpe, fanno pausa pranzo con un panino e una birra, chiacchierano o non si dicono nulla. Fanno quello che sempre meno fanno gli italiani in parchi, giardini, cortili, lo fanno in un posto che io non vivrei come un prato, ma come “il prato davanti al supermercato”. Per loro non è così. E in fondo, come contraddirli se mi dicessero Un prato è un prato è un prato è un prato?

Di |2007-08-08T16:46:00+02:008 Agosto 2007|Categorie: I've Just Seen A Face|Tag: , , , , |4 Commenti

Love (Hate Love) Street

In questi giorni di caldo torrido, quando le finestre sono aperte soprattutto di notte, mi accorgo di una peculiarità della strada dove abito. È una piccola traversa, molto vicina a grandi piazze e grandi vie del centro di Bologna, e questo suo essere defilata e allo stesso tempo centrale, la rende una specie di retroscena naturale di ciò che accade sul palcoscenico della città. In particolare per quanto riguarda drammi e commedie romantiche.

Sì, è una via in cui la gente si ama o si odia, senza mezze misure. Capita di vedere quelli che sembrano essere primi baci, altri che sembrano sancire unioni clandestine, altri ancora che preludono ad una serata-che-è-tutto-un-programma. In questo caso si sente poco, si vedono ombre abbracciate e appoggiate ad una colonna, sussurri tra un bacio e un altro. Ma nella mia strada le coppie si lasciano, litigano, urlano contro qualcuno dall’altra parte della cornetta o a pochi passi da loro. La strada è stretta, e anche se sono in casa, le voci rimbalzano e raggiungono tutte le finestre aperte, facendo penetrare in camere e salotti dolore, sarcasmo, spesso pianti e grida. Capita che io e i miei vicini ci affacciamo alle finestre, quando le urla si fanno talmente forti da rendere roche le voci e da bruciare le gole. Tuttavia spesso non vediamo da dove vengono, queste grida, nascoste dai portici, e aspettiamo, con apprensione e tenerezza, che vengano soffocate da un bacio riappacificatore e che tutto torni quieto, dopo qualche bisbiglio.

Di |2007-07-30T19:24:00+02:0030 Luglio 2007|Categorie: I Me Mine, I've Just Seen A Face|Tag: , , , , , , |5 Commenti

We do need (a classic) education

Arrivo dopo la puzza, come si usa dire, ma penso che molti dei lettori di questo blog non siano così attenti (giustamente) a tutti gruppi che si presentano ogni giorno sulla strabiliante scena dell’indie italiano e non solo, e che vengono continuamente accolti come the next big thing, definiti “miglior gruppo di sempre”, per essere (giustamente) dimenticati una manciata di mesi dopo. Quindi rilancio parole che già in molti hanno speso, immaginando che trovare qua un post su un gruppo che non ha ancora fatto uscire un proprio disco possa avere un “valore aggiunto”, vista il mio noto scetticismo sulla cosiddetta “scena indie”. Ovviamente, se mi considerate un idiota (giustamente), il disco avrà un “valore sottratto”. Rischio.

A classic education, rispetto alla stragrande maggioranza dei nuovi gruppi italiani “indipendenti”, è altra cosa. Come era capitato per gli altri beniamini Settlefish, ho avuto la fortuna di avere i pezzi di questo gruppo direttamente dalle mani di uno dei componenti della band (anni fa, quando sentii il demo del primo disco dei Settlefish si trattava di un cd masterizzato, qualche mese fa, quando ho sentito i pezzi di A classic education, era una cartella con degli mp3: segno dei tempi). E sono rimasto sbalordito dalla bellezza dei pezzi, degli arrangiamenti, dell’uso di tastiere e archi (per cui ho sempre avuto un debole), per l’approccio pop e colto al tempo stesso, per il godimento che i singoli membri hanno nel suonare, godimento che traspariva in maniera evidente dall’ascolto delle tracce.
A classic education, prima di tutto, ascolta musica, ama la musica senza pregiudizi, e ama suonarla. In questo periodo di superficialità e ignoranza musicale non è poco, anzi, è una delle cose che fa la differenza.
E tutto questo l’ho ritrovato live, quando A classic education ha aperto per i Modest Mouse, all’Estragon, lunedì scorso. (Saranno stati i suoni, confusi e impastati per metà concerto, ma non mi sono goduto tantissimo la band di Isaac Brock, non quanto il breve set che li ha anticipati, comunque: per il concerto dei Modest Mouse sono perfettamente d’accordo con quello che dice Enzo: sono rimasto affascinato da Johnny Marr, dalla sua scioltezza sul palco. Chi suona da trent’anni si vede, e per fortuna).

Insomma, A classic education ha tutte le carte per fare il botto, come tante altre band. Ma, a differenza di altre, ha ottime possibilità di rimanere in alto. E il fatto che, al terzo concerto si siano esibiti a Londra e che presto divideranno il palco con i Wilco è solo una prova che deriva dalla forza della loro musica. Il che, per una band è importante, smettiamola di dimenticarcelo.

A classic education: sito
A classic education: MySpace
(ascoltate i pezzi!)

Intervista agli A classic education: intervista su Polaroid Blog

P.S. Se proprio domani non avete niente da fare, venite al Toga Party del Biografilm Festival. Io e FedeMC vi faremo ballare il rocchenrol come se foste ad una festa dei Delta. Insomma, come compiere 29 anni e non sentirli.

Sapere elettronico

Credo che tutti i negozi che vendono materiale elettronico, quei posti in via d’estinzione in cui si può comprare dallo stereo alla presa tedesca, dalla videocassetta al televisore al plasma, abbiano qualcosa in comune. Più precisamente credo che chi gestisce questi negozi sia un tipo ben definibile.

A Gorizia, da ragazzino, frequentavo un posto del genere, vicino casa. Mentre io andavo lì per comprare caterve di musicassette vergini, altri clienti trattavano su testine al platino, termostabilizzatori ionici e raggi laser. Era un negozio che, nel magazzino, aveva probabilmente tutti i pezzi per costruire uno Shuttle, a saperli montare.
Il gestore di questo negozio si chiamava Furio, e lo era di nome e di fatto. Perdeva la pazienza se uno esitava nella scelta, gli metteva le mani alla gola se osava dubitare della qualità della sua merce o del prezzo che aveva. Capite bene che Furio mi faceva aspettare ore, dall’altra parte del bancone, quella vicina alle cassette, per darmi cinque Sony HF da 60, mentre lui si intratteneva mostrando componenti che, per quanto mi riguarda, potevano andare bene in una lavatrice o in un reattore nucleare. Capite bene quanto poco potessi soddisfare l’incazzoso (questo era uno dei soprannomi di Furio), chiedendogli semplicemente di aderire alla sua personalità di negoziante (chiedo, ottengo, pago), cosa che, giustamente, fa andare in bestia chiunque, soprattutto se ha un negozio. La situazione migliorò leggermente quando passai dalle semplice HF alle musicassette con nastro al cromo e guida in ceramica, ma lui si stufò presto comunque, appena prima di quando finirono i miei risparmi, accumulati a suon di paghette.

Ho trovato un negozio del genere a Bologna, in centro, a pochi passi da casa. È un posto piccolo e stipatissimo di cose, compresi i genitori del gestore, piazzati perennemente su due sedie, ai due lati di un espositore, che credo in origine fosse rotante, ma che immagino l’ultimo scampolo di buon cuore del negoziante abbia fermato, per non rendere troppo aspro il contrasto con i suoi vecchi.
Caratteristica del gestore è che possono esserci cinquecento clienti in attesa, lui comunque vorrà finire la spiegazione dettagliata delle caratteristiche tecniche dell’oggetto che sta vendendo, e che venderà sicuramente, prendendo per sfinimento l’acquirente con dettagli che annoierebbero anche chi, l’oggetto, l’ha progettato.
Ogni volta che entro in quel negozio, quindi, vengo preso da sentimenti contrastanti: da un lato l’ansia di rischiare di perdere un’ora della mia vita assistendo ad una lezione della Scuola Radio Elettra, dall’altro con la consapevolezza che il tipo ne sa, i prezzi sono buoni, e quindi ogni volta potrebbe scapparci la dritta o l’affare.

Una volta ci sono entrato, con fare baldanzoso, sicuro di me, e ho detto: “Vorrei una spazzolina in fibra di carbonio per pulire i vinili.” (Anni di attesa dall’incazzoso mi hanno formato, almeno un po’.) Il gestore è rimasto un po’ spiazzato, mi ha preso la spazzolina, e lì ho commesso un errore gravissimo: ho chiesto quanto costasse. Assurdo. Il vero compratore professionista chiede e paga. Il prezzo, in un negozio, è un dettaglio marginale. “Nove e novanta”, mi ha detto, con un’espressione che significava qualcosa come “Ti rendi conto? Te la do a nove e novanta! No, se vuoi discutere di questo prezzo, fai pure, eh, voglio proprio vedere se la trovi a meno.” Ho ovviamente pagato senza batter ciglio, ho fatto per uscire, quando il negoziante mi ha chiamato. “Sai come si usa?”, mi ha chiesto. Ora, voi che faccia avreste fatto? Ecco, proprio quella, quella che indica un momento di smarrimento tale che dubitereste anche del vostro nome di battesimo. Al che lui, pietosamente, mi ha dato il prezioso consiglio di non toccare le setole (di carbonio) con le dita, se no si ungono. E io che pensavo di dare alla spazzolina una ripassata in padella, per migliorarne le qualità.

Ultimamente, invece, ci sono andato per comprare dei cd e dvd vergini. Ovviamente ho sbagliato ancora, insistendo stupidamente per sapere il prezzo della merce. Ma questo non ha semplicemente fatto scaturire la solita espressione di sfida e pietà al tempo stesso. Coadiuvato da un’altra cliente, sicuramente una complice, il negoziante mi ha iniziato a fare un discorso sulla “politica dei prezzi in Italia” (sic). La sua conclusione è stata semplice: in Italia i prezzi sono falsi (arisic). Ma esiste un modo per uscire da questa sorta di Matrix del commercio, il gestore del negozio di elettronica me l’ha detto, e io voglio condividere le sue parole. “Sai come faccio io? Vado a fare la spesa in Germania: perdo una giornata, ma risparmio anche cinquecento euro.”
Quindi, donne e uomini che mi leggete, se il vostro partner o la vostra partner esce di casa dicendo “Vado a comprare le sigarette” e poi non si fa vedere per ore, state tranquilli: non siete capitati in una brutta situazione da film. Accendete Isoradio: sicuramente ci sono code sul Brennero, in entrambi i sensi di marcia.

Dead Again

Nella foto i conduttori della Notte dei Morti Viventi 2005 tornano a casa nelle prime ore del mattino

Come già successo l’anno scorso, questa notte sarà La Notte dei Morti Viventi. Chiudiamo quindi la Campagna Abbonamenti della radio con una diretta lunga dodici ore, a partire dalle 2230 di stasera. Il tema di quest’anno è la magia: parleremo di incantesimi, astrologia, esoterismo, manovre economiche, musica maggica, film maggici. Come al solito l’invito è quello di chiamare in diretta, partecipare ai quiz, vincere dei premi, mandare mail e sms, e magari anche passare in radio a spruzzarci di acqua santa.

Adesso, invece, vado al Sesto Senso, dove c’è l’aperitivo di fine Campagna Abbonamenti. Mi tratterrò, per evitare che “La Notte dei Morti Viventi” si trasformi per me in una diretta di un paio d’ore scarse.

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