enzo g. baldoni

Minestrone cosmico

Era l’estate del 2003, l’estate dopo la mia laurea, quando ho aperto questo blog. Il giorno di Ferragosto. Non sapevo cosa avrebbe portato, quali conoscenze, opportunità, scazzi. Non sapevo neanche dove sarei andato a finire, se a Roma, a Milano, altrove.
Era l’estate dell’anno scorso quando ho iniziato a lavorare, un lavoro vero con orari e busta paga, responsabilità e compromessi, frustrazioni e tutto il resto. L’estate dell’anno scorso, quella che ricorderò sempre. Di solito le estati si ricordano per le vacanze, no? Invece di vacanze non ne feci, o quasi. Ma ero contento, stanco. E uno dei momenti più belli era sentire Enzo al telefono per i suoi servizi che avevamo chiamato “Cartoline da Baghdad”.

Un anno fa tornai di corsa a Bologna, Enzo era scomparso. La pila dei giornali sulle ginocchia, la diretta con la radio sperando che la linea non cadesse e che la batteria del mio cellulare non facesse scherzi. In mezzo a qualcosa che sentivo enorme e schiacciante, senza poter reagire umanamente a quello che succedeva, senza la possibilità di abbandonarsi, se non paradossalmente alle parole di Enzo stesso.
Una sera dell’estate dell’anno scorso ho provato a staccare, ad uscire a bere qualcosa.
Tornato a casa ho ricevuto un messaggio.
Poi sono andato su Internet.
E ho avuto la conferma al telefono da Pino Scaccia, ricordo solo qualcosa come “Sì, Francesco, è vero.”

Guardando il cielo stellato ho pensato che magari morirò anch’io in Mesopotamia, e che non me ne importa un baffo, tutto fa parte di un gigantesco divertente minestrone cosmico, e tanto vale affidarsi al vento, a questa brezza fresca da occidente e al tepore della Terra che mi riscalda il culo.

Impossibile che io mi dimentichi di Enzo, da quando l’ho conosciuto è sempre stato presente, in qualche modo. L’ho scritto anche in queste pagine, un anno fa, ma è nulla in confronto a quello che sento e porto dentro ogni giorno. Leggendo “Piombo e tenerezza” non riuscivo a pensare che non ci fosse più, e ho continuato, durante tutto il viaggio Roma-Bologna, a rileggere le sue mail, quelle della lista EnzoB e quelle che mi ha mandato personalmente.
Il nostro rapporto è stato fatto di parole, come tante delle relazioni che ha creato, e che ho creato anche io, anche grazie a questo blog che ha appena compiuto due anni.

(Continuerò a rileggerti e a riascoltarti, come si fa con i grandi scrittori e le persone a cui si è voluto bene.)

Bloghdad
KubaKuba
Ribelli
Ribelli2
Cartoline da Baghdad
Piombo e tenerezza
Una medaglia per Enzo

My generation

Mi rendo conto che sia un po’ tardi per parlare del primo libro di Dave Eggers, L’opera struggente di un formidabile genio, visto che è uscito cinque anni fa e voi gente colta e attenta al trend sicuramente l’avrete già letto. Tuttavia da un lato non mi importa, dall’altro, se io l’ho letto adesso, magari qualche altro che non l’ha ancora fatto, tra di voi, c’è.
Leggere questo libro adesso, per me, è stata una fortuna. Perché sono già da qualche anno nello schifo dello show (?) business (in una variante, però, in cui gli affari si vedono decisamente poco), perché ho passato i venticinque, perché sono già da un po’ nello status di precario che contraddistingue molti miei coetanei volenterosi. Se l’avessi letto quando è uscito, sarei stato rovinato. Perché avrei preso e mollato tutto per andare da un’altra parte, una qualsiasi. Perché avrei deciso di fondare una rivista, con la sicumera di farla diventare un caso nazionale. Perché avrei iniziato a scrivere in maniera diversa.
Leggerlo adesso, però, alla luce di alcune considerazioni venute fuori di recente, parlando con amici e anche con Nicoletti, perché no, mi ha fatto riflettere su una possibile prospettiva sulla nostra generazione. Oh, iniziamo a capirci bene: una possibile prospettiva; e per “nostra generazione” intendo grosso modo quella che comprende persone dai venti ai trent’anni circa. E so che ogni generalizzazione è, per sua natura, difettosa.
Eggers è spudorato, a partire dal titolo, e dalla trentina di pagine che introducono il libro, in cui infila, una dopo l’altra, delle “Regole e suggerimenti per apprezzare al meglio questo libro”, che comprendono anche una tabella dei costi e dei guadagni dell’autore, uno schema di interpretazione del romanzo e una tabella delle simbologie e delle metafore.
Ma la parte più significativa fa da cesura tra la prima e la seconda parte. L’autore, il Narratore, Eggers, insomma, fa un provino per Real World, il reality show di MTV: l’intervista con la selezionatrice viene trascritta completamente, fino a questo scambio di battute.

Un momento, dimmi una cosa. Questa non è la rappresentazione del colloquio com’è andato, vero?
Vero.
Al vero colloquio non ci assomiglia nemmeno, giusto?
Giusto.
È un espediente, questo andamento in stile di intervista, inventato di sana pianta.
In effetti.
Un buon espediente, devo ammettere. Una sorta di contenitore per tutta una serie di aneddoti che sarebbe stato inefficace combinare in altro modo.
Esatto.

Eggers si svela completamente durante un finto colloquio per essere preso ad una trasmissione che detesta, ma che gli darà notorietà. E usa un possibile prodromo a questa trasmissione (non vi rovino la sorpresa, se vi anticipo che non verrà selezionato) per mostrare la sua inadeguatezza ad usare la forma romanzo per dire tutto quello che ha da dire, per raccontare delle sue sventure, della morte del padre e della madre a cinque settimane di distanza l’uno dall’altra. Dire senza dire, “voler diventare ricco e famoso senza mostrare di volerlo veramente fare” (come si dice quando si parla della rivista Might, da lui veramente fondata), non sono solamente espressioni retoriche: sono l’atteggiamento doverosamente critico ma obbligatoriamente partecipe a determinati schemi della società di massa alla quale non credo sia possibile sfuggire. Quello che Eggers vuole è diventare famoso, e basta. Non importa come. Aspirazione legittima, si dice qui, soprattutto quando è spiattellata in questo modo.
Mostrare i meccanismi e le letture possibili è qualcosa va oltre il postmoderno (che il signore abbia pietà di me): lo scorpora per mostrarne i meccanismi, e lasciarli là, su carta bianca, inerti e a portata di mano di tutti. Ma mostrare il trucco di un gioco di prestigio fa perdere di interesse il gioco stesso.
Ecco perché credo che L’opera struggente di un formidabile genio segni un possibile punto importante (di non ritorno?) nella letteratura e sia uno dei più efficaci ritratti generazionali in cui mi sia mai imbattuto: perché non usa solo le armi del cinismo e dell’ironia, perché non è negativo, né pessimista, è schietto. Il protagonista non si piange addosso, usa il dolore per ottenere compassione, e lo ammette. Si prende in giro e si esalta allo stesso tempo. E’ conscio di essere smarrito, sa che questo vuole dire libertà, sa che la libertà è una possibile fonte di smarrimento, ma non ne può fare a meno.
La nostra generazione, come mi disse Enzo Baldoni qualche anno fa, “non ha avuto in genere grandi tragedie ne’ grandi epopee, e (…) quindi e’ costretta a parlare di cose piccole e di piccoli sentimenti.”
Ecco, la differenza rispetto a tanti dimenticabili altri è che un genio come Eggers lo fa alla grande.

Un omino e l'agenda-setting

Questa che vedete è una foto tuttora inedita di Enzo Baldoni, scattata nella periferia di Najaf nel pomeriggio del 19 agosto scorso. Dal 20 agosto non si avevano più notizie di Enzo. Il 24 agosto veniva trasmesso il primo e unico video in cui compariva Enzo. Il 26 agosto la televisione Al-Jazeera ne annunciava l’avvenuta esecuzione.
Si è parlato molto di Enzo nei giorni immediatamente successivi al 26 agosto. Ogni tanto se ne parla ancora. Ma le notizie si accavallano, in un gioco al quale siamo abituati e non facciamo più caso: una scaccia l’altra in un moto perpetuo al quale solo pochi riescono a sfuggire. Quindi, dopo il sequestro e la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta, e dopo il sequestro e l’uccisione di Ayad Anwar Wali (praticamente passato sotto silenzio), ci si è dimenticati di una delle tante anomalie del sequestro di Enzo e della sua fine: a differenza di altri corpi, il suo non è mai tornato in Italia. E in pochi continuano a ricordarsene.

Penso sempre di più che la cosa difficile non sia essere ben informati, ma ricordarsi, o non dimenticarsi di ciò che accade o che è accaduto.

Questi ultimi dieci giorni

Questi ultimi dieci giorni sono stati una sola, lunga, intensa e dolorosa giornata. Da quando sono stato svegliato la mattina di sabato 21 agosto con la notizia della scomparsa di Enzo, ad oggi pomeriggio, quando ho consegnato il pezzo per il numero speciale di Diario che uscirà venerdì. Ogni tanto, in questi dieci giorni, mi sono chiesto che cosa avrei fatto di questo blog, che è diventato qualcos’altro, rispetto al solito. Mi sono chiesto se avrei scritto un’altra puntata di Referrers. Un’occhiata a Shinystat mi è bastata per decidere che non era il caso. Ho pensato di dedicare questo spazio a quello che venivo a sapere su Enzo, sulla sua scomparsa e sulla sua fine: temi che mi hanno completamente occupato e invaso, in questi ultimi dieci giorni. Ma ogni volta che sono affiorati questi pensieri, così seri e definitivi, mi è venuta in mente la risata di Enzo, quella ho registrato tante volte in una delle telefonate che gli ho fatto mentre era in Iraq. Una risata sincera, a volte beffarda e scomposta, che faceva andare “in clip” la registrazione. Una risata che ho riconosciuto come familiare da subito.
Familiare. Si può sentire come familiare una persona che non hai mai visto? Sì. Mi ricordo di quando Enzo era in Colombia. Non vedevo l’ora che arrivasse una sua mail, sentivo la stessa ansia benevola di quando si aspetta il seguito di un romanzo o di un film. Perché lui le cose sapeva raccontarle, con onestà e semplicità, e senza retorica. Sapeva raccontare la vita che, si sa, è fatta di cose belle e cose brutte, paure, sesso, ansie e risate, senza soluzione di continuità. La sua risata, in quelle telefonate, irrompeva dopo una descrizione drammatica, ma non per cancellarne il peso, bensì per riportare tutto ad una dimensione umana e vitale.
L’aggettivo “umano” e le sue derivazioni e origini sono le parole che ho usato di più per descrivere Enzo, da quando facevo leggere le sue mail ai miei amici, fino a quando ho proposto il progetto di “Cartoline da Baghdad” alla radio.
Ogni volta che sono arrivati pensieri troppo seri e definitivi, sono stati accarezzati e resi mansueti dalla risata di Enzo, e mi sono reso conto che quello che mi ha fatto andare avanti in questi giorni, che mi ha fatto riascoltare ancora e ancora le sue telefonate, attentamente e senza cedere troppo alla tristezza, alla ricerca di qualcosa che mi facesse capire, quello che mi ha permesso di rispondere al telefono ripetendo sempre le stesse cose, che mi ha dato le forze per lavorare anche tutto il giorno, è stato quello che Enzo ha lasciato dentro di me.
“Mi è successo Enzo Baldoni”, scrive Daniela, conosciuta proprio grazie a Bloghdad, quando ancora sentivo Enzo tutti i giorni. E’ successo anche a me, Enzo Baldoni, e me lo tengo dentro. Per la vita di tutti i giorni, per i miei lavori, le mie passioni, per non smettere di cercare di capire veramente quello che gli è successo, per continuare a scrivere anche le mie cazzate qua.
Apparentemente, quindi, non cambia niente. Ma quando mi incontrate, guardatemi bene. Noterete una cosa: che mi è cresciuta la panza. Cose che capitano, quando ti succede di incrociare, nella vita, Enzo Baldoni.

Helen Williams

Sono riuscito a trovare Helen Williams e l’ho intervistata al telefono. La sua testimonianza è fondamentale per sapere che cosa è successo ad Enzo e Ghareeb il venti agosto scorso.
L’intervista con la mia traduzione simultanea è andata in onda su Pop Line, Radio Popolare di Milano, e verrà riproposta integralmente all’interno de La talpa spaziale, in onda dalle 1815 su Città del Capo Radio metropolitana di Bologna. Per sentirla seguite le solite istruzioni.

“Se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno, non diremo mai la verità”

Update: potete sentire l’intervista alla Williams, sia estesa in originale, che ridotta e tradotta.

Oggi

Oggi stare in redazione è ancora più duro, ma ancora più necessario. C’è stato e ci sarà il tempo per lasciarsi andare completamente al dolore. Adesso come adesso mi vengono in mente solo i volti dei figli di Enzo, conosciuti anche loro dalle parole del padre, via e-mail, ragazzi che hanno pochi anni meno di me. E la frase che campeggia in alto sul blog di Pino Scaccia (che ringrazio ancora e ancora e ancora per tutto quello che ha fatto, e per come si è comportato con me in questi giorni).
“Se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno, non diremo mai la verità”

Ancora una volta, non è come sembra. Ma tanto sono solo un giovane ed inesperto giornalista ventiseienne.

Ciao Enzo.

Di |2004-08-27T12:01:00+02:0027 Agosto 2004|Categorie: I Me Mine|Tag: , |14 Commenti

"Cose piccole e piccoli sentimenti"

Oggi ho avuto un crollo, ben mascherato dal mutismo, in redazione.
Appena avuta la notizia del rapimento sono schizzato via da casa, proprio mentre rispondevo a delle mail, scrivendo che dopo quattro giorni di delirio questo era il primo pomeriggio tranquillo (avrei dovuto dire “una tensione stabile”). Sono arrivato in radio, ho cercato Scaccia. Le solite domande. “Hai qualcosa da dirmi? Quali sono le reazioni là?”. Pino si è dimostrato, ancora una volta, una persona splendida. “Francesco, che ti devo dire? Troppo presto perché ti possa dire qualcosa. E poi, che reazioni? Ero io, qua, uno dei suoi amici.” Nonostante incombesse la diretta del TG2, ha trovato come sempre il modo di dirmi qualcosa e mi ha parlato un po’ del gruppo terroristico che ha rapito Enzo. Ho chiuso la telefonata, ringraziandolo (e non sarà mai abbastanza), sono andato a scrivere il pezzo. Stampato, consegnato. Poi mi sono seduto e ho visto un’altra, l’ennesima edizione di un telegiornale. Enzo è stato rapito.
Mi sono reso conto allora che, in fondo, speravo che fosse nascosto da qualche parte. Perché sono stato male, è venuta fuori tutta la tristezza e l’ansia per questa vicenda che i ritmi di lavoro serrati degli ultimi giorni avevano relegato da qualche parte, in fondo. Una tristezza che era stata sfiorata, ieri, quando ho dovuto scegliere un brano di una delle “Cartoline” che avevamo fatto, e risentire la sua voce dai file grezzi, con le risate e le battutacce in mezzo, mi aveva fatto un certo effetto. Ma ieri bisognava essere veloci, scegliere i brani, ripulirli, montarli. Oggi, no. E allora mi sono venute in mente le prime e-mail che ci siamo scambiati, sette anni fa, quando lui per me era Zio Zonker e io per lui Il Malva. Beh, veramente io sono ancora per lui “Il Malva”. In una mail, addirittura, dopo un sacco che non mi facevo sentire, mi appellava “Malva, vecchia troia!” tutto in maiuscolo.
Enzo è stato uno dei primi a leggere la mia prima raccolta di racconti. Appena l’ebbe finita mi scrisse.

Oggetto: Tempi diversi
Data: Sun, 5 Dec 1999 21:55:49 +0100
Da: egb
A: francesco

Ieri sera mi sono portato a letto “Tempi diversi”.
L’ho letto tutto d’un fiato.
Belli gli attacchi, giusti ritmi e misure, non casuale il pezzettino di Raymond Carver.
Il mio preferito e’ probabilmente “Il bagno del primo piano”, delicatissimo, vagamente surreale.
L’unico punto debole che ho trovato e’ forse strutturale alla tua generazione, che non ha avuto in genere grandi tragedie ne’ grandi epopee, e che quindi e’ costretta a parlare di cose piccole e di piccoli sentimenti. Non amo il minimalismo, e Leavitt mi fa cagare. Ma i tuoi racconti non sono, secondo me, da considerare minimalisti. Mi piace considerarli dei bei pezzi di artigianato, fatti con amore, tecnica e buona capacita’ di rifinitura.
Bravo.

Enzo

Questa è una delle mail di complimenti più belle che abbia mai avuto. E da cinque anni, lo giuro, continuo a riflettere sulla debolezza della mia generazione, “che non ha avuto in genere grandi tragedie né grandi epopee”.

Ho scritto un romanzo, Enzo. E voglio fartelo leggere. Quindi, vedi di tornare presto.

La tua vecchia troia, il Malva

Speciale su Enzo Baldoni

Ho curato le interviste a Pino Scaccia e a Enrico Deaglio, direttore di Diario, per uno speciale su Enzo che andrà in onda all’interno de La talpa spaziale, la trasmissione quotidiana di informazione di Città del Capo – Radio Metropolitana di Bologna, dalle 1815 di oggi.
Se siete a Bologna, Ferrara o Modena – ma soprattutto Bologna – sintonizzatevi sui 96.250 o 94.700 MHz. Se siete altrove, potete sentire il programma in streaming.
Con ogni probabilità l’intervista a Scaccia verrà ripresa da Popolare Network in uno dei prossimi giornali radio.
Update: verrà ripreso nel GR immediatamente dopo La talpa spaziale.

Forse non ci siamo capiti: PALLE FREDDE

Il delirio mediatico che è seguito alla scomparsa di Enzo Baldoni è qualcosa di incredibile e, per certi versi, vergognoso.
Le notizie certe su tutta questa vicenda, è bene metterselo in testa, sono poche, pochissime. La confusione intorno alla scomparsa di Baldoni è evidente, anche dal momento in cui le agenzie di stampa ieri e i maggiori quotidiani nazionali oggi hanno tentato di carpire delle notizie da dei blog, strumento di comunicazione di solito molto osteggiato dalla stampa ufficiale. Le notizie hanno iniziato a rincorrersi partendo proprio un blog, quello di Justin Alexander, inglese legato a diverse ONG in Iraq. E’ stato proprio lui a pubblicare nel pomeriggio di venerdì scorso la notizia della morte di Ghareeb l’amico, autista e interprete di Baldoni, e della scomparsa del freelance italiano. Ho sentito Alexander ieri sera e mi sono reso conto che la sicurezza sulle sue fonti non era proprio salda. Quasi contemporaneamente è apparsa sul blog di Alexander l’ammissione di incertezza sull’episodio. In seguito ha assunto sempre più importanza il blog di Baldoni stesso, Bloghdad. Ma spesso nei commenti, e in forma anonima, sono state avanzate ipotesi che hanno del fantascientifico. Probabilmente la fonte web più affidabile, in questo momento, è il blog di Pino Scaccia, inviato della RAI, l’unico dei tre soggetti citati che effettivamente è presente in Iraq. Questa mattina ho sentito Scaccia al telefono. Abbiamo parlato di un particolare non secondario. Infatti rimane ancora il dubbio se sia effettivamente di Ghareeb il cadavere di cui si parla, perché ancora nessuno ne ha visto direttamente il corpo, nonostante la notizia sia stata confermata da fonti della Croce Rossa italiana in loco, da fonti sciite e dalla polizia irachena (quest’ultima fonte deriva sempre dal blog di Alexander che, sentito nuovamente poco fa, mi ha detto che comunque si tratta di conferme di seconda mano).
I giornali di stamattina hanno comunque cercato la notizia.
Se la notizia non c’è, come è adesso, l’hanno costruita. Hanno dato per certo che Enzo volesse intervistare Al Sadr, quando si trattava di qualcosa che era poco di più di una boutade tra colleghi, Scaccia e Baldoni, intendo. Hanno detto di Enzo che “vuole fare Rambo”, quando il suo sguardo è completamente diverso. Sentite il suo tono di voce, e come racconta gli esseri umani. Leggete a fondo il suo blog. Forse sarò presuntuoso, ma rivolgo queste parole anche ai colleghi giornalisti.
Insomma: palle fredde, per favore. L’attesa è tremenda, ma è l’unica cosa sensata da fare, anche e soprattutto per rispetto dei cari vicini ad Enzo.

B – B – B: Baldoni – Baghdad – Bologna

Enzo G. Baldoni, per chi non lo sapesse è un “turista di guerra”, come ama definirsi. Ma questo non c’è scritto (immagino) sulla sua carta di identità. Diciamo che fa il copywriter, ma ha scritto per Linus, Repubblica, Diario ed è il traduttore italiano di Doonesbury. Ha grande intraprendenza, un occhio particolare sulle persone che incontra nei suoi viaggi, e un culo notevole (parole sue).
Da qualche giorno è a Baghdad, proprio lì, e, come al solito, tiene un blog. Cosa c’entra questo con me? Tenterò di intervistarlo telefonicamente ogni giorno, per la radio, per avere delle Cartoline da Baghdad. Leggetelo, sentitelo. Ne vale la pena, perché oltre ad essere intraprendente e dotato di culo, Enzo G. è bravo.

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