radio città del capo

Ricapitar, infine, nella Capitale

Dall’arguto titolo, lo avrete intuito, me ne vado a Roma. “Ma come”, dice, “te ne vai a Roma adesso? E la paura degli attentati?” Fatevi un giro dal mio fratello di parole, che, oltre ad ospitarmi, ha scritto un post proprio su quello che potrebbe succedere a dei terroristi a Roma.
Incontri previsti: sciampiste in via del Corso, Pulsatilla, che ha millantato di portarmi a mangiare il migliore tiramisù d’a Capitale, due miei cugini, di cui uno straordinariamente rassomigliante a Silvio Orlando, lei, e… chiunque altro voglia aggregarsi alla compagnia mi scriva.

Ah, importante. L’intervista a Tori Amos andrà in onda in tutto il territorio italico durante la puntata di lunedì 18 di “30° all’onda“, dalle 14.30 alle 15.30. Qui e qui le istruzioni per ascoltarla. Statemi bbuono.

Update. Se ve la siete persa ieri, potete sentire l’intervista qui, in streaming.

Ma l’intervista è anche qua!

Come il maiale: un post dove non si butta via niente

Del concerto di ieri dei Sonic Youth e Fantômas a Ferrara non vi dico molto, non ho voglia. Ma, lo ammetto, è stato un concerto strano. I Fantômas sono stati meno bravi della loro apparizione a Bologna. I Sonic Youth, beh, che dire: hanno iniziato nervosetti e hanno concluso alla grande, con un pubblico esaltato come non mai. Un concerto più sporco e meno precisino dell’ultimo che ho visto. Non so se più bello, difficile a dirsi.
Ma la città delle biciclette in questi giorni mi vede di continuo: anche domani, infatti, sarò a Ferrara, al Mel Book Store alle 1830 per presentare l’ultima fatica di quel bel guaglione di Gianluca Morozzi, L’era del porco. Poi andremo a cena, spero, e quindi ci godremo il concerto gratuito di The Faint e Bright Eyes.
Morozzi sarà anche ospite (telefonico) dell’ultima puntata di Monolocane, in onda come al solito giovedì dalle 2230 sui 96.3 e 94.7 MHz bolognesi e provinciali, o se no in streaming qui e qui.
Sulle stesse frequenze, invece, va in onda tra cinquanta minuti circa l’ultima puntata di Seconda visione, in attesa del Gran Galà di martedì prossimo.

Scusate la scarsa fantasia, ma oggi toccherò le undici ore di lavoro. Per ora scrivo queste righe, perché sono a sei, circa.

Ecco l’intervista a Gianluca Morozzi!

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Questa sera tutti da Beck, è festa ye-ye* (Considerazioni sparse e frammentarie, come sempre dopo le feste ben riuscite)

La rassegna “Ferrara sotto le stelle” dà sempre gioie infinite, ma il concerto di ieri di Beck è stato qualcosa di più.
Hanno aperto i Raveonettes, ma non me li sono filati più di tanto: la mia attenzione è stata presa da tre cose, infatti. La prima è stata rendermi conto di quanto il batterista assomigliasse a Micheal Stipe. La seconda, capire se la cantante mi piacesse o meno (alla fine ho capito che non mi piaceva). La terza, capire a che animale assomigliasse un’americana che stava vicino a me: ancora non sono giunto a conclusione.

E poi è arrivato Beck.

Mancava solo il piffero che suonavo alle medie. Beck ha un approccio totale verso la musica: il palco è stracolmo di strumenti, almeno due set di percussioni attive, ma anche diamoniche, sintetizzatori e tastiere, bidoni di latta, ogni possibile variante delle maracas, bassi, chitarre, banjo (suonati per finta), rumori fatti con la bocca, na na nannannanna na na, tamburelli, tutto. E anche i generi toccati sono moltissimi, ma questo, di Beck, già si sa. Egli (adoro scrivere “egli”) rappa, canta, parla, salta, danza. Tutto. Si diverte e fa spettacolo, uno spettacolo totale.

Quanti Losers. Quando iniziano gli accordazzi slide, penso che, allora, la fa. La canzone che l’ha fatto conoscere nel mondo intiero è accompagnata da una foto dell’epoca di Mellow Gold (e non è che il signor Hansen sia cambiato molto, poi). Ovviamente tutto il pubblico canta a squarciagola il ritornello. O, sigh, qualcos’altro…

Intermezzo. Sono vittima di una persecuzione, da tempo: a qualsiasi concerto io vada, dietro di me ci sono sempre degli ubriachi, piuttosto imponenti fisicamente e di solito di origine veneta, che riescono in alcune imprese:
1. tenere a voce altissima un discorso che fondamentalmente prevede una persona A che dice “la conosci questa?” e una persona B che dice “no”: beh, riconosco loro una certa capacità dialettica e polmonare, visto che un dialogo del genere dura almeno venti minuti e riesce ad essere perfettamente udito nel raggio di cento metri, senza badare ai watt emessi dagli amplificatori;
2. usare le canzoni che sono suonate al momento per intonarci su cori da stadio o, più semplicemente, insulti di vario tipo, a caso o verso qualche particolare nemico del gruppo di alcolizzati: il tutto sempre ai toni indicati al punto uno;
3. nel momento in cui qualcuno fa notare loro che, insomma, vorrebbero sentire il concerto e non “daimoruzzifacciilgol, facciilgooooooool”, diventano educatissimi, chiedono scusa e stanno zitti: per un minuto esatto, per poi ricominciare esattamente come prima.

Heart. Beck ama la chitarra acustica, e tocca la vetta più alta del concerto quando riprende la sua cover di “Everybody’s gotta learn sometimes”, in maniera ancora più intima che nella colonna sonora di Eternal Sunshine. E io ho già gli occhi lucidi. Niente in confronto ad uno al mio fianco che, quando si passa al pezzo successivo, e poi a “The Golden Age”, scoppia in lacrime. Appena però gli altri componenti del gruppo, seduti ad una tavola apparecchiata, iniziano ad usare piatti, bicchieri e posate per accompagnare il brano, urla tra le lacrime “Stronzi” e si copre il viso con le mani. Mah. Secondo me è uno che è stato traumatizzato dal concerto del 1980 degli Skiantos**, e appena vede delle stoviglie su un palco impazzisce.

All Tomorrow’s Parties. Alla fine del concerto, salgono una ventina di persone del pubblico e, finalmente, mentre tutti ballano intorno a me, e sul palco, e tutti suonano qualcosa o percuotono qualcos’altro, capisco di essere ad una delle feste più divertenti della mia vita. Uscendo, effettivamente, nessuno usa la parola “concerto” e nessuno si preoccupa di avere fatto casino a casa Beck. Non vedo l’ora che mi inviti di nuovo. Magnifico.

* Il titolo è un omaggio ad una trasmissione radiofonica meravigliosa, che però non c’è più.
** Freak Antoni parlerà dei Beatles proprio stasera, dalle 2230, nella penultima puntata di Monolocane, una trasmissione radiofonica un po’ meno meravigliosa, che potrà essere ascoltata qui o qui. Perché dei Beatles? Perché esattamente quarant’anni fa facevano la loro prima e unica comparsa in Italia. Sì, ogni occasione è buona, ‘mbè?

Ecco l’intervista a Freak Antoni!

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Livin' in a radio (show)

Certe volte mi diverto a cercare il nome della trasmissioncina su Google, e scopro cose buffe. Come, per esempio, il fatto che la cara Runrig vive nel mio programma radiofonico da un bel po’, ormai. Si nasconde bene, evidentemente.
Siamo alla puntata meno tre, ragazzi, a fine giugno si conclude la stagione e con i botti.
Questa puntata, al limite, potete anche perdervela, ma le prossime due, no. Se volete allenarvi, iniziate a farlo da stasera, sui 96.3 e 94.7 MHz di Bologna e provincia, oppure in streaming dal sito della radio o da Radionation.

Di |2005-06-16T15:38:00+02:0016 Giugno 2005|Categorie: Eight Days A Week|Tag: , , , |3 Commenti

Appuntatevill'

Com’è già successo, uso squallidamente il blog come agenda.

Si inizia oggi pomeriggio alle 18 al Castello Estense di Ferrara, dove ci sarebbe una lettura di Davide Bregola e Gianluca Morozzi. Solo che, siccome quest’ultimo ha deciso di dedicarsi solo alla scrittura, come sempre sarò io a leggere le sue cose. Se continua così la gente crederà che io sono Morozzi, e quindi lui diventerà me e, finalmente, leggerà le sue cose.

I Laghetto in un elaborato travestimento.

Si continua stasera, con Monolocane. Ospiti i Laghetto, che presenteranno il loro nuovo disco Pocapocalisse. Inoltre sono previste discussioni sulla decaduta del ninja nell’immaginario occidentale e corsi di cucina creativa on air. Come al solito, potete sintonizzarvi sui 96.3 o 94.7 MHz, se siete a Bologna. Se siete altrove, o non avete una radio, in streaming qui o qui.

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Infine, una cosa per la settimana prossima. Martedì 3 maggio alle 21, alla biblioteca di Villa Spada a Bologna, Morozzi, stanco di stare lì a far nulla mentre io sputacchio parole, suonerà la chitarra, mentre io leggerò brani suoi, miei e di altri. Per non scontentare nessuno.

RicordaRivoluzioni

Sento per bene solo adesso, dopo mesi dalla sua uscita, il disco d’esordio degli Offlaga Disco Pax, Socialismo tascabile (prove tecniche di trasmissione).
I richiami musicali sono evidenti: senza sforzarsi troppo, viene subito in mente lo stile dei CCCP, quello più parlato e meno legato al punk. Ma il richiamo è solo superficiale, e non può andare più a fondo, se vogliamo guardare bene, perché sono passati degli anni importanti.

I CCCP suonano sentendo nell’aria la caduta del blocco sovietico: descrivono il mutamento in atto sotto i loro occhi, cosa difficilissima, e tentano di fissarne alcuni punti, tra un pezzo e l’altro dei loro dischi.
Gli ODP iniziano a suonare quando l’89 è passato da un pezzo. La loro operazione, quindi, è dichiaratamente un recupero della memoria, dell’Italia socialista (e quanto è difficile ormai associare il nostro paese a questo aggettivo senza pensare a Craxi bersagliato di monetine fuori dall’hotel Raphael, almeno per chi, come me, è nato alla fine degli anni ’70), dell’Emilia rossa, la stessa regione – ma decisamente non gli stessi luoghi – nella quale vivo da quasi dieci anni. Cavriago, un paese alle porte di Reggio, come capitale dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Italiane. Cavriago e la sua via Carlo Marx, e il busto di Lenin, tuttora sindaco onorario del paese.
L’infanzia aromatizzata al cinnamon, i racconti di partigiani narrati dagli stessi partigiani, il partito comunista al 70, ma anche 80 per cento.
Gli ODP sanno che tutto questo non esiste più, non si rifugiano nel ricordo, lo evocano, con oggetti, sapori, frasi, toponomastiche, in un’operazione che non può non ricordare quella di Matteo B. Bianchi (e di altri prima di lui). E non si vergognano di usare parole come socialista, nel senso vero del termine, di chiamare la figlia del sindaco “compagna”, ma senza il sorrisetto ironico che usiamo “noialtri”, nati irrimediabilmente post.
Ma non pensiate che gli ODP siano seriosi: come tutte le persone intelligenti usano l’ironia nelle giuste dosi, quando più serve, e, prima che suonare, scrivono dei racconti bellissimi che hanno forza evocatrice per tutti. Anche per me, così lontano da tutto questo.

Penso a me, da piccolo, nella sezione del Partito comunista, in una città che rimarrà sempre e comunque democratico-cristiana, anche quando il primo di questi due termini perderà irrimediabilmente di significato. Penso a me più grandicello, che raccolgo firme nel corso della cittadina e prendo insulti, o, quando va bene, occhiatacce. Penso a me, che sogno l’Emilia cantata dai CCCP, e invece mi trovo a due passi qualcosa che sta cambiando, la Slovenia, della quale non riesco ad avere un’occhiata approfondita e critica, perché tutto è troppo veloce, rapido, e si muove al ritmo schizoide, fatto di esaltazione e depressione, delle droghe sintetiche che sono così diffuse tra i miei coetanei “di là dal confine”. Penso a me a Bologna, appena arrivato, e a come sguazzo in quello che apparentemente mi sembra un “mondo giusto”, ma che in realtà è, anch’esso, drammaticamente in fase di rapida mutazione.

Penso che, di un sacco di cose, non ho i miei ricordi, ma quelli degli altri.
Grazie, Offlaga Disco Pax, perché mi avete regalato una nostalgia di cui posso appena distinguere i contorni.

Se non conoscete gli ODP, manderò qualche loro pezzo stasera a Monolocane. In diretta dalle 2230 sulle frequenze di Città del Capo – Radio Metropolitana, o in streaming qui o qui.

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Ani Difranco a Monolocane!

Stasera, a Monolocane, riproporrò l’intervista telefonica che ho fatto martedì a Ani Difranco, già andata in onda a Patchanka. Una chiacchierata di una decina di minuti, in cui si è parlato molto di Knuckle Down, l’ultimo disco di Ani, ma anche della difficoltà di rendere poetica l’espressione “corporazione multinazionale”.
Dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz di Città del Capo – Radio Metropolitana, se stasera siete nei regi confini bononiensi. Se no, potete sentire il tutto in streaming dal sito della radio o su RadioNation.
(Se stasera andate a sentirla a Milano, beati voi. Potrete recuperare l’intervista da venerdì sulla pagina del programma, come al solito.)

Ora qui!

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Nicoletti reloaded: waiting for the (blog) revolution

Stasera a Monolocane, intervista con Gianluca Nicoletti, l’uomo che fece incazzare i bloggers. Cioè, spero di intervistarlo. Nel senso che ho un appuntamento telefonico intorno alle undici, quindi tra meno di due ore. Se avete domande, suggerimenti di domande o risposte, fatevi sotto nei commenti.
A stasera, quindi. Dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz di Città del Capo – Radio Metropolitana, se vivete a Bologna. Se no, potete sentire il tutto in streaming dal sito della radio o su RadioNation.

Aggiornamento. Sulla pagina del mio programma potete sentire l’intervista completa, in Real Audio.

Ecco l’intervista!

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De fiducia (it all started from a salama da sugo)

L’esperienza non insegna nulla, cari e care. E quindi, ho ridato fiducia alla salama da sugo e lei me l’ha fatta pagare di nuovo. Non contento della passata esperienza, lo chef S. (sempre più rapito dalla figura di Allan Bay), quando ancora doveva cuocere i tortelloni, ha detto: “E dopo tutto questo, un bel ‘Between the sheets'”. Noi commensali l’abbiamo guardato stupiti, capendo che il nome del cocktail vuol dire “tra le lenzuola”, ma abbiamo guardato rapiti la salama, immersa nell’acqua bollente per gli ultimi minuti, dopo la solita lunga cottura di sette ore. La salama è stata servita a tavola, ma con più spavalderia dell’altra volta. Ed è stata mangiata velocemente, troppo velocemente, accompagnata da abbondante vino rosso. Ho sentito distintamente la salama ridacchiare, mentre la finivamo a colpi di cucchiaio. Poi è arrivato il famoso cocktail di cui sopra. Poi…

Stamattina mi sono svegliato in condizioni orrende. La testa pulsante. La Novalgina scaduta. Una giornata di lavoro davanti. Ma prima, un altro impegno: andare a dare dei soldi all’agenzia immobiliare che dovrebbe portarmi alla mia nuova casetta.
Arrivo davanti al bancomat, che ormai mi vede talmente spesso che mi dà il cinque alto, quando mi avvicino. Sono troppo distrutto per cercare di tenerlo a distanza. Infilo la carta, digito il codice. Sbagliato. “Oh cazzo, ma non era…”. Riprovo. Sbagliato. Annullo l’operazione. Aspetto un po’. Rimetto la carta. Sbagliato. “Ma come…” Sbagliato. Riannullo, riprovo. Penso al codice, ma mi viene in mente solo la salama da sugo. Codice sbagliato. Rumore di risucchio. Carta trattenuta. Il bancomat non mi saluta neanche, mentre entro in banca.
La cassiera mi dice che prima di domani mattina, non se ne parla. Chiedo se posso ritirare dei soldi, anche se ho il conto in una filiale della stessa banca, lontana lontana. “Non c’è problema”, dice la cassiera, ma:
1. controlla se ho soldi in banca;
2. chiama la banca per farsi mandare via fax la mia firma;
3. si rende conto che i fax della filiale laggiù non funzionano: come fare a darmi fiducia? Facile:
4. inizia a farmi i nomi degli impiegati della filiale lontana lontana, per sapere se li conosco (giuro), come garanzia del fatto che io sia io. Al terzo Mario Rossi che mi viene nominato, ammetto in lacrime di essere un egoista che non si è mai interessato a fondo delle vite di chi amministra i suoi risparmi.
Intanto, nella cassa accanto a me, un uomo chiede quattromila euro in contanti. Immediatamente dopo la cassiera riesce a darmi i miei soldi, rassicurando la filiale lontana lontana che, in fondo, trecentocinquanta euro sono una piccola somma. Io mi rendo conto che la salama che è in me ha già progettato sei differenti modalità di rapina di quella filiale, e che trecentocinquanta euro sono ben più della metà del mio stipendio.
Arrivo in agenzia con i miei bei soldini, li saluto, e li lascio nelle mani dell’impiegata, con anche una copia delle buste paga, eccetera. Poi l’impiegata mi guarda e mi dice: “Sa, c’è un problema per l’appuntamento con la padrona di casa. Ha visto la radio dove lavora e ha pensato che lei potrebbe essere un no global.” Nascondo immediatamente la foto di Casarini che porto sempre con me e tento di spiegare che, oltre a lavori con contratto, lavori casuali, la firma di mio padre come fidejussore, una boccetta di sangue e un patto con la yakuza, non ho altre garanzie. “Vedremo che si può fare”, dice l’impiegata.

A volte, andare a lavorare, è una pausa, in una giornata.

Tornando a casa dalla radio, suona il telefono. Mi sto appena riprendendo dai postumi della salama, ma il forte odore di ascella che c’è in autobus, misto al lieve ondeggiare del mio corpo pressato tra gli altri, non aiuta. Rispondo, è l’agenzia. “La padrona di casa vorrebbe la firma di suo padre nel contratto, e anche del padre di C.” In quel momento sull’autobus una signora bestemmia la Vergine dicendo che le hanno rubato il portafoglio. Ovviamente tutti gli occhi dei passeggeri vanno in cerca della pelle più scura, immediatamente. L’autista ferma l’autobus con le porte chiuse a trenta metri dalla mia fermata, e dice che bisogna aspettare i Carabinieri. Io, ormai, sono in trance. Levito, sospinto dalla forza salama che è in me, acconsento al fatto che mio padre firmi il contratto della nuova casa, respiro con la bocca.
La situazione si smuove, le porte vengono aperte, scendo. E chiamo mio padre.
“Pronto, papà? Sono io, è per la casa nuova”
“Dimmi.”
Decido di giocare d’anticipo sulla padrona di casa.
“Senti, pensavo: hai una certa età, ormai. Che te ne fai di tutti e due i reni?”

Tutta la Farina del suo sacco (sapevo che non avrei resistito)

Stasera a Monolocane, intervista esclusiva (sì? Mah, non so, mica sono il primo che lo intervista…) a Geoff Farina, il leader dei Karate. Una decina di minuti di chiacchierata, in cui abbiamo parlato, tra le altre cose, di Bob Dylan, Ernest Hemingway, Chris Brokaw, Leonard Cohen, Frank O’Hara, del concetto di “indie”, della soluzione al non saper cantare.
Dalle 2230 alle 0030 sui 96.3 o 94.7 MHz di Città del Capo – Radio Metropolitana, se per voi Sirio non è solo una stella. Se no, potete sentire il tutto in streaming dal sito della radio o su RadioNation.
Ah, per voi che non potete sentire la trasmissione in diretta, ma vi piacerebbe tanto sentire l’intervista: tranquilli. Entro un paio di giorni sarà pubblicata qua.

Ecco l’intervista!

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