recensione

“Feed Me Through the Power Line”

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Sono passati due mesi, eppure riesco ancora a percepire sulla pelle la sensazione che gli Swans mi hanno trasmesso dal vivo al Locomotiv Club. Sono stato letteralmente investito da un concerto colossale, durante il quale anche i blackout hanno avuto una funzione scenica. Una serata che ha lasciato tutti attoniti e che, come accade con alcuni eventi (nel senso proprio del termine, per una volta), ha in un certo modo unito i presenti a un livello superiore rispetto alla semplice compresenza nel locale bolognese.
Ho cercato di raccontare il concerto in una recensione che si trova sul numero di gennaio di Jam, che trovate ancora in edicola: se volete leggerla è quassù, a portata di clic. Se il 30 novembre scorso eravate anche voi al Locomotiv e vi va di raccontare quello che avete visto o sentito, sentitevi liberi di farlo.

Di |2024-05-12T19:15:35+02:0029 Gennaio 2013|Categorie: I'm Happy Just To Dance With You|Tag: , , , , , , |0 Commenti

Gente che suona divinamente

Non è per sfiducia, ma se dovessi dare sempre ascolto a tutti quelli che mi dicono “Devi ascoltare/vedere/sentire la band X: è la cosa più incredibile del cosmo“, non avrei neanche tempo per mangiare. Come però feci per Springsteen, riconosco in questa sede che tutti quelli che mi hanno detto cose magnifiche dei Wilco dal vivo, avevano ragione da vendere.

Cliccando sull’immagine qua sopra potete leggere perché ho dato quattro stelle e mezzo su cinque nella recensione scritta per Jam di questo mese sul concerto tenuto dalla band di Tweedy all’Estragon ormai due mesi fa.

Di |2024-05-13T00:10:29+02:0014 Maggio 2012|Categorie: I'm Happy Just To Dance With You|Tag: , , , , |0 Commenti

L’elettricità

Quando ho avuto la conferma che Nada sarebbe passata da Maps non solo per un’intervista, ma anche per un minilive in studio, mi sono davvero emozionato: non mi aspettavo che una musicista con una carriera tale sarebbe venuta a suonare nel mio programma. Preparandomi, però, per l’intervista, ho riguardato e riascoltato molto della lunga carriera della musicista.

E in effetti ciò che l’ha sempre animata è stato uno spirito di indipendenza e di purezza sinceramente lontano dalle famigerate “scelte commerciali”, tant’è che mica le è andata sempre bene. Questo spirito, in scala minore, è un po’ quello che vorrebbe avere la trasmissione e a cui tende la programmazione della radio tutta. La sua presenza in onda, quindi, poteva avere ragione di esserci, così, fantasticandoci su.

Quest’introduzione per dirvi che quel pomeriggio di più di un mese fa alla fine è stato davvero bellissimo, e mi è rimasto dentro al punto tale da pervadere anche le sensazioni della serata, quando Nada e i Criminal Jokers hanno suonato in un Locomotiv sold out.

Quassù trovate il resoconto della serata, pubblicato nell’ultimo numero di Jam: un breve pezzo in cui non si accenna alle canzoni che vedrete e sentirete presto sul sito di Maps, ma di cui mi è rimasta una sorta di elettricità nell’animo. E capirete che quando è un set acustico a provocare queste sensazioni…

Qui non si sa
se restare nell’oscurità
o andare verso il futuro
in un mondo diverso
spinti da un vento leggero
come un fucile alla nuca
(Nada, “L’elettricità”)

I know a song to sing on this dark night

Esce oggi Crazy Clown Time, di David Lynch: sebbene non si tratti della prima incursione del regista in ambito musicale (basti ricordare che Lynch ha messo le mani nello splendido Dark Night of the Soul, oltre che in svariati album, per non parlare delle colonne sonore dei suoi film e corti), questo è il primo disco firmato tutto da David Lynch, che lo suona insieme a Dean Hurley, ma soprattutto lo canta.

L’uscita del primo singolo, “Good Day Today” (che ha un video, non troppo bello, realizzato dal vincitore di un concorso indetto dallo stesso Lynch), sono stato sviato completamente: ero convinto che il disco si sarebbe rivelato completamente costruito su quei ritmi electro morbidi e che la voce di Lynch fosse un cameo, un’eccezione.

E invece, sebbene l’apertura del disco sia affidata alla riuscita “Pinky’s Dream”, con l’ormai onnipresente Karen O, le seguenti 13 tracce vedono un uso multiforme della voce dell’autore. Una volta è con l’eco, un’altra col vocoder, un’altra ancora resa metallica e quadrata. Ecco il vero debutto del disco: la voce di Lynch. Una voce che pensavo di non riconoscere, ma che ho individuato subito (con stupore) all’uscita della prima anticipazione dell’album.

Allora però non mi sbagliavo solo sulle parti vocali, ma anche sui timbri: Crazy Clown Time è basato spesso, sì, su tappeti e ritmiche elettroniche, ma ci sono diversi brani suonati: solo una batteria e una chitarra, spesso piena di riverbero, che incede lenta su accordi ondeggianti (“Football Game”, “The Night Bell With Lightning”, l’unico strumentale del disco), come se si trattasse di una versione agonizzante di un lento da ballare nella penombra dell’One Eyed Jacks o, chissà, nel nuovissimo Club Silencio, aperto da poco a Parigi.

Non è un caso citare il bordello di Twin Peaks, perché è impossibile separare la musica di Lynch dal suo mondo visivo, oltre che – ovviamente – sonoro. Tutto Crazy Clown Time è inquietante: il titolo del post è preso dal testo di “Noah’s Ark”, ma provate a sentire il brano (tutto il disco è ascoltabile sul sito della NPR), che arranca su una voce spezzata e poi risolve dicendo che la canzone di cui si parla “è la canzone dell’amore”.

O anche la titletrack, che narra il punto di vista di un bambino “su una festa in cortile”, dice la pur bella recensione della Radio Pubblica statunitense. Ehm, no: Suzy e Molly si strappano le camicie, Buddy rovescia addosso alle donne della birra e poi sputa e urla forte. Non si tratta esattamente di un barbecue tra vicini.

La voce di Lynch, quindi, è al centro di tutto, anche dell’ossessiva litania al vocoder di “Strange Unproductive Thinking”, del blues distortissimo di “I Know” (altro video, migliore, “realizzato” con la stessa modalità del primo), delle atmosfere “badalementiane” di “Speed Roadster”, di ogni storia narrata con assoluta serietà e normalità.

È proprio questa attitudine che attira da sempre l’ascoltatore e lo spettatore nel mondo di Lynch: dove sembra tutto normale, perché tutto viene presentato in maniera apparentemente canonica. Le canzoni hanno una struttura riconoscibile, i film sono girati con rispetto assoluto (scena per scena, si intende) per le regole basilari della grammatica: eppure, nascosto tra le ombre c’è un orecchio in un prato, un misterioso ciondolo a forma di gong, una stanza rossa, un sussurro inquietante, talvolta un cantato stridulo che parla d’amore.

Questi tipici indizi lynchiani sono arricchiti dal fatto che, in questo “artefatto”, Lynch non si limita a mettere in scena, ma interpreta: diventa l’amante depresso, il bambino, il folle, mettendosi in prima fila. Ecco perché la voce di Lynch è il vero debutto di questo disco.

Crazy Clown Time non è un capolavoro, perché è troppo lungo, tanto per citare il primo difetto che balza alle orecchie, e non tutti i brani sono riusciti: è un album faticoso, che però ripaga l’ascoltatore quanto più egli vi si lascia andare.

Così come non si può guardare una puntata di “Rabbits” stirando, né perdere l’attenzione durante la visione di un qualsiasi lungometraggio di Lynch, è fuorviante cercare di capire questo disco senza dedicargli completamente l’ora abbondante della sua durata, magari cercando di capire o intuirne i testi mentre lo si ascolta. Dopo ciò, a prescindere dal vostro giudizio, di una cosa sarete certi: questo album non è un bluff, o il curioso hobby di un geniale e bizzarro visionario.

Questo album è David Lynch, come lo è The Alphabet, INLAND EMPIRE e le previsioni del tempo che ha curato. Prendere o lasciare.

Riportando la guerra a casa

Con la presentazione di La guerra in cucina che terrò domani alle 16 alla Libreria Ubik di Gorizia, si conclude, almeno per ora, il primo breve tour di promozione del libro. Ed è bello che si concluda nella mia città natale, dove, in realtà, diversi racconti che compongono il libro sono stati pensati (molti) e ambientati (qualcuno).
Ovviamente, se qualcuno di voi ha contatti con librerie, circoli vari, associazioni e simili, in una delle vostre città, non esiti a contattarmi: vorrei fare girare il libro ancora un po’. E attendo sempre le vostre mail, per capire, nel caso l’abbiate letto, se vi è piaciuto o no.

Update
: l’articolo de Il Piccolo di oggi. Però.

La guerra a Milano

Ebbene sì, lettori milanesi del blog (ma ce n’è qualcuno?). Vabbè, comunque: io e il mio libercolo La guerra in cucina sbarchiamo venerdì 15 gennaio alla Libreria Centofioridi piazzale Dateo. Là alle 19 Gianluca Morozzi e Matteo B. Bianchi presenteranno me e i miei racconti, e io li ringrazierò. Accorrete numerosi: ringrazierò anche voi, firmerò le copie, stringerò mani e bacerò bambini e statuette-ricordo.

Peraltro Matteo ha anche recensito il mio libro sul numero di Linus in edicola in questi giorni: se cliccate sull’immagine la vedete grande e potete leggere le belle cose che ha scritto sui miei scritti (ops). Fatevi vivi!

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