Francesco Locane

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Gomito – Due Madonne

L’altra sera ero in anticipo per il concerto all’Estragon e ho deciso di non premere il pulsante per fermarmi al Parco Nord. Ho proseguito. Se si prende il 25 verso il capolinea “Gomito” e si passa il Parco Nord, si arriva al carcere, “la Dozza”, come viene chiamato. Alla fermata dell’autobus del carcere sono salite dieci persone: tutti maschi, per lo più nordafricani dall’aspetto e dal linguaggio. Ho pensato che per queste persone l’inizio del ritorno alla vita normale (per così dire) avveniva con l’emblema della quotidianità per milioni di persone nel mondo: il mezzo pubblico. Il 25 a Bologna parte dalla zona del carcere, passa dalla Stazione Centrale e prosegue attraversando il centro città, per arrivare alla periferia orientale e concludere infine la sua corsa toccando nuovamente la tangenziale: la linea descrive una sorta di “L”, la cui stanghetta orizzontale è parallela alla via Emilia.

Sono riuscito solo a scorgere i volti degli uomini saliti sul bus prima che superassero il posto dov’ero seduto e si sistemassero sui sedili: tuttavia in quel breve attimo in cui ho visto le loro facce, ho notato in esse uno strano misto di cattiveria, terrore e stanchezza. Nessun sorriso. Alcuni parlavano animatamente tra loro. Il vocio, però, si è spento presto: non mi sono girato, ma li ho immaginati tutti a guardare fuori dai finestrini una periferia che si accollava la responsabilità di essere il primo contatto con il mondo fuori dopo giorni, settimane, mesi o anni, chissà.

Dopo qualche minuto di silenzio, però, si è levata una voce. Un uomo stava parlando al telefono, in italiano, ma con accento straniero.
“Pronto!
E chi vuoi che sia? Non mi riconosci neanche? Sono tuo marito!
Sì, sì. Sono sul 25.
Sono uscito, sì, e sono sul 25.
Non piangere! Con chi sei?
Ah, è lì con te? Bene! Senti, ci vediamo alla Montagnola. Vieni in macchina.
Ciao.
Sì!
Ciao.”

L’autobus, intanto, aveva fatto il giro ed era tornato dove sarei dovuto scendere una decina di minuti prima: ho premuto il pulsante, le porte si sono aperte e richiuse e il 25 è ripartito, disegnando la sua “L” fatta di strade e gente, come al solito, dalle prime ore del mattino alle ultime della notte.

Di |2024-05-12T19:52:32+02:007 Giugno 2012|Categorie: I Me Mine, There's A Place|Tag: , , , , , , |1 Commento

L’idraulico

Quando l’idraulico si alza da terra, dopo avere smontato il tubo di scarico del lavello, prima di pompare atmosfere su atmosfere nelle tubazioni, mi guarda. Poi mi dice: “Noi per questi interventi prendiamo 120 euro più IVA.” Fa una pausa, poi prosegue: “Però possiamo fare 80.”
Lo guardo: è grande e grosso, e sta recitando una parte messa in scena chissà quante volte, ma io non gli do la battuta giusta.
“No, no, facciamo 120 più IVA”, replico.
Lui rimane pietrificato, quanto lo sono io (dentro) dopo avere sentito il costo di quell’intervento. Il nostro stupore è diverso: io mi aspettavo uno schiaffo e mi è arrivato un pugno, lui proprio non si capacita della mia scelta.
“Va bene, no, l’ho fatto per venirti incontro”, dice, e si mette a lavorare. Suda come un matto, pompa aria nella macchina e la scarica; la sento viaggiare sul muro dietro la porta fino in bagno. È in affanno, e lo sono anche io (dentro) quando calcolo l’imposta sul costo del lavoro. Non provo empatia come farei di solito per la fatica di quell’uomo: la sto pagando carissima. Che fatichi, se così dev’essere.
Il lavello è smurato, l’idraulico e io usciamo insieme perché devo prelevare i soldi per pagarlo. Mentre camminiamo lui mi dice nuovamente che “l’ha fatto per venirmi incontro”, non è che lui si comporti così sempre.
“Dimmi la verità”, gli dico dandogli del tu, come lui fa con me. “Questa proposta la fai a tutti i tuoi clienti, vero?”
L’idraulico annuisce.
“E su dieci clienti, quanti non fanno come ho fatto io?”
Dopo un “non so”, buttato là per prendere la rincorsa, dice “nove”.
Non mi aspettavo niente di diverso. “Nove” è solo un “dieci” più cauto. “Io credo che sia giusto pagare le tasse”, dico io, facendo deglutire a vuoto l’idraulico. Sono sorpreso di me stesso: i soldi che sto per prelevare sono una cifra considerevole, seppure non enorme, mi girano le scatole, eppure continuo, serafico. “Sul mio lavoro, io le pago. Tutte”, dico.
Provocato, l’idraulico si stizzisce un po’ e inizia a raccontare di quanto lo Stato si porta viadel suo guadagno, delle more salate se paga in ritardo le rette delle scuole dei figli, e dice che spesso deve abbassare i prezzi per poter lavorare, concludendo con la difficoltà di arrivare a fine mese.
“Sono cose che capisco. Ma questo è un modo per…?” accenno io.
“Per dire che le cose non vanno bene. I nostri nonni scioperavano…”
“Lo sciopero blocca la produttività; così, invece, semplicemente non paghiamo le tasse.”
Siamo arrivati alla banca. Entro nella zona degli sportelli, mentre lui aspetta fuori. Un vecchio si arrabbia con un computer, un altro cliente dialoga con uno sportello automatico. Ora sono da solo e il sangue mi va alla testa, per tutto. È ancora là, il sangue, quando prelevo i soldi ed esco dall’edificio.
L’idraulico si è spostato di qualche metro: non è più sotto il portico, ma sul marciapiede che dà sulla strada.
“Mi è sembrato tremasse qualcosa. Il terremoto”, mi dice quasi giustificandosi, mentre conta i soldi che gli ho passato.

Di |2024-05-12T19:57:08+02:001 Giugno 2012|Categorie: I Me Mine, Taxman|Tag: , , , |0 Commenti

Una leggera corrispondenza

Dopo le sciocchezze fini a se stesse, riprendiamo l’antica usanza di fare del blog un luogo di autopromozione.
Inaugura domani allo Spazio Meme di Carpi Una leggera corrispondenza. Si tratta di una mostra che unisce le foto di Giuseppe De Mattia, detto Peppino, e i miei testi. Non solo: come già è successo per alcuni dei miei racconti, a mettere la musica su queste coppie di oggetti c’è Egle Sommacal, i cui brani saranno ascoltabili attraverso un lettore mp3 e delle cuffie.

Qui trovate tutte le informazioni, ma dopo il salto potete leggere un’intervista fatta a me e Giuseppe dalla curatrice Francesca Pergreffi e un intervento critico di Pier Francesco Frillici sulla mostra. Se non riuscite a passare domani alle 19, sappiate che la mostra rimane allestita almeno per un mese.

(altro…)

Ricordati che devi morire – 3

Ora l’avete capito che state peccando e di brutto? Penso di sì. Quindi stringetevi il cilicio che questa è l’ultima parte del post che vi permette di ravvedervi con il solo costo della vostra connessione Internet. Ecco ciò che c’è scritto sul resto del volantino trovato nella chiesa di Gubbio.

Il titolo della sezione è “Doveri verso me stesso”, perché non di solo prossimo vive il cristiano.

Mi chiedo, davanti al Signore, che cosa vuole da me, qual’è [sic] la mia vocazione?

Insomma, si può indirizzare al cielo la domanda “Ma che vuoi da me?”, purché formulata in tono rispettoso. Utile anche per l’orientamento professionale, o vocazione.
Si prosegue raccomandando la preghiera e la partecipazione alla vita parrocchiale, ma la placidità di acque ben conosciute viene smossa all’improvviso da una serie di domande dirette e accusatorie, che rafforzano l’idea che il volantino sia una traccia per un’interrogatorio, più che altro.

Conservo puro il mio cuore e il mio corpo? Coltivo pensieri e desideri non limpidi? Do scandalo con i miei comportamenti? Mi permetto letture, spettacoli televisivi e divertimenti scandalosi?

Ah, la cara vecchia Chiesa 1.0, immortalata in innumerevoli film anni ’50! I pensieri torbidi, i desideri non limpidi (“Desidero una macchina, ma quale?”), i comportamenti, libri, programmi e divertimenti scandalosi. Non vi dà quel bel senso confortevole di vecchio? Ma i vizi capitali sono tanti, e infatti…

Esagero nel mangiare, nel bere, nel fumo? Faccio uso di droghe? Pratico il giuoco d’azzardo, le scommesse?

Come la prova del carbonio-14, quella splendida “u” di “giuoco” permette di attribuire un’età al redattore del testo senza doverlo segare a metà per contare gli anelli. Da notare che si può bere e fumare, ma non troppo e che droga e gioco d’azzardo sono messi insieme, coerentemente con diversi studi psichiatrici che dimostrano una correlazione tra queste attività che portano a dipendenza.
No, le hanno messe insieme perché “so’ccosebbrutte” e lo spazio sta per finire. La prossima, infatti, è l’ultima serie di domande.

Come cittadino cristiano compio i doveri politici e sociali? Pago le tasse? Rispetto l’ambiente? Cos’altro la mia coscienza mi rimprovera?

La prima domanda andrebbe riformulata in “voto quello là?”. Ottimo il richiamo alla lotta all’evasione fiscale e l’accenno ecologico. Completamente privo di gusto, però, l’ultimo quesito: non viene anche a voi da leggerlo come “eccetera eccetera”?
Il volantino si conclude con le ultime istruzioni.

Dopo la CONFESSIONE sincera e completa delle mancanze, soprattutto gravi, il sacerdote suggerisce opportuni consigli per una vita cristiana più viva e coerente. Invita quindi, come “penitenza” a recitare qualche preghiera o a compiere un gesto penitenziale o di carità.
La Confessione termina con la recita dell’Atto di dolore [riportato comodamente in coda al volantino, ndr] e con l’Assoluzione dei peccati, che il sacerdote imparte in nome di Dio e della Chiesa.

Tutto bene, quindi. Puoi saltare il punto “FAQ”, perché non c’è, o forse erano le domande di prima, chissà. Se hai seguito tutto dall’inizio, sei salvo. Ma ricordati che, comunque, devi morire. Segnatelo.

fine

Di |2024-05-12T20:46:19+02:0023 Maggio 2012|Categorie: I Am The Walrus, Lady Madonna|Tag: , , , , |0 Commenti

Ricordati che devi morire – 2

Sono giorni cupi, care lettrici e cari lettori. Ma c’è un’entità, lassù, pronta a darvi forza: non senza prima avervi strigliato, però. Facile avere amore, compassione, letizia come se fossero gratis: il peccato (nel quale sicuramente vivete), è la carta “Andate in prigione senza passare dal via”. Ecco un volantino, trovato in una chiesa di Gubbio, che, fin dal titolo “Voglio confessarmi bene!”, vi potrebbe indicare la retta via.

Si comincia subito con quella che pare una citazione, senza fonte, probabilmente attribuibile al santo a cui la parrocchia è intitolata: “Chi commette il peccato è schiavo del peccato. Solo la verità rende liberi”, seguito da un’invocazione a Gesù e in un’immediata ammissione di colpa, che recita “Perdonami, Signore, ho molto peccato!”. No? Sicuri? Voltiamo pagina.

In alto il titolo “ESAME DI COSCIENZA” (e torna l’uso spasmodico di grassetti della mail di cui abbiamo già parlato) e poi tre sezioni, con ognuna una serie di domande. Sfortunatamente manca il quadratino Sì/No per la risposta e, ve lo anticipo, alla fine non ci sono i profili corrispondenti ai punteggi del test. Ah, non è un test?

1° – “AMERAI IL SIGNORE TUO DIO CON TUTTO IL CUORE”
Sono cristiano nella vita di tutti i giorni o solo… all’anagrafe?

Immagino le risatine dei Cristian, Christian e Cristiana mentre leggono queste parole. E il panico che prende l’impiegato dell’anagrafe quando si rende conto che, in ventisette anni di onorato servizio, non ha mai chiesto l’orientamento religioso del/la neonato/a.

La mia FEDE è genuina ed operosa o solo… di facciata? Sono superstizioso, credo alla magia, ai sortilegi? Frequento cartomanti o indovini? E l’oroscopo?

In un tripudio di maiuscole e puntini, chi scrive bacchetta subito l’italiano-in-quanto-tale, che getterà via il cornetto rosso e passerà sotto scale di proposito, incrociando gatti neri appositamente comprati sottobanco. Certo, c’è sempre il problema di credere in uno che è resuscitato, ha guarito persone, trasformato elementi e predetto praticamente tutto quello che gli sarebbe successo. Per non parlare del significato di “frequentare un oroscopo”: uscire a cena con Paolo Fox o giocare a burraco con Branko, quindi, sono azioni peccaminose?

Prego solo quando ho bisogno di grazie oppure sempre, anche quando le mie cose (salute, affari…) vanno storte?

L’estensore del volantino sfida apertamente la logica, oppure ribalta il senso del concetto di “grazia”: vi immaginate un ex-voto per avere ricevuto un bel malanno? Siamo dalle parti della “messa contro” di fantozziana memoria…

Parlo male della Religione, della Chiesa, del Papa?

Dicono più queste domande che mille pamphlet sull’autoritarismo ecclesiastico. Santa Stasi.

Per me contano di PIU’ [sic] il denaro, il benessere materiale, la carriera, il successo, i divertimenti oppure DIO e la Salvezza Eterna?

Un temibile esempio di domanda-trabocchetto, eh? Ma è niente in confronto a quella che apre la seconda sezione, intitolata (tutto maiuscolo e grassetto) “Amatevi da fratelli come io vi ho amati”.

Il Vangelo insegna che non si può amare Dio se non si ama anche il prossimo. Ne sono convinto?

Eh? Pensaci bene.

Come fidanzato/a mi preparo seriamente al matrimonio pregando insieme e vivendo la castità come educazione del cuore all’amore vero e sincero?

La prova che la Chiesa non ha ancora capito che la castità non ha a che fare con il cuore. Principianti.
Seguono domande che tendono a indagare sulle preghiere genitori-figli, sulla fedeltà coniugale, l’amore per il prossimo e un’interessante e nota forma di applicazione dei principi cristiani sul lavoro. Ma poi, irrompe l’argomento che aspettavate.

Ho rispettato la vita altrui? Ho procurato o consigliato l’aborto?

Ecco, questo “consigliare l’aborto” mi lascia perplesso. Come se due amiche si incontrassero e una svelasse di essere incinta. “Che mi consigli?” “Sai che ti consiglio? Un bell’aborto.” “Ehi, ottimo consiglio, grazie, vado.”
Ma l’ultima delle domande di questa seconda sezione è bellissima.

Guido l’auto con prudenza e in rispetto della vita mia o altrui?

SanteRuote.

continua

Di |2024-05-12T20:47:33+02:0021 Maggio 2012|Categorie: I Am The Walrus, Lady Madonna|Tag: , , , , , , , |3 Commenti

Ricordati che devi morire – 1

Il momento è duro per tutti, ma da sempre, nella storia dell’umanità, le religioni hanno dato speranza alle persone preoccupate e disperate. Il Cristianesimo, in particolare, con la figura di Gesù propone un Salvatore amorevole e pieno di compassione, così diverso dal Dio dell’Antico Testamento.
Ma in effetti volete mettere le guance da schiaffeggiare e i prossimi da amare con quei bei momenti crudeli, vendicativi e apocalittici, pieni di effetti speciali e con personaggi che paiono scritti attorno ad attoroni dell’Hollywood che fu? I tempi di crisi ripropongono esempi di comunicazione basati sul Peccato, l’Apocalisse e (forse) una Redenzione.

Qualche settimana fa, per esempio, mi è arrivata una mail che aveva come titolo: “Chiedo il ROSARIO tutto l’anno per proteggervi dal maligno“. Un uso variopinto di maiuscole e sottolineature del carattere che sarà una costante nella mail: la lettera prosegue così (sic, copio e incollo).

In tutte le apparizioni la Santissima Vergine Maria chiede la recitazione quotidiana del Santo Rosario perché l’influsso del demonio è continuo mentre la PROTEZIONE della preghiera si ESAURISCE.

Insomma, protezione permanente contro il maligno. Bisogna ricaricarsi a botte di rosario. Quando? Come? La posologia!

Come insegnava Padre Pio è necessario recitarlo tre volte  al giorno (8-15-20) per tutta la vita per conquistare e conservare  il dominio delle facoltà e la salute dell’anima. Diversamente, attraverso la GOLA, il SENSO e l’INTELLETTO satana ti trascina nel peccato fino alla demenza per infliggere gradi di morte al creato (malattie, calamità, incidenti) ed estendere il suo dominio di morte mentre tu deformi l’anima e rischia la DANNAZIONE ETERNA.

Bang! La cartuccia “Padre Pio” è stata sparata (ve lo immaginate come uno dei tre proiettili della pistola di Eddy Valiant in Roger Rabbit?), e dà orari precisi. Successivamente, l’illuminato mittente ci fa capire che digiunare, sentire (qualsiasi cosa) e pensare sono azioni dannose che portano allo sconquasso. Mi chiedo solo se la “s” di Satana sia minuscola in segno di scherno al Principe delle Tenebre. Ci si rifà comunque con quel maiuscolo grassetto finale, che pare scolpito nel marmo.

La parte successiva dell’e-mail cambia improvvisamente tono, e si fa quasi manualistica, definitoria e normativa.

Se hai un buon prete ti dirà di andare a messa ogni domenica, rispettare i comandamenti, confessarti una volta al mese, ricevere l’eucaristia e recitare, ogni giorno della vita, il SANTO ROSARIO. Diversamente prega per lui (liberarlo dall’influsso del demonio) e cercane un altro.

Fino al gran finale (che, ripeto, copio così com’è scritto):

+ Preghi + Grazie ricevi

Una specie di raccolta punti: slogan splendido.
Tuttavia la mail ha una sorta di post scriptum intitolato “Passaparola” (scritto in grassetto corsivo corpo 16, ma che ve lo dico a fare, avete inteso). Eccolo.

1) Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II sono stati uccisi da Benedetto XVI

Ullallà!

2) L’ex premier S. Berlusconi, G. Bush e la CIA sono satanisti: invocano il demonio per trascinare persone e categorie di persone a credere, pensare, desiderare e fare quello che è più comodo ai loro interessi e dominare il mondo economico, politico, scientifico e militare.

Potrebbe essere un’ottima spiegazione: più credibile delle loro…

3) La democrazia è arrivata alla FINE. La mente non genera intuizioni, pensieri e ragionamenti ma li ricevono dall’anima sotto l’influsso dello spirito. Chi invoca il demonio domina le facoltà dei peccatori e fa quello che vuole: vince le elezioni o fa salire e scendere chi vuole

Li ricevono chi? Il percorso è quindi spirito-anima-mente-intuizioni, pensieri, ragionamenti?

4) Il crollo dell’economia mondiale è legato al crollo del satanismo e sarà irreversibile. Arriveranno caos, fame e guerre. I conflitti che seguiranno porteranno alla terza guerra mondiale (Cina). Le basi militari Americane  attireranno un diluvio di fuoco sull’Europa. Parigi andrà in fiamme e della Città del Palladio non resterà pietra su pietra. Solo chi reciterà ogni giorno il Santo Rosario riuscirà ad affrontare le cose che verranno.

E qui la logica va a farsi benedire (o maledire?). I due crolli sono in relazione diretta o inversa? La terza guerra mondiale è la Cina, o ci hai già detto come va a finire? E soprattutto, perché prendersela con Vicenza?
Comunque, ricordate: 8, 15, 20. Tre volte al dì e passa la paura.
Rosario: leggere attentamente le avvertenze?

continua

Gente che suona divinamente

Non è per sfiducia, ma se dovessi dare sempre ascolto a tutti quelli che mi dicono “Devi ascoltare/vedere/sentire la band X: è la cosa più incredibile del cosmo“, non avrei neanche tempo per mangiare. Come però feci per Springsteen, riconosco in questa sede che tutti quelli che mi hanno detto cose magnifiche dei Wilco dal vivo, avevano ragione da vendere.

Cliccando sull’immagine qua sopra potete leggere perché ho dato quattro stelle e mezzo su cinque nella recensione scritta per Jam di questo mese sul concerto tenuto dalla band di Tweedy all’Estragon ormai due mesi fa.

Di |2024-05-13T00:10:29+02:0014 Maggio 2012|Categorie: I'm Happy Just To Dance With You|Tag: , , , , |0 Commenti

Umbria, Texas

Quando, nel pomeriggio di un paio di giorni fa, ho scattato una foto (che campeggia, un po’ modificata, anche lassù), ho pensato subito al titolo che le avrei dato se l’avessi pubblicata su Flickr. Mi trovavo in un agriturismo dell’Umbria settentrionale, dove il giorno prima mi era stato servito del fegato d’agnello: appena ho visto il teschio appoggiato a un palo, a qualche metro dal luogo dove alloggiavo, ho pensato che doveva essere per forza la testa dello stesso animale che mi era stato servito nella cena precedente. Ovviamente non poteva essere così, ma ci ho fantasticato su per un po’, non senza provare di disagio .

Non sapevo però che, qualche ora dopo avere scattato quella foto, avrei riprovato quella sensazione.
La proprietaria dell’agriturismo parlava alle persone sedute a un tavolo vicino dei borghi da visitare nei dintorni. Nominò un paesino poco distante, spiegando come fosse passato alle cronache di recente non tanto per la sua indiscussa bellezza, quanto per un episodio di cronaca nera. La signora ha raccontato che un uomo, psichicamente instabile, aveva ucciso a coltellate il fratello sotto gli occhi della madre. Arrestato, era morto d’infarto in carcere il giorno dopo.
La donna ha concluso il racconto nel silenzio. Si è presa poi le mani una nell’altra e ha detto “Giustizia è fatta”.
Appunto: Umbria, Texas.

Di |2024-05-13T00:10:55+02:002 Maggio 2012|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , , , |0 Commenti

Narrare la tensione: intervista a Manuel Agnelli

Non sono mai stato un vero fan degli Afterhours, ma credo che gli album di Agnelli e soci siano tutti molto interessanti, che abbiano sempre qualcosa da dire, che siano mossi da un’urgenza che sempre meno si ritrova, in musica e non solo. Ho ascoltato Padania e ho pensato, ancora una volta, che era un disco degli Afterhours da riascoltare più volte, di cui era necessario leggere le parole e pensarci su, per poi, magari, parlarne con Manuel Agnelli. L’intervista su uno dei dischi più importanti dell’anno è andata in onda in Maps di venerdì e la trovate da ascoltare qua.

Qual è il momento in cui avete iniziato a raccogliere suoni, idee e parole di quello che sarebbe diventato il disco più recente degli Afterhours?
Un momento preciso forse no, ma un anno e mezzo fa mi è venuta in mente l’idea di fare un disco molto legato alla realtà sociale che ci circondava. Ci siamo interrogati molte volte sul ruolo che potevamo avere come adulti e come musicisti. Probabilmente abbiamo parlato di noi stessi molto a lungo e probabilmente continueremo a farlo, perché il punto di vista è sempre il nostro, ma forse adesso è arrivato anche il momento di parlare di quello che ci succede intorno. Non è stato un desiderio nato da un episodio o da qualcosa che avevamo visto in particolare: ma continuavamo a incontrare persone che ci raccontavano della loro realtà, che avevamo sotto gli occhi, come tutti in questo periodo. Il fatto di continuare a cantare di cose nostre, solo interiori, legate alla nostra interiorità cominciava a sembrarci un po’ meschino, lontano dalla realtà. C’è stato un periodo, a dire il vero abbastanza breve, in cui ci siamo sentiti dissociati da quello che ci capitava intorno ed è nato il desiderio di riallacciarsi alla realtà.

Raccontata così sembra che ci sia una continuazione della spinta, più musicale, che c’era dietro a Il Paese è reale
Sicuramente, anche se Il Paese è reale aveva una matrice più nettamente musicale, si stava parlando del nostro ambiente, della musica, di come venivano considerati certi gruppi e certi musicisti e un certo tipo di ambito. Qua, invece, si parla più in generale della nostra società, del sociale. Comunque si tratta di cose molto vicine: adulti e cittadini che prendono posizione per qualcosa in cui credono o che lo fanno perché non è solo un loro diritto, ma anche un loro dovere.

Hai detto che non c’è un momento esatto in cui è nato Padania, ma che ci sono state molte storie che vi hanno fatto pensare. Qual è un tratto di queste storie che ha fatto “traboccare il vaso”?
Il fatto che alcune storie erano così grandi e importanti da fare sembrare piccolissime le nostre storie, le nostre polemiche, o le piccole battaglie che combattevamo all’interno del nostro ambiente. Insomma, una volta che, da adulto, hai usato la musica e l’ambiente della musica per trovare la tua personalità, se non completamente te stesso, per realizzarti dal punto di vista interiore, diventa davvero – e lo ripeto – meschino chiudersi in questa torre d’avorio creativa e non guardarsi intorno. Ci sembrava tutto molto piccolo rispetto ai problemi reali che la gente vive. Da qui a fare un album come Padania il percorso è stato molto lungo, perché non abbiamo subito deciso cosa fare. Alcuni prendono posizione in maniera talmente netta, chiara e (perdonami la parola) retorica, che alla fine sono più dannosi che utili: la retorica non fa bene a nessuno di questi tempi, il “chi non salta è” fa più male che bene. Per cui arrivare a definire un discorso a livello estetico che poi potesse avere una forza e nello stesso tempo mantenere una sua sincerità non è stato semplice.

Riprendo ciò che hai detto sull’immediatezza perché il concetto ritorna in Padania, un album che “vuole essere disco” come e più di altri dischi degli Afterhours: insomma, mi sembra che Padania sia un disco da ascoltare “in ordine”…
Hai ragione: Padania ha un filo conduttore, che non è facilissimo da individuare, e che soprattutto magari non sarà lo stesso per tutti. Abbiamo cercato di fare un concept emotivo, emozionale, per cui questo filo conduttore è più emozionale che narrativo. Crediamo nel fatto che narrando degli eventi si possano suscitare delle emozioni molto profonde, ma il compito di un gruppo come il nostro è narrare la tensione. La tensione ha a che fare con il panico, con il disorientamento, l’odio e il rancore, ma anche con la gioia più ingiustificata: sono tutte cose che si possono raccontare, ma rischiando di perdersi l’emozione di queste cose. I pezzi invece più musicali, che non sono costruiti come una canzone, servono proprio a quello, nel percorso del disco. E poi c’è stata la convinzione di fare un disco, e non una serie di pezzi messi insieme su un album: perché noi crediamo ancora nella formula “album”, a dispetto di quello che si dice in giro sulla morte dell’album. Se ti guardi intorno, la musica che sta comunicando di più è contenuta in album che hanno una tematica forte e che sono piuttosto lunghi proprio in termini di durata. Rimanendo al nostro ambiente di posso parlare del disco dei Verdena o di quello del Teatro degli Orrori, che è un album lunghissimo che però alla fine ha un senso in quanto album: è una specie di libro, ti sta raccontando una situazione in maniera molto poco superficiale, proprio perché è analizzata in tante canzoni, quindi attraverso tanti aspetti.

Mi riallaccio a quest’ultima tua osservazione: hai parlato di un libro, che spesso è associato al romanzo e quindi a una densità, a una complessità, alle trame e alle sottotrame. Avete mai pensato a Padania come a una sceneggiatura, cioè come a una serie di storie che si dipanano tra le canzoni?
All’inizio sì, ma poi mi sono reso conto, come ti dicevo prima, che stavo razionalizzando troppo: stavo rischiando di fare un album molto cantautorale, di cantautorato rock, ma tant’è, e non era quello che mi interessava. Volevamo piuttosto spingere sul lato musicale, anche per amplificare il lato emotivo, che ci sembrava e ci sembra tuttora la cosa più importante. Questo non è un disco facile, ma allo stesso tempo vedo che sta arrivando nel modo giusto; non so se la gente lo capisca o meno, e non è importante: non so nemmeno se lo capisco io. Ma il contenuto emotivo, la tensione, arrivano: ed era esattamente quello che non volevamo perdere. Per cui siamo stati molto attenti a preservare la spontaneità delle cose che nascevano, quando erano molto forti: per questo ho scritto i testi in coda al lavoro. Non volevo condizionare la scrittura musicale con le parole e sulle parole, ma fare il contrario. Sono stato attento a metterci degli approdi, dei porti, dei ganci, chiamali come vuoi, più narrativi, che servissero a dare una chiave di lettura in forma canzone, come “Padania” stessa, come “Costruire per distruggere” o “La terra promessa si scioglie di colpo”, o “Nostro anche se ci fa male”. Sono pezzi più tradizionali per costruzione e un po’ più narrativi, perché se no l’album sarebbe diventato davvero troppo claustrofobico e schizofrenico. E il bianciamento tra le canzoni l’abbiamo trovato nel modo più vecchio che ricordavamo: facendoci delle scalette a orecchio. Abbiamo provato a seguire un ordine teorico, ma ci aveva frustrato: non riuscivamo a trovare una sequenza che funzionasse bene. Mettendole in fila, insieme, per gusto, paradossalmente abbiamo trovato una scaletta che funzionava molto bene, paradossalmente, anche razionalmente.

Sono allora curioso di sapere come questo “metodo” sia stato applicato ai pezzi probabilmente più curiosi e inaspettati del disco: i due “messaggi promozionali”. Considerando quello che dicevi prima, sono una sorta di “satira dell’immediatezza”? Sembra che la ruvidezza acida che si sente in tutto il disco esploda in questi momenti…
Sì, è così. Non è facile da spiegare, ma intanto siamo comunque nell’epoca del messaggio promozionale. Qualunque cosa succeda, un bombardamento su una città del Libano, dei bambini rapiti o un’altra tragedia, alla fine ti arriva comunque il messaggio promozionale che spesso è anche in tema con quello che è successo: rapiscono un bambino e lo spot è sui pannolini. Si tratta di una satira, forse non pesante, ma Padania, comeconcept, vuole rappresentare anche questo tipo di situazione. Nelle foto promozionali abbiamo questi visi di cera, quasi inespressivi, come persone che non hanno né anima né sentimento. E nel disco, nel momento emotivo più alto, arrivano degli spot a rompere l’atmosfera, ma sono più simbolici che altro, funzionano in quanto tali più che per il loro contenuto. Tuttavia, il secondo, che parla della vendita di spazi promozionali su cd, il più cinico dei due, alla fine non era una brutta idea!(ride). Eravamo in dubbio se brevettare la cosa e alimentare ancora di più la provocazione: volevamo aprire un numero verde, con una segreteria telefonica, e vedere – facendo lo spot in maniera più seria di come è finito sul disco – quanta gente avrebbe creduto che gli Afterhours erano davvero disposti a vendere degli spazi pubblicitari sui dischi. Però poi abbiamo avuto un po’ paura… Paura della gente…

Paura dell’eventuale reazione o di come gestire le chiamate?
Di come gestire le chiamate… Insomma, parliamoci chiaro: la gente non sempre dimostra un grande umorismo. Anche nei nostri confronti, e la cosa talvolta mi fa un po’ male, non sempre c’è stata fiducia in quello che avevamo fatto. Quindi questa cosa poteva diventare davvero difficile da spiegare, alla fine, nel suo essere provocatoria. Ma la cosa che ci ha fatto più paura è che rischiava di fare passare in secondo piano cose molto più importanti del disco e quindi abbiamo deciso di ridimensionarla. Comunque le questioni della sintesi, della velocità è uno dei temi del disco, perché sono cose che stiamo soffrendo. Di certo la cosa è generazionale: il progresso avanza e la vecchia generazione soffre la velocità della nuova generazione. Certo è vero che la velocità delle comunicazioni di oggi, con la rete e altri dispositivi, ha abbassato le capacità di analisi delle persone, la pazienza che si deve avere per giungere a un concetto, e quindi la disponibilità delle persone ad ascoltare la musica. Ed è veramente un peccato: non tutta la musica deve arrivarti come un pugno in faccia, ma se non lo fa è perché magari ci sono delle cose da scoprire, ed è molto bello farlo, io sono abituato così. Per questo abbiamo fatto un disco del genere, che credo non sia molto immediato: ci piacerebbe che la gente andasse a scoprirlo, questo disco, magari con il tempo.

Faticare per ascoltare può portare a un ascolto più pieno e, eventualmente, a una critica più fondata: ma Padania arriva come una manata in faccia, anche solo dal punto di vista musicale. C’è un lavoro stratificato, sui feedback, sullo spessore del suono: è qualcosa nata in studio o già i musicisti hanno portato un’idea sonora di questo tipo?
No, è qualcosa che è nato in studio. All’inizio volevamo organizzare il lavoro come abbiamo fatto ultimamente, cioè suonando tutti insieme nella stessa stanza: così avevamo l’illusione di mantenere una certa naturalezza. Ma è una modalità che non sempre è funzionale: magari una soluzione che viene al momento è mediamente buona per quel pezzo, ma non è detto che perché l’hai trovata lì in studio sia la migliore. Spesso le cose migliori vengono fuori ragionando, riflettendo, cambiando, eccetera. Dopo un po’ ci siamo resi conto che le cose migliori venivano dagli spunti su cui ognuno lavorava a casa propria e poi portava in sala prove, per cui abbiamo deciso di continuare a lavorare così. Ognuno ha lavorato ai propri spunti da solo, per poi portarli in sala prove affinché gli altri potessero lavorarci a loro volta da soli. Per farti un esempio: se Giorgio Ciccarelli faceva un riff di chitarra particolarmente interessante, io poi a casa facevo un cantato sopra, lo strutturavo e lo passavo a Giorgio Prette, che a casa ci faceva una parte di batteria, eccetera. Il tutto senza essere nella stessa stanza. Secondo me questa cosa ha giovato tanto, perché noi tutti abbiamo provato a fare delle cose che forse non avremmo fatto davanti agli altri. Io stesso mi sono fatto tutte le voci in sala prove da solo, cosa che non credo avrei fatto di fronte agli altri, non sempre con grandi risultati (ride). Il settanta per cento delle cose che ho fatto, per fortuna, non sono finite nel disco, ma quel poco che hofatto mi soddisfa molto, perché è un po’ diverso da quello che avevo fatto nel passato. E così credo che sia per tutti gli altri.

Per concludere, torniamo da dove abbiamo incominciato. Ascoltando ciò che mi hai detto ho ripensato al concetto di impotenza dell’uomo protagonista della canzone “Il Paese è reale”, e il tuo menzionare lo smarrimento e il disorientamento hanno come relativo fisico la pianura, che spesso provoca queste sensazioni. Quanto spesso e come vieni preso anche tu da questo senso di smarrimento, impotenza e frustrazione che credo siano elementi di spicco dello spirito del Paese, non solo adesso?
Sì, hai detto bene: sono caratteristiche del Paese da tanto tempo a questa parte, e anche io ci casco molto spesso, devo dire. Nel nostro ambiente, poi, è molto facile essere presi dallo smarrimento e dalla frustrazione, non solo perché le cose fanno fatica a funzionare per tutti, ma anche perché c’è una mentalità veramente meschina: c’è tantissima invidia, c’è rancore, ma soprattutto c’è tantissimo immobilismo. E internet, che pure ha tanti vantaggi nell’ambito della comunicazione e che anche io uso tantissimo magari per riascoltarmi delle cose di catalogo, ha peggiorato questa situazione: tiene a casa le persone, non le fa essere presenti e sicuramente le rende più innocue, da un certo punto di vista. E invece di sfogare la rabbia e il rancore con le invettive che si leggono in rete tutti i giorni, non fa altro che alimentarle, perché nutre l’immobilismo e non provoca alcun tipo di reazione. Non sono l’unico, purtroppo, a provare queste sensazioni, adesso come adesso. Però sto anche vedendo delle reazioni molto importanti (e parlo sempre del mio mondo, quello della musica e dell’arte, perché non voglio fare il tuttologo): il Teatro Valle occupato a Roma, ma soprattutto il Teatro Coppola a Catania, un vero gesto di responsabilità civile. La gente è andata a ristrutturare gratuitamente un teatro per ridarlo ai cittadini, non per tenerselo e occuparlo per scopi personali. Io credo che la gente abbia ricominciato a capire che la partecipazione reale, quella fisica, è il futuro, per quanto possa sembrare una cosa preistorica. Quando ci sono state le amministrative a Milano, a detta dell’amministrazione stessa il momento della svolta è stato il concerto di piazza Duca d’Aosta, dove 25000 persone si sono trovate fisicamente insieme nello stesso posto e si sono rese conto che eravamo in tanti e valeva la pena comunque di provarci: da lì è stata una spirale positiva. Quindi credo che queste cose stiano tornando, che soprattutto la giovanissima generazione si sia resa conto che la partecipazione può essere una via di fuga dall’immobilismo e dalla rabbia e dal rancore che ne derivano.

Italiano comm’attè

Torno dal lavoro, musica nelle orecchie, passo spedito.
A poche centinaia di metri da casa, mi si para davanti un uomo rotondo, dalla faccia un po’ gonfia.
Non faccio in tempo a togliermi un auricolare che quello ha già iniziato a parlarmi: anzi, mi sta rassicurando. Non mi farà del male, vuole solo il mio ascolto, mi continua a dire di non essere sospettoso.
Ma questa excusatio non petita mi sta innervosendo. E lui se n’è accorto.
“Solo una parola”, mi dice. E lo ripete.
Io faccio per dire qualcosa, ma lui continua.
“Non ti preoccupare: sono italiano comm’attè” è il sigillo della sua garanzia e il motivo che mi fa dire all’uomo una cosa apparentemente ingenua, ovvia e banale, ma che lo ammutolisce come se avessi estratto un coltello dalla giacca: “Perché?”, gli chiedo. “Che fanno di male gli stranieri?”. E mi allontano, salutandolo.
Rimetto l’auricolare mentre mi volto nuovamente a guardarlo: lui, distante qualche metro, mi fissa muto, con lo sguardo sbalordito velato da un’ombra di preoccupazione, tanto che mi verrebbe da rassicurarlo e dirgli che sono solo uno straniero che parla bene la sua lingua.

Di |2024-05-13T00:16:48+02:0017 Aprile 2012|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , |0 Commenti
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