locomotiv club

Ritorno al Locomotiv

Dopo avere messo i dischi, negli ultimi mesi, al Covo e a Vicolo Bolognetti, si ritorna al Locomotiv: a prescindere dall’impegno, ci sarei tornato lo stesso, visto che domani sera per la prima volta arrivano in città (e saranno ospiti a Maps) i Pinback, una di quelle band che fanno bei dischi, piacciono, ma mica hanno sfondato. Forse sarà l’occasione per ascoltare qualche brano dall’imminente prossimo disco. In ogni caso, dopo il concerto, torno nella splendida “casetta del dj” del club di via Serlio per aprire le danze.
Orsù, siateci: ne vale la pena (per la band, sia mai).

John e Dylan su Jam

Il nuovo numero di Jam ospita due mie recensioni: la prima è una rielaborazione del post che ho scritto sul meraviglioso live di John Grant, l’altra, invece, riguarda Dylan Carlson e gli Earth, che sono passati dal Locomotiv di Bologna qualche settimana fa. Come al solito, se cliccate sull’immagine qui a fianco potete forse leggere qualcosa. Se no, comprate il giornale!

Lacrime, pantere e pinguini

Nella foto: io mentre mi concentro.

Questa sera tutti al Locomotiv, per tre motivi.
Il primo è il release party di Lacrima/Pantera, il nuovo dico dei Death of Anna Karina.
Il secondo è che, prima di loro, suonano i Gazebo Penguins, che sono personcine amorevoli che, solo per la tua trasmissione, sono capaci di fare un video così.
Il terzo è che Eleonora, che conduce con me Maps, mette i dischi insieme al sottoscritto.
Ho due dischi che uso per i dj-set che si chiamano Daje de chitara: mi sa che me li porto dietro.

Daghe, amore e stregoneria

Era un po’ che non andavo a un concerto metal, ma non mi aspettavo che lo fosse quello degli Electric Wizard visto qualche ora fa. Probabilmente perché il concerto era ospitato al caro Locomotiv Club, che di solito non ha in programmazione live di questo tipo. Eppure, sarà che gli Electric Wizard hanno come ispirazione i Black Sabbath, producono suoni pesanti e sepolcrali, parlino di stregoneria, orrore e messe nere e suonino metal, ma insomma il Locomotiv era pieno di metallari, ieri.
Un panorama spiazzante solo all’inizio, considerando che c’è tutt’altra popolazione che frequenta solitamente il circolo. Comunque, è bastato guardarmi intorno, carpire alcuni discorsi, vedere la ressa ai banchetti di dischi,e delle piccole distribuzioni, e sentirmi dire “scusa” perché una persona mi aveva urtato per sbaglio per confermare, ancora una volta, quello che scrissi anni fa: il popolo dell’heavy metal è il migliore di tutti. Tutti gentili, tranquilli, fieri in maniera sincera delle loro giacche e toppe con teschi e spade (ne ho ancora un bel po’ anche io, da qualche parte).
E curiosando in rete, scopro Metalheads Against Racism. Quasi quasi formo una band solo per comparire nel chilometrico elenco delle adesioni: le magliette giuste, del resto, le ho già.

Words disobey me

Intorno alla metà del 2010 siamo venuti a conoscenza che il Pop Group era tornato e che avrebbe suonato una delle pochissime date di un mini-tour a Bologna. Con la redazione di Maps ci siamo, ovviamente, messi a caccia di Mark Stewart, uno dei personaggi più bizzarri e potenzialmente controversi della musica degli ultimi trent’anni.
Eravamo davvero emozionati dalla possibiità di vedere la band dal vivo e di realizzare una delle prime interviste con Stewart di nuovo alle prese con il Pop Group, una band che ha realmente avuto un effetto devastante sulla musica cosiddetta “post punk” relativamente ai due soli album prodotti, nel 1979 e 1980.

Settembre 2010: è il giorno prima del concerto e abbiamo appuntamento al Locomotiv, il club che ospiterà il live. L’appuntamento per l’intervista (richiesta e ottenuta come intervista video) salta. Panico. Arriva la telefonata da uno degli organizzatori: “Tra dieci minuti va bene?”. No, non ce la possiamo fare fisicamente. Chiediamo un posticipo e lo otteniamo. Ma l’incontro è da tenersi in una lavanderia a gettone. “Eh?”, dico io. “Eh”, dicono dall’altra parte e mi danno l’indirizzo del posto.
Arriva il fido P. e saltiamo in macchina, diretti al Locomotiv, quando arriva un’altra telefonata: Mark Stewart è ancora nel locale che fa le prove. Lo intervistiamo là. Il Pop Group è sul palco, ma mi costringo a non prestare troppa attenzione a quel che sento, perché non voglio rovinarmi la sorpresa della sera.
Mark Stewart è enorme: non come statura artistica, ma fisica. Sapevo che fosse imponente, ma non credevo lo fosse a tal punto. Un omone, che scende dal palco, non saluta nessuno, vede P. che fa prove di esposizione con la macchina digitale e gli dice molto bruscamente che non vuole scatti. P. dice che non sta facendo una foto, ma Stewart lo interrompe ancora e se ne va.
Arriva il fonico del concerto, un amico: “Simpatico, eh? Lo stavo mandando a quel paese, prima, per come mi ha risposto.”
Benissimo: questo primo approccio non è buono, per usare un eufemismo.
Gi organizzatori ci dicono che l’intervista si svolgerà fuori dal locale. Noi ci sediamo a un tavolino, aspettando Mark Stewart, che non si sa dove sia. Finalmente arriva, ordina un tè, sempre senza degnare nessuno di uno sguardo, capisce che l’intervista è video e dice di non poterla fare, perché non ha magliette pulite. Noi cerchiamo di ribattere, ma lui dice che lo possiamo portare in una lavanderia (quella del primo appuntamento, ecco perché!) e fare l’intervista là. Ci alziamo quando il povero organizzatore esce dal bar vicino al club con un vassoio e un tè. Stewart riesce a dire al tour manager “Pagalo” e poi ci guarda, come per ordinarci di affrettare il passo.
In macchina Stewart mi chiede di anticipargli delle domande. Sono domande normali, a mio avviso: mi sentivo preparato, poi, che c’entra, sono il giornalista che sono. Comunque: l’omone, seduto sul sedile posteriore, mi costringe a torsioni del collo per comunicargli le domande. Dopo la prima, mi dice “Rubbish”. Monnezza. Non risponde neanche. “Passa alla seconda”, dice, con aria di sufficienza.
Ma anche quella non gli va bene. Al terzo rifiuto, mi altero io. “Scusi”, gli chiedo, “ha intenzione di essere collaborativo o no? Perché quest’intervista non è obbligatoria.” Per la prima volta Stewart si ammorbidisce un po’, e, in pratica, mi spiega perché secondo lui le mie domande erano monnezza.
Il mio errore era stato usare termini a sproposito che identificavano la mia visione del mondo (sbagliata) come assai lontana dalla sua (giusta). In quel momento, sentendolo mentre esponeva le sue visioni, ho pensato ad alcuni articoli di “Lotta Comunista”: in confronto alle parole di Stewart mi sembravano pericolosamente riformisti. Mentre ci fa il bignami del pensiero leninista, Marx Stewart ci dice anche che percorso (stradale, oltre che politico) fare, scocciato perché secondo lui avevamo sbagliato strada. Io vivo a Bologna da quasi quindici anni e P., alla guida, la conosce in lungo e in largo, perché è nato poco fuori. Ma con noi c’era Maps Stewart: lui sapeva dove andare.
Arrivati nei pressi della lavanderia, ci ha chiesto di farlo scendere e di portargli un caffè, una volta che avessimo trovato parcheggio.
Quando è uscito dalla macchina, abbiamo pensato sinceramente di andarcene, di piantarlo lì. Tanto sarebbe tornato facilmente, no? E inoltre la voglia di assistere al concerto si era molto affievolita.
Invece abbiamo deciso di raggiungerlo in lavanderia (senza portagli il caffè) e, una volta accesa la camera digitale l’omone è diventato un altro: uno showman capace, tosto di carattere, a suo modo quasi affascinante. E il concerto è stato bellissimo.
Pubblichiamo oggi su Maps e SentireAscoltare la prima intervista mondiale sul nuovo corso del Pop Group. Lo dice lui alla fine del filmato, non io, che è la prima. Fatemi sapere se ne è valsa la pena. E soprattutto se sono irrimediabilmente diventato un lurido borghese conservatore anch’io.

Tornare a ballare e fare i diggei

Ne è passato di tempo, da quella serata di luglio, il cui resoconto è stato molto apprezzato e commentato. Ma domani sera torno a mettere un po’ di dischi. Sarà mia compagna la coconduttrice di Maps, la cara Eleonora. Volete vedere che faccia abbiamo? Volete sputarci forte? Cogliete l’occasione di farlo e di vedere dal vivo Uochi Toki e Bachi da Pietra.

Il tutto al Locomotiv Club, domani sera.

Di |2011-01-20T08:00:00+01:0020 Gennaio 2011|Categorie: Eight Days A Week|Tag: , , , , , |2 Commenti

"Quando sento gli Amor Fou, mi viene voglia di invadere Modo"

Lettrici, lettori, domani c’è un altro appuntamento con OffMaps@ModoInfoshop, la rassegna che sposta il chiacchiericcio musical-radiofonico di Maps negli spazi della libreria di via Mascarella a Bologna.
Siccome venerdì gli Amor Fou portano il loro nuovo disco I Moralisti al Locomotiv Club, per un live da non perdere, noi abbiamo chiesto a Alessandro Raina e Leziero Rescigno (rispettivamente voce e chitarra e polistrumentista della band) di chiacchierare insieme di pop italiano. Faremo un bell’excursus (si spera) tra i primordi della “musica impegnata”, passando per l’invenzione del cantautorato, fino ai giorni nostri, in cui la canzone italiana si divide tra numerose proposte di qualità e la monnezza dei talent show, o presunti tali.

Non solo chiacchiere, però, c’è anche della musica: i ragazzi, infatti, suoneranno un paio di canzoni dal vivo, apposta per la serata.
Appuntamento quindi alle 2130 da Modo, domani. Per saperne di più, cliccate qua.

Abbiamo fatto il trenino – Express Festival 2010

A differenza dell’anno scorso, dove ho fatto l’en plein o quasi, quest’anno ho partecipato a tre concerti su cinque dell’Express Festival, anticipato di un mese e tenuto per lo più dentro al Locomotiv. Se cliccate sulle foto andate al set, per i primi due concerti. Ieri avevo la macchina fotografica ma senza pile. Genio. Ah, nei prossimi giorni sul sito di Maps trovate le interviste ai protagonisti del Festival.

Efrim MenuckSpirito Collettivo – Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra (8 aprile). Sono stato sempre un grandissimo fan dei Godspeed You! Black Emperor, e ho ascoltato ogni volta con attenzione i lavori della band capitanata da Efrim Menuck. Non sempre mi hanno convinto, ma l’ultimo Kollaps Tradixionales è davvero un ottimo disco. Sentendo Menuck in radio nel pomeriggio prima del concerto, mi ha stupito la sua loquacia e quello che ha raccontato del modo che ha la band di prendere i live: il dialogo col pubblico, la “deromanticizzazione” dello status di band, mi ha detto, sono importanti quanto la musica. E così è stato. Un set lungo e impegnativo, di quasi due ore, per brani che principalmente sono stati presi dall’ultimo disco, cinque persone sul palco (voce e chitarra, batteria e tastiere, due violini e contrabbasso) per un concerto davvero meraviglioso, che ha sfruttato tutta la lineup, coinvolgendo i cinque, ad un certo punto, in un canone da brividi. E l’alternanza tra i maestosi crescendo della band su Constellation e le chiacchierate col pubblico (Menuck ha ironizzato su tutto: dalla non esistenza del Canada, al presentare il suo gruppo prima come Foo Fighters e poi come Death Cab for Cutie) sono state spiazzanti e stimolanti al tempo stesso. Uno dei concerti della stagione.

Hayden Thorpe

Buoni e cattivi – Wild Beasts + These New Puritans (9 aprile). Sono andato al Locomotiv venerdì per i TNPS: il loro ultimo Hidden è bellissimo, e segna davvero un passo avanti rispetto alle spigolosità, talvolta pretenziose, di Beat Pyramid. Avevo ascoltato distrattamente, invece, il pur bello Two Dancers dei Wild Beasts, ma la sensazione che ho avuto dalle due band della Domino Records si è rivelata all’opposto delle aspettative. I Wild Beasts sono stati carichi e eccellenti. Le canzoni, non tutte indimenticabili, sono state suonate con passione e precisione, dando spazio alla musica, e costringendo i due vocalist della band a scambiarsi basso e chitarra con una rapidità fin troppo esagerata. Ma si percepiva che le luci, i cambi di strumento, l’annunciare le canzoni, erano elementi secondari: la band britannica ama la musica che fa, e ama il pubblico. Risultato? Una bellissima sorpresa.
I These New Puritans si sono fatti attendere: dopo il primo set, il Locomotiv ha visto il sipario chiudersi, per chissà quale allestimento di palco, pensavamo noi là sotto. E invece, davvero poca roba: set preso quasi tutto da Hidden, con uno scialbo (e unico) bis con “Elvis” hit del primo disco suonata con una poca voglia e un’energia scarsa da mettere in imbarazzo. Ma l’approccio dei TNP è stato questo anche al Covo due anni fa: non confondiamo, però, l’afflato “punk” con la mancanza di voce o lo scazzo sul palco, per favore. Dimenticabilissimi.

Avanguardie – Stefano Pilia + Massimo Volume che sonorizzano La caduta della casa Usher (11 aprile).  Ultima giornata del Festival con l’appuntamento più colto della cinque giorni. Stefano Pilia propone da solo sul palco la sua visione di musica, che sta diventando sempre più definita e personale. L’uso dell’arco sulla chitarra (una cosa che fanno decisamente in troppi, ormai) è giunto a raffinatezze tecniche e armoniche eccellenti. La seconda parte del breve set, invece, è più rumorista, e fa uso massiccio di feedback, registrazioni, masse sonore sovrapposte. Interessante, sebbene non facile.
I Massimo Volume, poi, hanno riproposto la “cosa” che li ha fatti tornare insieme, due anni fa. Il Museo del Cinema di Torino ha innanzitutto fatto un regalo alla band bolognese, assegnandole la sonorizzazione di uno dei film più belli della storia del cinema: sono passati più di ottant’anni dalla realizzazione di questo capolavoro, che, pur prendendo spunto principalmente dal racconto omonimo di Poe è, in realtà, una summa dell’opera dello scrittore di Baltimora, eppure La caduta della casa Usher riesce a sbalordire per l’ardire della messa in scena e per la freschezza del racconto. I Massimo Volume hanno creato intorno all’opera una musica che sfrutta benissimo il ritmo della narrazione, alternando momenti più rumorosi a (vivaddio) silenzi, ma non si sono limitati a un tappeto: le melodie, le strutture tematiche, le soluzioni talvolta quasi pop che la band ha scelto sono uno dei migliori esempi di sonorizzazione intelligente che si siano visti di recente. Eccezionale.

Menomale che mi ho le recchie (non pelose)

Come già successe l’anno scorso, anche in occasione dell’edizione 2010 del Future Film Festival mi hanno chiamato a mettere i dischi per la festa danzante. Il tema è “il licantropo”, in occasione dell’uscita di Wolfman. No, non metterò delle orecchie pelose né denti di plastica. Cercherò invece di fare ballare voi, lupetti e lupette, con una partner d’eccezione: la mia maltrattatissima stagista Eleonora, che potete ascoltare a Maps nella sua rubrica Gods of Mainstream.
L’appuntamento è al Locomotiv Club, questa sera. Si entra gratis fino a mezzanotte. Dopo ci trasformiamo e diventiamo bruttissimi. Ma non quanto l’immagine qua di fianco, tranquilli.

Agenda della settimana

In un post solo, serate risolte da oggi a sabato. Ehm, per me sicuro, per voi… pensateci.
Questa sera ricomincia Seconda Visione, il settimanale di cinema di Città del Capo – Radio metropolitana giunto alla nona stagione. Alle 2230 sui 96.250 e 94.7 MHz di Bologna e provincia o in streaming qua. Parleremo di Bastardi senza gloria, Ricky e Basta che funzioni.
Domani sera ho la riunione di condominio. Siete tutti invitati. Un punto all’ordine del giorno mi preoccupa: “digitale terrestre”. Mi alzerò in piedi e dirò “No!” come Marcel Marceau ne La pazza storia del mondo.
Giovedì esce Up, l’ultimo film della Pixar. Perderlo è punibile per legge. Anche se c’è un “Lodo Topo Gigio” che pende sulla questione.
Venerdì è una giornata tale per cui conviene suddividere le cose:
– a Maps ho ospiti dal vivo Amor Fou e Dente, che ci suoneranno qualcosa di edito e di inedito. E forse ci sarà una bella sorpresa. Dalle 1530 su Città del Capo… beh, vedete sopra, le modalità sono le stesse.
– alle 18 presso la Libreria Trame, in via Goito 3/c a Bologna, presenterò La guerra in cucina (Eumeswil), insieme al nuovo romanzo di Paolo Alberti Sei caffè. Con noi ci sarà Gianluca Morozzi, il curatore della collana per cui io e Paolo usciamo. Per saperne di più andate qua. Ah, se volete qui trovate un altro racconto da leggere a sbafo.
– alle 21 sarò ospite della radio cugina sempre per presentare il libro. In più pare che farò il tiramisù in diretta webcam. Il tutto a Get Black.
– e poi me ne vado al Covo a vedere gli Amor Fou e a svenire sul dancefloor, presumo.
Sabato c’è la festa di compleanno di Città del Capo – Radio… Quella là. Metterò i dischi e… Copio e incollo.

22 anni di libera informazione: ancora per quanto?
Città del Capo festeggia il suo compleanno al Locomotiv Club.
Prima di dare il via alle danze un incontro con Luca Bottura, Angela Baraldi, Emilio Marrese, Antonella Mascali. E con un video inedito di Alessandro Bergonzoni, una vignetta di Elle Kappa e tanti altri ospiti a sopresa. Alle 23 brindisi con le voci di Città del Capo e poi si balla con i suoi dj (MorraMc, Francesco Locane e Enzo Polaroid). Alle ore 21,00 al Locomotiv Club, Via Serlio 25/2 Bologna. Ingresso 5 euro.

Poi dite che non c’è niente da fare. Fatevi riconoscere. A parte alla riunione di condominio: vi sgamo io, non potete votare.

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